08/05/2024
Il 2021 è ufficialmente entrato nel vivo e ricche sono le uscite discografiche della settimana da noi selezionate. In questo numero abbiamo ascoltato il nuovo album dei Weezer, l'ottimo disco firmato Steven Wilson, Martin Gore e The Notwist. A seguire prestate attenzione alle Goat Girl, Besnard Lakes, Yasmin Williams, Albertine Sarge, Arlo Parks e Madlib accompagnato da Four Tet. 

Il 2021 è ufficialmente entrato nel vivo e ricche sono le uscite discografiche della settimana da noi selezionate. In questo numero abbiamo ascoltato il nuovo album dei Weezer, l’ottimo disco firmato Steven Wilson, Martin Gore, Arlo Parks e The Notwist. A seguire prestate attenzione alle Goat Girl, Besnard Lakes, Yasmin Williams, Albertine Sarge, Madlib e l’ambient di Ai Yamamoto.

a cura di Giovanni Aragona, Patrizia Cantelmo, Paolo Latini e Chiara Luzi

13:00:42  – 29/01/2021



THE NOTWIST – VERTIGO DAYS
(elettro – pop / post – rock)

Dopo qualche anno di assenza, come band, tornano in grande spolvero i Notwist. I Vertigo Days a cui si riferisce la band tedesca sono ovviamente quelli del primo faticoso lockdown del 2020, giorni che hanno completamente stravolto la vita di ogni essere umano. Il disco è un affascinante flusso continuo di musica, i brani precipitano l’uno nell’altro quasi come fossero parte di un unico discorso. L’atmosfera a volte angosciante, altre pervasa da calore, è data da un’amalgama di generi che la band fonde insieme. Alla base di questo lavoro c’è l’improvvisazione che il gruppo gestisce con grande maestria. Lo stile riconoscibilissimo dei Notwist viene contaminato da jazz, krautrock, elettronica, bagaglio dei progetti solisti che i singoli membri hanno portato avanti nel corso degli ultimi anni. Sono presenti dei featuring importanti fra cui Juana Molina e Zayaendo.
(C.L)


STEVEN WILSON – THE FUTURE BITES
(indie pop, electro pop)

Una carriera in cui ha saputo raccontare con i Porcupine Tree il meglio gli esperimenti sonori dei primi 2000 e che continua nel segno della ricerca. Un disco solista intenso e ben costruito che vede Wilson abbracciare il suo ben documentato affetto per il synthpop e la musica elettronica degli anni ’80 più che mai. Un lavoro che ha tanto il sapore del seguito rinfrescante ma logico di To the Bone del 2017. I temi riguardano il consumismo, i social media e il suo lirismo occasionalmente troppo sopraffino e gli arrangiamenti volutamente freddi  rendono The Future Bites poco “muscoloso” ma gradevole.
(G.A)


MADLIB – SOUND ANCESTORS
(hip hop, elettronica)

Madlib è una di quelle figure artistiche monumentali capace di tramutare in oro qualsiasi cosa tocchi. Quando a lui si unisce la sensibilità visionaria di Kieran Hebden, aka Four Tet, quello che esce fuori è un piccolo capolavoro. Sound Ancestors è il risultato di una perfetta combinazione alchemica di due menti incredibili. I due avevano già collaborato in passato, ma questa volta il loro sodalizio raggiunge nuove vette di sperimentazione. Il sistema di lavoro è stato semplice: Madlib ha creato basi e sample che Four Tet ha arrangiato e cucito insieme. Il risultato sono sedici brani visionari, straripanti di stile, in cui sonorità ancestrali e avveniristiche si fondono perfettamente. Succede quindi che il funk anni ’70 sia puntellato dalla cifra stilistica di Four Tet senza che si crei la minima discrepanza. Sound Ancestors è un disco audace, senza dubbio la prima uscita significativa dell’anno nell’universo hip hop.
(C.L)


MARTIN GORE – THE THIRD CHIMPANZEE Ep
(elettronica / sperimentale)

Ascoltando le prime note di The Third Chimpanzee, il cui titolo è un omaggio al libro di Jared Diamond, si viene immediatamente catapultati in un universo ibrido tra Il pIaneta delle Scimmie e 2001: Odissea nello Spazio. Martin Gore usa infatti l’elettronica per modellare storie di primati e mondi inesplorati. I cinque brani che compongono l’Ep sono fatti di una grana dura, le sonorità sono forti, spigolose, non c’è niente di delicato qui. A tratti si viene sollevati dalla mancanza gravità per essere bruscamente riportati a terra da sfilettate di synth che sembrano quasi grida bestiali. Gore esplora in questo lavoro le origini della vita, primordiale e spietata quanto incantatrice. Curiosità: la copertina è stata realizzata da una scimmia di nome Pockets Warhol.
(C.L)


WEEZER “OK, HUMAN”
(indie-pop)

La prolificità della band di Rivers Cuomo a molti sicuramente farà storcere il naso anche se rimane innegabile il talento per sfornare canzoni pop irresistibili, in mezzo a molto materiale quantomeno trascurabile. Difetto da cui non è esente nemmeno questo nuovo capitolo che vira in direzione decisa verso un pop senza chitarre, dagli arrangiamenti classici infarciti di archi. Un disco che procura alterni sentimenti, in bilico fra abbracciare le casse e buttarle fuori dalla finestra, altalenando ispirazione sincera a leziosità inutile. “Ok, Human” in fondo è un titolo perfetto per un disco in cui al centro c’è l’ambivalenza dei sentimenti umani (in questo, “All my favorite songs” è un piccolo gioiello): prendiamolo così, arrendendoci a quell’odio-amore che vuole rappresentare.
(P.C)


ARLO PARKS – COLLAPSED IN SUNBEAMS
(bedroom pop)

Signori è nata una nuova stella e si chiama Arlo Parks. Album di debutto per questa talentuosissima artista capace di cesellare brani avvolti in una nebbia di malinconia e confessioni di formazione sorretta da una voce morbidissima. Dal piacevole R&B degli anni ’90 all’indie lo-fi , “Collapsed in Sunbeams” è la testimonianza della dichiarazione di intenti di Arlo di non incasellare se stessa così presto nella sua carriera. Opera meticolosa e ben riuscita che conquisterà presto anche i più refrattari.
(G.A)


GOAT GIRL – ON ALL FOURS 
(post-punk)

Grande attesa per questo secondo disco targato Goat Girl. Dal grintoso trambusto infuso di grunge ai cori lo-fi rilassanti e ai paesaggi sonori sci-fi intrisi di synth, On All Fours sembra funzionare bene in tutte le salse. Un disco piacevolmente criptico che potrebbe già sorprendere – in positivo – al primo ascolto. È un seguito ben maturo di un debutto esigente, pieno di un’imprevedibilità che richiede di essere ascoltato con estrema calma. L’album è stato prodotto da Dan Carey (già al lavoro con Kate Tempest, Black Midi & Franz Ferdinand) a South London nei primi mesi del 2020.
(G.A)


BESNARD LAKES – Besnard Lakes ARE THE…
(psych-rock)

Silenti da oltre cinque anni, i canadesi Besnard Lakes tornano con il loro sesto disco ai fasti dei primi lavori, caratterizzati da rarefazioni chitarristiche psych e dreamy che qui si dipingono di colori più tetri ed oscuri. L’ispirazione del lavoro, infatti, trae origine da un lutto familiare per dipanarsi in fluttuanti tracce dal sapore cosmico. L’esplorazione di certi temi ben si presta all’esplosione vaporosa di synth ed effetti chitarristici, contrappuntati alle profonde linee di basso e di organo. La qualità del lavoro si mantiene alta per tutta la sua lunghezza, trascinandoci in un’atmosfera dal potente sapore mistico. Una psichedelia ricercata che trova nella desolazione eterea un convincente punto d’approdo verso la quiete.
(P.C)


AI YAMAMOTO – PAN DE SONIC
 (Ambient)

È sotto gli occhi di chiunque voglia vederlo:  il 2020 ha visto un incremento esponenziale di produzioni elettroniche e ambient, e questo trend sembra voler continuare anche per quest’anno, probabilmente anche perché ambient e elettronica sperimentale sono i mezzi più adatti per raccontare l’anno distopico appena passato e anche per fornire una via di evasione.
L’appena uscito Pan De Sonic – Iso della musicista giapponese di stanza a Melbourne Ai Yamamoto continua le peregrinazioni ambient nei field recordings e negli stati descrittivi che di recente si sono sentite per esempio nel sontuoso  Beyond the Yellow Haze di Emeka Ogboh (che racconta la vita a Lagos) o a fine 2020 nel delizioso People on Sunday di Domenique Dumont (colonna sonora di un vecchio film muto), e è la stessa che a breve si sentirà nell’ideale esperienza sonora che Larewnce ha composto per una serata allo Studio Mule, nuovo listening bar aperto a Tokyo (Birds on the Playground, in uscita a marzo).
Yamamoto invece riesce perfettamente a disegnare in musica una sua giornata in isolamento: samples di sveglie che suonano, podcast, chiacchiericci di bambini, gatti, stoviglie, lavatrici, bottiglie e grilli inseriti in un tappeto di ambient soffice e calda, che risponde perfettamente alle direttive di Brian Eno: musica tanto interessante quanto un trascurabile sottofondo. Un disco rapido, che condensa una giornata in mezz’ora scarsa, anche se tutto sembra girare attorno alla lunga, bellissima e avvolgente “Evening Night fall – Fire, cricket, wine Glass etc.,” come se in isolamento, l’unico momento che resta uguale al mondo come lo conoscevamo prima, fosse proprio il momento del sonno, la fine della giornata, dove cerchi di dimenticarti di tutto per poter ricominciare quel tutto daccapo dopo otto ore di sonno.
(P.L)

YASMIN WILLIAMS – URBAN DRIFTWOOD 
(folk/fingestyle)

La neonata Spinster, label espressamente dedicata a produzioni discografiche con taglio femminista, porta avanti il suo programma di ricerca dell’evoluzione di generi tradizionali con la pirotecnica chitarrista Yasmin Williams, e basta sentirla suonare pochi minuti per rendersi conto di quanto sia pirotecnica, e è indicativo che negli ultimi anni anche un mondo generalmente dominato da uomini, quello chitarristico, veda oggi eccellenze come Wendy Eisenberg, Sarah Lipstate e la stessa Williams.
Fin dall’iniziale “Sunshowers” si sente aleggiare il fantasma degli accordi fluviali di John Fahey, ma qui tutto è rinnovato con una fortissima dose di ricerca etnica, strumenti africani come Kora e Kalimba che si sposano a strumenti più classici come il violoncello su “Adrift” e una tecnica lap-tapping sopraffina fanno di questo disco un vero e proprio manifesto di nuovo folk strumentale, sebben forse dedicato più a chitarristi estimatori di dischi eminentemente strumentali che esplorano le potenzialità dello strumento.
(P.L)

ALBERTINE SARGES – THE STICKY FINGERS 
 (art pop)

La berlinese Albertine Sarges, dopo aver messo da parte un po’ di collaborazioni illustri, a esempio con Holly Herndon e con la band synth-wave italiana Ithaca, se ne esce con un disco che non poteva essere più berlinese: lo spettro del Bowie di Low Lodger aleggia per tutte e otto le tracce di The Sticky Fingers, ma non solo Bowie: quella si può sentire in questo disco è forse la migliore versione aggiornata dell’art-pop di artisti cardine tipo Laurie Anderson, Kate Bush e Nina Hagen, a partire dall’opening-track disco-funkeggiante dove sembra di sentire il basso di Tina Weymouth “Free Today.”
Su “Beat Again” Sarges si lancia in vocalizzi pop eleganti e ben rifiniti, mentre il basso pulsante torna su “Oh, My Love,” ballata ipnotica che sembra quasi prodotta da Nile Rodgers. “Stille,” cantata in tedesco, è impreziosita da clangori industrial stemperati dal folk di “Post Office” e dalla spoken-word talking-heads-iano di “Fish” e la conclusiva bowie-esca “Roller Coaster.” Temi femministi in prima linea, fin dall’iniziale “Free Today,” per un disco che riesce a essere tanto retrò quanto attuale, in prefetto stile Moshi Moshi.
(P.L)

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