Etichetta: Matador Records
Genere: Experimental Rock, Noise
Release: 11 ottobre
Tra tutti gli elementi della formula alchemica intrinseca nei Sonic Youth, il contributo dato da Kim Gordon è stato spesso riconducibile ad una forma artistica di ribellione nella ribellione. Qualcosa, molto spesso di sperimentale e imprevedibile, che sul piano concettuale si traduceva nella più sfrontata manipolazione sonora. Non a caso, se guardiamo cosa è successo dopo lo scioglimento del 2011, possiamo riconoscere in Gordon l’unica della band a non aver accettato di rimanere in territori sonori confortevoli e familiari. L’apripista del 2016, il bel singolo Murdered Out, aveva lasciato presagire l’ennesima uscita in pieno stile alt-rock; tuttavia, ad ascoltare questo No Home Record, ci si accorge che il pregevole singolo rappresenta uno dei pochi bellissimi casi isolati, all’interno di un contenitore avanguardista. No Home Record si ispira liberamente al film del 2015 di Chantal Akerman, No Home Movie.
Il film di Akerman era un resoconto impietoso della solitudine ai tempi delle videochiamate Skype, e di come un posto nel quale si trascorre tutto il proprio tempo possa tramutarsi in una gabbia fredda, straniante, specchio di una solitudine che ha luogo molto più in profondità. No Home Record, analogamente, è un’anti-ode a Los Angeles, descritta brutalmente da Gordon in questo lavoro come La Madre dei non-luoghi. Le sonorità del disco finiscono con l’essere inospitali tanto quanto la megalopoli americana agli occhi di Kim, e fiondano l’ascoltatore in un incubo di beat paranoici e chitarre che sporcano tutto ciò che incontrano sul proprio percorso. Le parole di Gordon sono spesso ipnotiche, specie nella seconda parte del disco, e altrettanto difficili da interpretare. Esse tendono ad accostare cose e oggetti che non hanno nulla in comune tra loro, che dovrebbero appartenere alla vita d’ogni giorno, ma che in una operazione di desemantizzazione finiscono per assumere connotati bizzarri.
L’apoteosi si ha senz’altro nella traccia più lunga del disco, Cookie Butter, che (non) si conclude intonando l’improbabile binomio Industrial Metal supplies/Butter Cookies. In generale, tutto il lavoro ruota attorno alla voglia di distaccarsi da quanto fatto in passato, senza perdere la propria identità: dal punto di vista sonoro è come assistere ad una scopata ispirata tra Trent Reznor e Aphex Twin, e questo per la maggior parte dei brani. I pochi passaggi dove è possibile ritrovare qualcosa di più riconducibile ai dischi dei Sonic Youth sono il singolo Murdered Out, la splendida Air BnB e Hungry Baby. A parte questi pochi episodi, le sonorità estranee di cui vi parlavamo prima, fanno da cornice all’alienazione, alla paranoia, al grigiore, al capitalismo, al tema della separazione. È evidente quanto quest’ultimo passaggio torni in continuazione, e di sicuro è pregnante nei brani della seconda parte del disco: lo ritroviamo appieno Earthquake (che si apre come una moderna The End di doorsiana memoria) e nella conclusiva Get Yr Life Back, che potremmo definire, da un punto di vista stilistico, avanti di vent’anni rispetto a ciò che si ode comunemente nelle radio.
Il risultato complessivo del primo LP solista di Kim Gordon è un album denso di significato da astrarre, libero nella forma così come nel contenuto, e allo stesso tempo inchiodato nelle sue idiosincrasie, che fanno perfettamente rima con quelle dell’artista. Una delle migliori uscite di questo 2019, anche per il modo in cui ci fa ritrovare la nostra beniamina nelle vesti di una splendida sessantaseienne.
Vincenzo Papeo
