1. MANNEQUIN PUSSY – I GOT HEAVEN
(punk rock, indie-rock, grunge, garage rock)
Tra gli album 2024 di questa prima parte di stagione, i Mannequin Pussy hanno letteralmente spiazzato tutta la nostra redazione. La crescita esponenziale di questa band inizia ad essere non solo importante ma terribilmente accattivante. Il debutto per Epitaph Records di Patience del 2019, aveva lasciato presagire un imminente roseo futuro, ma oggi le cose sono clamorosamente migliorate. Non solo diversificazione: dal rumoroso punk delle uscite precedenti alle canzoni più orecchiabili e melanconiche, ma tenerezza strappata alla ferocia con intelligenza e senza inutili e sterili virtuosismi. I Got Heaven è un gran bel disco e raggiunge vette compositive mai sfiorate prima dalla band.
La rabbia di una generazione
Un lavoro complesso e curioso ispirato alle minacce che vengono sia dal mondo esterno che dalle mura domestiche, in mezz’ora di grandissima intensità e senza mai cadute. I Got Heaven è il gioiellino di un gruppo maturo che ha perfezionato il suono rendendolo perfetto. La rabbia è sempre l’elemento caratterizzante dei testi, le sconfitte ora fanno meno male, le vittorie sono più duramente combattute e le dieci canzoni di questo disco susciteranno una funzione catartica, costruita e distrutta fino al raggiungimento di un nirvana acido e duraturo.
2. KING HANNAH – BIG SWIMMER
(art rock)
Uscite discografiche con un capolavoro. Abbiamo avuto la fortuna di ascoltare questo album in anteprima e lo abbiamo gustato e assaporato come quei cibi prelibati di cui non faresti mai a meno e di cui vuoi godere con estrema calma. Il secondo lavoro in studio dei King Hannah è il gioiello di questa settimana e, probabilmente, finirà tra i nostri migliori album del 2024. Hannah Merrick e Craig Whittle hanno preso uno zaino e hanno messo dentro pochi oggetti: sono partiti alla scoperta della loro dimensione. La band lo ha fatto intraprendendo il loro primo tour americano che li ha portati ad attraversare paesaggi nuovi ma anche terribilmente familiari.
La facilità di scrittura dei King Hannah
Proprio come in un sogno, le percezioni sono state sovrapposte da una nostalgica immaginazione: i riff di Merrick e i riff sludgy di Whittle sono impregnati in punk rock ’70 e ’80 il tutto ben sostenuto da percussioni polverose radicate nel country e nel blues. L’album è intriso di una qualità importante, ipnotica, anche perchè le linee tra realtà e sogno si confondono.
Il duo, in questa seconda scorribanda, abbraccia ancora di più la propensione per le atmosfere da film noir/onirico alla Lynch, e la produzione aggiunge sicuramente un bagliore di luce al chiaro di luna. Questo è un gran bel album che aggiunge un’esperienza di ascolto totale da cui immergersi dentro (nelle musiche) e fuori (dall’ambiente) con grande facilità.
3. BETH GIBBONS – LIVES OUTGROW
(singer, songwriter, chamber folk, baroque pop)
Tra i migliori album del 2024, a fine anno, finirà sicuramente il tanto atteso album solista di Beth Gibbons, meravigliosa voce dei Portishead. Il risultato, fin dal primo accordo, è commovente: c’è qualcosa di etereo e di magico nella voce della Gibbons, e questo intero disco (pur non suonando trip hop) spiega il perchè un tratto sonoro cosi piacevole ma al contempo inquietante, ha reso il genere trip hop un fenomeno proiettando i Portishead al successo globale.
Album 2024, imprescindibile Beth Gibbons
In questo lavoro Beth fa un salto negli inferi del folk barocco e, supportata dal talento versatile del batterista veterano Lee Harris e dal produttore James Ford, Lives Outgrow è una testimonianza vivida del fatto che la voce della Gibbons è tra le più importanti nella storia della musica moderna, sia liricamente che sonicamente. La dicotomia di luce e oscurità è il punto focale di tutto l’album, poiché vediamo tutte le diverse forme in cui si manifesta il cambiamento e l’evoluzione di un disco così magistralmente pensato. Da”Lost Changes”, valzer capace di attraversare le stagioni del cambiamento al più abrasivo e oscuro “Rewind”, tutto è ben cesellato per un risultato definitivo che squarcia l’anima. Non poteva non finire sul podio dei migliori album del 2024.
4. THE SMILE – WALL OF EYES
(art rock)
Accantonati forse definitivamente (?) i Radiohead, il duo Yorke / Greenwood con Nigel Godrich in cabina di regia e e dietro le pelli Tom Skinner (ex Sons Of Kemet) continuano imperterriti per la loro strada e dopo uno splendido esordio “A Light For Attrachting Attention” (Tra i migliori del 2022) ispirato a livello di quelli della casa madre, arrivano al sophomore, anticipato dal singolo “Bending Hectic” uscito, sempre via XL Recordings, ad inizio dell’estate scorsa e dalla title track licenziata un paio di mesi fa, accompagnata, a sua volta, da un video in bianco e nero dal sodale Paul Thomas Anderson, che ci mette fantasia e il suo immenso talento per dirigere Yorke in un clip surreale.
La stessa “Friend of a friend”, ballad claustrofobica, sperimentale e libera, echi e rimandi al capolavoro “Amnesiac” mischiato alla psichedelia seventies o la bellissima “Teharmonic”, che come tutto il disco, ha un incedere acustico, mischiato, come al solito, a mille dettagli sonori, o le divagazioni chitarristiche di “Under Our Pillows” dilatate, quasi ambient.
Un lavoro sperimentale
Gli ingredienti non mancano e i fuoriclasse rimangono tali anche con il passare delle stagioni, sebbene non sia affatto scontato. A tutti gli effetti una nuova fase di uno dei gruppi di lavoro più importanti di sempre, perché il collettivo di Oxford, senza nulla togliere al resto della comitiva, fa e faceva leva proprio sui succitati tre titolari e l’onnipresenza di Nigel Godrich (Uno dei migliori produttori in assoluto) nei lavori di Yorke, ne certifica ancora di più il ragionamento.
Tornando al disco, trattasi di materia più sperimentale della precedente, che, a mio parere, trovai piuttosto vicino ai dischi dei Radiohead, diversa ma con un minimo comune denominatore. Ci troviamo in territori melodici del percorso solista di Thom, ma è difficile fare paragoni, ogni capitolo, è un nuovo viaggio. Rimane, comunque, il medesimo pensiero, che questi abbiano nelle loro corde, a prescindere da tutto, l’impresa di non deludere mai e, dopo decenni di carriera, a mio avviso, non è affatto scontato. “Wall Of Eyes” è un altro eccellente tassello di un mosaico irripetibile. Sicuramente, già a gennaio, tra i migliori dischi dell’anno.
5. YARD ACT – WHERE’S MY UTOPIA?
(post-punk, dance punk)
Fin dai primi secondi di questo nuovo lavoro in studio della band di Leeds traspare una certa disperazione dietro alla solita ironia che contraddistingue la musica di questa band. Il senso d’umorismo degli Yard Act è intatto e più forte che mai, tanto da riflettersi nel personale nel momento in cui si aprono alla volontà di vendersi per soldi (alla fine è pur sempre un lavoro il loro) in “We make hits”.
Tolte le diverse, ed argute frecciatine politiche sparse in “Where’s My Utopia?”, abbiamo anche una manciata di momenti introspettivi, in cui la band riflette sullo scorrere del tempo e ritrovarsi adulti. A parte qualche passo falso (vedasi le ultime due tracce del disco), questo è un concept album ben assemblato e la produzione è piuttosto dettagliata ed eccentrica.
Gli Yard Act sanno scrivere canzoni
Bellissimi i ritornelli di Katy J Pearson in “When the Laughter Stops”, gran pezzo che scuote le acque quel tanto che basta prima che arrivi la sconcertante “Grifter’s Grief”, in cui spiccano i synth e una forte propensione al dance punk. Gli ottimi singoli “dream job” e “petroleum”, i veri ponti con le canzoni contenute nel disco d’esordio, qui dentro acquistano ancora più senso e “The undertow” ci consegna una band in grado di scrivere anche grandi strofe e ritornelli con particolare attenzione ad un certo gusto orchestrale. La strada intrapresa dai ragazzi di Leeds è quella giusta.
6. ARAB STRAP – I’M TOTALLY FINE WITH IT DON’T GIVE A FUCK ANYMORE
(slowcore, indietronica, alternative rock)
Tra i migliori album di questo 2024 non potevamo non inserire quello targato Arab Strap. Premessa: era impresa alquanto ardua fare meglio, o quasi, dell’ultimo lavoro pubblicato nel 2021 e da noi scelto come miglior disco di quel meraviglioso anno. A distanza di tre anni ci troviamo ancora qui a parlare di un nuovo, meraviglioso, disco degli Arab Strap. Anche se si stanno muovendo in una nuova fase della vita, rispetto al passo, la band rimane esperta nel raccontare il mondo che li circonda.
Lo sguardo sulla vita
Moffat è probabilmente uno dei migliori osservatori lirici di questa generazione, e pochi sono capaci di tramutare le minuzie insignificanti dell’ordinario noioso in poesia. Con la chitarra malinconica di Malcolm Middleton al cuore e la nitida autoconsapevolezza che caratterizza il loro sound, la band è riuscita anche questa volta ad incastrare una serie di canzoni che non offrono risposte, ma osservano le condizioni e il comportamento in modo chiaro e poetico sulla vita. Pochi artisti riescono ad adottare la personalità da uomini di mezza età capaci anche di catapultarsi e di tenere il passo con la società moderna in maniera così dirompente.
(songwriting)
Il percorso di Bill Ryder-Jones dal progetto The Coral all’artista solista e produttore affermato è stato un percorso tortuoso di auto-riflessione. Ha sconfitto i demoni, ha iniziato ad affrontare un passato ingombrante, ha vinto la battaglia contro i problemi di salute mentale e la dipartita di un fratello. Quel viaggio lo ha portato in un luogo in cui, con nuova fiducia, è in grado di creare un corpo di lavoro come Iechyd Da (Welsh for good health), un album di tale profondità e qualità che ricorda immediatamente le lussureggianti orchestrazioni psichiche di Deserter’s Songs dei Mercury Rev.
Questo è il suono di un artista che porta la sua anima e ciò che si traduce veramente in un album che è personale eppure parla a ciascuno di noi, ci costringe ad ascoltare la voce dentro, quella che è spesso sepolta dal caos. Come Nick Drake e Elliott Smith prima di lui, Bill Ryder – Jones scava nell’intimo come pochi. L’anno è appena finito, il nuovo anno è appena iniziato, ma qui abbiamo già un capolavoro.
8. KIM GORDON – THE COLLECTIVE
(art rock, experimental rock)
Niente da fare: non c’è nessuno là fuori come Kim Gordon. E questo ritorno sulle scene, a distanza di 5 anni dal disco precedente, è una forte, fortissima dichiarazione di forza e d’indipendenza. Nel 2019 aveva visto la luce il primo vero disco della Gordon,“No Home Record” e già si intravedevano le possibili strade da intraprendere: una, quella che conduce al porto sicuro del rock and roll / art punk,l’altra quella sperimentale per cimentarsi con industrial e sonorità trap. Con “The collective” Kim ha optato ancora una volta per entrambe, ma concentrandosi un po di più sulla seconda.
Il disco si apre con “BYE BYE”, il cui fragoroso ritmo impreziosito da chitarre super distorte, destabilizza fin dai primi secondi. “Stiamo davvero ascoltando un disco di Kim Gordon?” mi chiedo. Ebbene si. E la conferma è data dal procedere del disco e dal singolare lirismo della nostra splendida settantenne; I testi sono semplici, ma al contempo evocativi e desiderosi di sfidare le norme tradizionali. Tutto questo traspare ancor di più nel singolo “I’m a man”, noise-pop industrial alienante e disperato.
I brani
Il lo-fi “The Candy House” ci riporta alla mente i sonic youth più sperimentali; il rumore compresso di “I Don’t Miss My Mind” è degno dei migliori Nine Inch Nails, mentre “The Believers” gioca a replicare le gesta di “Mutant” di Arca. È in questi momenti che “The Collective” ci parla, si fa sentire potente come non mai e ci lascia a bocca aperta. Kim Gordon rende omaggio ai provocatori pop di oggi, oltre a mostrare amore per il suo passato innovativo.
Procediamo così verso la fine del disco e tra un’ eterea “Psychedelic orgasm” e gli inquietanti paesaggi sonori di “Shelf warmer”, trovano spazio “It’s Dark Inside”, lode a tutte le band femminili come “pussy riot” e “pussy galore”, e infine “Dream dollar”, vero ponte immaginario con la musica dei Sonic youth.
A fine ascolto rimane difficile catalogare questo nuovo lavoro dell’artista newyorchese. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte a quello che è a tutti gli effetti un tributo di Kim Gordon a se stessa, da sempre capace d’immergersi nei suoni più sperimentali che il panorama contemporaneo ha da offrire, reinventandosi come solo i grandi della musica sanno fare.
9. ST. VINCENT – ALL BORN SCREAMING
(art rock, art-pop)
Sebbene “Daddy’s Home” del 2021 sia stato tutt’altro che un fallimento, ha rappresentato un piccolo passo indietro all’interno di una lunga carriera ricca di soddisfazioni. Questo non si può dire di “All Born Screaming”, dove St. Vincent si butta a capofitto nell’abbracciare il caos terrificante ed esilarante della vita al giorno d’oggi.
Con un approccio e una scrittura che da un certo punto di vista sono molto semplici, dall’altro alquanto complessi: i testi rimangono piccoli bozzetti qualora intimi, qualora più estroversi, mentre la musica, influenzata come non mai dal rock, incorpora tante, tantissime sfumature.
Tra industrial e Nirvana
Si passa dall’industrial dei Nine Inch Nails e dal grunge di nirvaniana memoria, e si arriva al Trip Hop dei Portishead ed al rock femminile di cantautrici come Tori Amos e Pj Harvey. Ed il tutto trova spazio all’interno di grandi canzoni interamente prodotte da Annie Clark, capace di far rendere al meglio le tante anime del disco. Quando ti trovi di fronte a un disco del genere c’è poco da dire. All Born Screaming è la perfetta summa di tutti i lavori precedenti, nonché il miglior disco di St. Vincent. Riprova del fatto che la nostra cara artista è senza ombra di dubbio la migliore interprete “art pop” in circolazione.
10. THE LEMON TWIGS – A DREAM IS ALL WE KNOW
(jangle pop, power pop)
In un anno che ha già dato grandi soddisfazioni agli amanti dell’indie-pop, con gli splendidi lavori di The Umbrellas, Ducks Ltd. e The Reds, Pinks & Purples, le cose migliorano ulteriormente con questo quinto album dei Lemon Twigs., giunto in questo primo numero delle uscite discografiche del mese di maggio.
Del resto, quando una raccolta di canzoni riesce a mescolare con gusto, sapienza ed efficacia armonie a metà strada tra i Beatles e i Beach Boys, sfrontatezza alla Supergrass e spettro emotivo umbratile alla Smiths, non c’è altro da fare che aprire il proprio cuore e ascoltare il disco con la passione che si riserva alle cose più speciali.
Anche perché queste coordinate di base sono declinate con una fantasia invidiabile che tiene sempre al massimo l’attenzione e il trasporto dell’ascoltatore. Quindi io semplicemente non ho più molte altre parole, questo è un autentico capolavoro e non potete perdervelo per niente al mondo.
11. JULIA HOLTER – SOMETHING IN THE ROOM SHE MOVES (art pop)
12. THE LAST DINNER PARTY – PRELUDE TO ECSTASY (art rock)
13. BEAK – >>>> (experimental rock, post rock, krautrock)
14. CINDY LEE – DIAMOND JUBILEE (noise pop, no wave)
15.THE REDS, PINKS & PURPLES– UNWISHING WELL (alt rock)
I MIGLIORI ALBUM 2024 ITALIANI (gennaio – giugno)
1) ANY OTHER – Stillness, stop: you have a night to remember (songwriting)
2) PAOLO BENVEGNÙ – È inutile parlare d’amore (songwriting)
3) I HATE MY VILLAGE – NEVERMIND THE TEMPO (experimental rock)
4) A MINOR PLACE – SONGS ARE LYING (indie pop, dream pop)
5) TRAUM – TRAUM (experimental)
a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Davide Belotti, Chiara Luzi, Gabriele Marramà e Nicolas Merli
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