02/05/2024
uscite discografiche - www.infinite-jest.it
Uscite discografiche con THE BLACK KEYS, THE LIBERTINES, JANE WEAVER, MOUNT KIMBIE, DRAHLA, STILL CORNERS, LIZZY MC ALPINE, KHRAUNGBIN E GRIGIO SCARLATTO.

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THE BLACK KEYS – OHIO PLAYERS 
(art rock, blues rock)

Il trascorrere del tempo ha necessariamente apportato una grande fiducia nei propri mezzi, e i Black Keys hanno capito che, l’aver raggiunto nei precedenti lavori un pubblico ampio ed eterogeneo, può spingere la band anche verso strade mai percorse. Una strada nuova, però, non è sempre sinonimo di tranquillità e in un viaggio verso nuovi lidi possono accadere incidenti di percorso. Per Ohio Players  Auerbach e Carney hanno aperto le porte dello studio e invitato un piccolo cast di altri artisti a collaborare; da Beck allo straordinario produttore pop Greg Kurstin, ai rapper Juicy J e Lil Noid, questo è un piccolo ma sostanziale cambiamento per i Keys, poiché in precedenza hanno autoprodotto o lavorato unicamente con il collaboratore/produttore di lunga data Danger Mouse.

 

L’aver offerto ampio spazio ai tanti “ospiti” ha non solo creato squilibrio e confusione ma ha letteralmente messo in secondo piano il duo. Tra intelligenza artificiale (usata) e suoni pasticciati, Ohio Players è un disco deludente con pochissimi graffi (salviamo tra tutte “Candy and Her Friends“).
(Giovanni Aragona)

 


THE LIBERTINES – ALL QUIET ON THE EASTERN ESPLANADE
(indie-rock, art- rock)

La scena indie rock è una delle più vaste che ci siano e quindi diventare un’icona della scena non è una cosa facile. Tuttavia, i Libertines hanno gestito il tutto tantissimi anni fa e, dopo aver attraversato una rottura completa della band, hanno pubblicato nulla negli ultimi nove anni. La band è quindi tornata con il loro nuovo album All Quiet On The Eastern Esplanade.

 

Il disco si apre con Run Run Run e dopo pochissimi accordi la sensazione è che la band non sia mai andata in letargo. È un ritorno muscoloso con il loro suono inconfondibile che scorre in tutti i 38 minuti dell’album. All Quiet On The Eastern Esplanade è un gradevolissimo album. Non raggiunge la grandezza di Up The Bracket o dell’album omonimo, ma la band ha fissato un livello alto con quei lavori, quindi è giusto così. Una sintesi di questo lavoro potrebbe essere una pellicola di Michel Gondry che immagina Pete Doherty 23 enne spiare se stesso a 45 anni Un disco nostalgico e bello in alcune parti e piacevolmente caotico in altre capace di mescolare il vecchio con il nuovo senza annoiare. Un gran bel ritorno.
(Giovanni Aragona)

 

 


JANE WEAVER – LOVE IN CONSTANT SPECTACLE 
(art-pop, songwriting)

Da diversi anni, la proposta musicale di Jane Weaver è uno dei migliori esempi esistenti di come bilanciare al meglio classe e facilità d’ascolto. Al decimo album e passati i cinquant’anni di età, Weaver decide di virare su contenuti musicali più votati all’introspezione e alla calma, quasi a voler bilanciare lo sgargiante disco precedente “Flock” del 2021. Troviamo, quindi, canzoni avvolgenti e tranquille, che comunque non mancano di vitalità proprio per la grande cura dei dettagli, sia compositivi, che vocali, che sonori.

 

Questo è un disco suonato stra bene, e infatti l’artista ringrazia profusamente i musicisti che hanno registrato con lei, con un alto livello di composizione musicale e un cantato impeccabile e che dovrebbe essere insegnato nelle scuole. L’ascoltatore si sente coccolato e capito e probabilmente un ascolto così migliorerà l’umore a moltissime persone.
(Stefano Bartolotta)

 


GRIGIO SCARLATTO – DETOX
(post-punk, shoegaze)

Una sciabolata post-punk di 24 minuti, travolgente e senza compromessi. Così si ripresentano i padovani Grigio Scarlatto quattro anni dopo il loro album di debutto, che di minuti ne dura 25. Del resto, questi giovani guerrieri hanno sempre dimostrato di avere come unico scopo quello di metterci tutta l’energia di questo mondo, fregandosene di chi ascolta musica col cronometro in mano. Poi certo, nel corso degli anni si sono evoluti, com’è normale che sia, grazie anche al lavoro con il duo di producer Exit Exit, e il sound si è fatto più pastoso e compatto, con connotazioni shoegaze, come dice la band stessa.

 

La spina dorsale del progetto, però, è sempre la stessa: riff di chitarre appena si può, basso bene in evidenza e tutti giù a suonare forte. I testi alternano la lingua italiana e quella inglese e indubbiamente il cantato suona credibile in entrambi i casi. Certo, qualche cliché dal punto di vista della struttura degli arrangiamenti ancora si nota, ma in un periodo in cui il post-punk e lo shoegaze rischiano di diventare delle fredde mode, è bello poter assistere al percorso di un progetto vero, che fa le cose col cuore.
(Stefano Bartolotta)

 


KHRAUNGBIN – A LA SALA
(psychedelic rock, funk)

Dopo le splendide collaborazioni con Leon Bridges, gli Ep Texas Sun (2020), Texas Moon (2022), e Vieux Farka Touré, Ali (2020), i Khraungbin tornano a viaggiare da soli nel loro universo sonoro fatto di deserti sconfinati e atmosfere mistiche. A La Sala è il loro quarto disco in studio e segna una specie di ritorno alle origini. La struttura del disco è sempre quella tipica della band: influenze funk si mescolano perfettamente a chitarre riverberate e ritmi psychedelic-dub per dare vita a brani ipnotici e meditativi.

 

A La Sala è un buon lavoro, pulitissimo, che si connette concettualmente a Mordechai, ma che non offre nuovi stimoli artistici o nuovi spunti creativi e la band texana rischia ormai di rimanere incastrata in un pattern ripetitivo. Ascoltando questo album si ha l’impressione di viaggiare su una linea retta perfetta, sicurissima, ma priva di quei lievi scossoni in grado di interrompere la tranquillità. Nonostante ciò ci sono comunque brani che grazie alla loro essenzialità spiccano sugli altri come, Farolim de Felgueiras, Caja de la Sala e Le Petis Giris. Con questo lavoro, che è comunque di alta qualità, i Khraungbin hanno giocato in un terreno forse troppo sicuro, non aggiungendo niente di nuovo al loro percorso.
(Chiara Luzi)

 


VAMPIRE WEEKEND – ONLY GOD WAS ABOVE US 
(chamber pop, indie pop)

Ebbene si, dopo 4 ottimi dischi i Vampire Weekend di Ezra Koening finalmente ce l’hanno fatta, sono riusciti a sfornare il loro discone. Unendo tutti gli aspetti migliori dei primi 3 dischi (il fascino acerbo e infantile dell’esordio, la sperimentazione bizzarra e selvaggia di “Contra” e l’ espansiva grandiosità di “modern vampires of the city”), il nuovo disco dei Vampire Weekend si spinge verso limiti più estremi, dando vita a un lavoro enorme. Uno dei quei dischi che possiamo già annoverare tra i migliori in ambito indie pop / chamber pop degli ultimi 10 anni.
Ovviamente “Only god was above us” non è privo di evidenti influenze(neutral milk hotel e i primissimi animal collective su tutti), ma quel che traspare alla fine dell’ascolto è la sensazione di avere a che fare con un lavoro del tutto originale, costantemente avvincente e perfidamente divertente. Il tutto accompagnato da una produzione che a tratti strizza un occhio al jazz ed uno all’elettronica di inizio anni 2000.
(Davide Belotti)

LIZZY MC ALPINE – OLDER 
(indie-folk)

Se al giorno d’oggi la scena musicale è stracolma di cantautori/artisti folk in questo momento, Lizzy a mio avviso si distingue, risultando una delle più sottovalutate. C’è un rinfrescante senso di genuinità nel suo lavoro che molto spesso tende a mancare in alcune delle tante artiste mainstream, e seppure con questo nuovo disco non ha reinventato niente, l’artista di Philadelphia appare più autentica e sincera che mai.
Dal punto di vista produttivo e strumentale il nuovo lavoro in studio è semplice ma geniale: è un toccasana per mente e corpo caratterizzato da morbide percussioni, eleganti pianoforti, e da un bel mix di chitarre acustiche classiche ed elettriche. Mentre l’aggiunta di archi e armonie vocali in alcuni brani sono tocchi di classe che aggiungono eleganza al suo già delicato songwriting. “Older” è senza ombra di dubbio la prova di maturità che ci si aspettava.
(Davide Belotti)

DRAHLA – ANGELTAPE
(noise rock, experimental rock)

Dopo aver pubblicato nel 2019 un album di debutto, “Useless Coordinates”,che venne accolto da una fanfara di critiche positive e portato in giro per il mondo con tanti spettacoli dal vivo al limite del frenetico, sembrava che l’unica parabola in cui i Drahla potessero incappare fosse quella che mirava verso l’alto. Ma poi è calato il silenzio per ben 5 anni. Poco male in realtà, perché è un gran ritorno questo della band di Leeds.
L’aggiunta del secondo chitarrista Ewan Barr, oltre alla presenza di Chris Duffin al sassofono, ha portato la band a sfornare un disco che non segue alcun modello prestabilito e si addentra ancor di più nel calderone noise sperimentale che già contraddistigueva il disco d’esordio. E laddove il suo predecessore si agitava in un furore no wave, come fosse una sorta di embrione dei Sonic Youth, “angeltape” rappresenta la musica di una band matura, venuta a patti con se stessa adattandosi a ciò che li circonda, ovunque si trovino. 
Inoltre, il caos controllato del nuovo disco della band è intriso dei traumi personali del leader Luciel Brown che impreziosiscono le trame nervose delle canzoni qui presenti. E se “Default Parody” spinge sempre più verso il limite, l’inquietante strumentale “A” e il pianoforte di “Venus” riflettono stati d’animo in continua evoluzione.
(Davide Belotti)

MOUNT KIMBIE – THE SUNSET VIOLENT 
(post punk, dream pop)

A distanza di 1 anno da “city planning” e 2 da “MK 3.5: die cuts”, dischi tuttosommato minori, i Mount Kimbie tornano sulle scene con 2 musicisti in più in formazione: Andrea Balency-Bèarn e Marc Pell. Quello che ne consegue è un lavoro che si discosta parecchio dai predecessori. “The Sunset Violent” apre la strada ad un post-punk incentrato sulle chitarre e su di una costante ricerca della perfetta sensazione dream pop in chiave kraut, infatti seppure sintetizzatori e ritmi elettronici siano ancora ben presenti, la sensazione all’ascolto è quella di trovarsi di fronte a un disco dream rock influenzato da future garage post dub step e non il contrario. La trascinante “The Trail” inaugura le danze con le sue graffianti chitarre ed i suoi sintetizzatori che profumano di Stereolab, mentre “Dumb Guitar” riporta alla mente Nabihah Iqbal e la nostalgica “Shipwreck”  presenta ganci spigolosi e un testo urticante.
Come gia successo in passato, anche qui sono presenti due featuring di King Krule, che a differenza dei precedenti son contraddistinti da performance del bravo ragazzetto di Brixton più rilassate e profonde (al limite del fluttuante in “Boxing” e molto teatrale e sardonica in “Empty and silent”), che risultano molto diverse da quelle di alcuni episodi passati più aggressivi e slanciati (“blue train lines” da “love what survive” su tutte). Mentre il resto del disco è fatto di piccoli bozzetti astratti volti a creare istantanee impressionistiche ed a fornire riflessioni oniriche ad occhi aperti. Se questo è l’andazzo che la band vuole seguire ben venga, chi siamo noi per controbattere, specie se i risultati futuri  si confermeranno su questi livelli. Che gran bel cambio di passo questo dei Mount Kimbie, complimentoni.
(Davide Belotti)

STILL CORNERS –  DREAM TALK 
(dream pop, indie pop)

Il nuovo lavoro in studio di Tessa Murray e Greg Hughes non apporta chissà quali novità alla musica del duo statutinitense, ma conferma quanto di buono fatto in passato. Il suono marchiato Still corners è sempre lo stesso più o meno ed è fin da subito pronto a cullarci, trasportandoci in un mondo indie pop fatto di melodie eteree. Dalla frenetica e luccicante “The dream” all’atmosferica “Lose more slowly”, il lavoro di chitarra è come sempre influenzato tanto dall’indie pop quanto da altri generi alternativi (country, folk su tutti), mentre la voce di Tessa a questo giro è vagamente inquietante, a dispetto di altre occasioni in cui appariva solo laconica e sognante.
Un flusso di coscienza sognante che sgorga all’interno di 10 canzoni mai banali quello di “Dream talk”. Niente di nuovo all’orizzonte dunque, ma sempre e solo, l’ incredibile capacità di scrivere grandi canzoni e mettere in piedi grandi architetture sonore. Hai detto poco, dico io. Avercene altre band cosi al giorno d’oggi.
(Davide Belotti)

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