Ricchissima settimana di uscite discografiche della settimana con gli ottimi lavori dei Parquet Courts, Tricky, Jarvis Cocker e Grouper. A seguire prestate attenzione al ritorno in pista dei seminali Duran Duran, a Jpegmafia, all’ennesimo album di Lana del Rey, ai prolifici Guided by voices, Deerhoof, ai My Morning Jacket e al buon lavoro di Helado Negro. Infine, riecco i Clinic.
a cura di Giovanni Aragona, Patrizia Cantelmo, Chiara Luzi e Flaminia Zacchilli
PARQUET COURTS – SYMPATHY FOR LIFE
(indie-rock, psych rock)
Loro dicono di essersi stufati dell’indie-rock e delle dinamiche piramidali che lo contraddistinguono, di quel perverso modo di vivere la musica fra idoli e fan, quando si sentono solo gente comune. Ma in questa apertura più danzereccia del loro sound non ci vediamo niente di inaspettato, sia perché avevano già iniziato con “Wide Awake!” sia perché mai eravamo riusciti e rimanere fermi ascoltando un loro disco, anche quando si muovevano più nei solchi del punk.
Eppure c’è qualcosa di diverso nel nuovo lavoro dei Parquet Courts, mai così smaccatamente Talking Heads, o come dicono loro, vicino ai Primal Scream: c’è un’energia vitale fortissima, una voglia di smuoversi, ballare e far ballare in un abbraccio collettivo in cui perdersi, ci sono ottime canzoni piene di chitarre senza il minimo accumulo di polvere, e tanto groove. Oltre a John Parish e Rodaidh Mc Donald in cabina di regia. Con questo settimo disco, si confermano una delle band più centrate e rilevanti del loro tempo.
(P.C)
GROUPER – SHADE
(ambient, ambient-pop)
Artista deliziosa, ha riesumato questi brani, li ha rivisti e impacchettati per questo ottimo lavoro intitolato Shade. Sospeso tra ambient, slowcore, folk e drone, le sue proposte cavernose e a tratti oscure raccontato fragilità e delicatezza. Colpisce la spontaneità di questa opera, terribilmente umana e a tratti profondamente “intima”. Non la “talentuosa” artista di pochi anni fa ma autentica realtà del panorama musicale odierno, Liz Harris, sorretta da un gancio vocale notevolissimo è diventata artista completa e la sensazione è che questo Shade possa consacrarla. Shade ha tanto il sapore di un “lavoro di transizione” verso inferi ancor più profondi, alla ricerca di una verità che nasce necessariamente negli abissi.
DURAN DURAN – FUTURE PAST
(synthpop, new wave)
Sei anni dopo l’ultimo lavoro in studio, tornano in pista i seminali Duran Duran presentando il loro quindicesimo album in studio in 43 anni di onoratissima carriera. Se pensate a Future Past come un disco “banalotto” e pieno di hit commerciali vi sbagliate di grosso: questo è un buon disco senza se e senza ma. Vi diciamo subito che questo lavoro ci ha piacevolmente colpito per diversi motivi, partiamo dalla musica: una produzione maestosa in primis, infarcita da Mark Ronson e Erol Alkan, la presenza di Re Giorgio Moroder e il tocco delicato di Graham Coxon dei Blur.
Future Past è pieno di nostalgia anni ’80, ma è anche un lavoro omogeneo e ben riuscito: mentre molti coetanei dei Duran Duran optano per comparsate in programmi trash, o in Greatest Hits tour al pannolone, i Duran Duran sfidano se stessi rimettendosi in gioco come dei ventenni. Applausi e lunga vita ancora.
(G.A)
JARVIS COCKER – CHANSON D’ENNUI TIP-TOP
(retro-pop)
Jarvis Cocker e Wes Anderson, insieme? Chissà perché, ma la cosa – per quanto inaspettata – non ci stupisce. A maggior ragione se pensiamo al tema del prossimo film in uscita del regista americano, “The French Dispatch” del quale questo nuovo disco rappresenta un’appendice. Si tratta infatti di una sorta di tributo al pop francese targato anni Sessanta, perfetto per rendere l’ambientazione del film, una redazione giornalistica stile New Yorker in una città immaginaria della Francia del XX secolo. Amante del romanticismo dandy e sofisticato com’è, Jarvis Cocker si cala benissimo nella parte dello chansonnier pop francese, aiutato anche da Leatitia Sadier nella versione di “Parole Parole”che fu di Dalida e Delon. Fra i pezzi più riusciti, sicuramente uno dei primi estratti “Aline”, ma tutto il disco è gustoso.
(P.C)
DEERHOOF – ACTUALLY, YOU CAN
(experimental rock, art pop)
Chissà come suona un nuovo (ennesimo) album dei prolifici Deerhof. Dopo 25 anni di carriera vissuti a realizzare incantesimi mistici di rock sperimentale la band continua nel percorso caotico ed a tratti ipnotico creativo. Di sicuro questo diciottesimo disco è sicuramente più essenziale, volutamente semplificato in suoni di chitarre, basso e batteria. Tra riferimenti biblici a colpi di ritmi sconnessi, la band dimostra ancora di esser “la più fragorosa formazione attuale in delicate distorsioni”. Un buon album, al solito ipnotico e piacevolmente “in acido”, da ascoltare necessariamente dal vivo. Nove canzoni in mezz’ora lisergica da consumare in fretta.
(G.A)
HELADO NEGRO – FAR IN
(chillwave, indie pop)
Schiacciate lentamente play e lasciatevi totalmente ammaliare da Far In, ne vale la pena. Ogni nota di questo album suona “romantico” e tutto è terribilmente congelato in una dimensione temporale lontana anni luce dalle luci, dal fragore e dagli eccessi di questa epoca. Far In, riporta il pendolo del discorso ai flussi elettronici del passato. Un album sicuramente ma pieno di varietà sonora. Questo sopraffino artista continua attraverso il suo solito approccio ibrido di cantare in spagnolo e inglese in modo quasi uniforme pur utilizzando molti degli stessi ingredienti nelle precedenti scorribande del suo catalogo. Un album che, al primo ascolto potrebbe suonare terribilmente “comfort zone”, o al massimo potrebbe farvi immergere in 1 ora di totale spensieratezza. Mica è poco.
(G.A)
GUIDED BY VOICES – IT’S NOT THEM. IT COULDN’T BE THEM. IT IS THEM!
(indie-rock, jangle pop)
Altro che semplice album, qui si tratta di una nuova giovinezza. I Guided by Voices danno vita al secondo album del 2021 e lo fanno con una disarmante semplicità. Nulla a caso, tutto ben organizzato, ed ecco quindici buonissime tracce. It’s Not Them si distingue un po’ dai loro recenti lavori principalmente in termini di produzione; questo è un po’ più lucido del solito, e l’occasionale inclusione di archi e fiati si sposa bene con le più grandi influenze psichedeliche e prog dei brani di Pollard. Sebbene molti fan rimarranno per sempre legati ai giorni di gloria dei Guided by Voices formato 1994, la nuova vita di Pollard e soci è strabiliante. Anche questo disco testimonia, in breve, che i Guided By Voices restano una grandissima band, con o senza retronostalgie, prendere o lasciare.
(G.A)
CLINIC – FANTASY ISLANDS
(alt-pop, electro-rock,synth pop)
Un gradito ritorno in pista per i Clinic. La band piazza l’ottimo colpo intitolato Fantasy Islands portando, nuovamente, l’ascoltatore nel loro mondo visionario e futurista. Un disco che ha tanto il sapore di “Paura e Delirio a Las Vegas” tra ritmi seducenti ed ipnosi sonora. Il lavoro più figlio di Jarvis Cocker e dei Pulp vecchia scuola, pieno di ottime scorribande elettroniche (Refractions su tutte). In questo lavoro c’è la fantascienza che incrocia l’italo disco: 12 brani in mezz’ora di puro piacere sonoro (e non). Consumatelo in fretta, non ve ne pentirete. Un disco piacevolmente irreale capace di raggiungere il culmine nel finale consegnato a “Grand Finale”: il disco più eccentrico della settimana di una band (se pur ridotta) pienamente in forma.
(G.A)
JPEGMAFIA – LP!
(art rap)
Esce oggi, nel giorno del suo trentaduesimo compleanno, LP! il nuovo lavoro in studio di JPEGmafia. Il rapper di Brooklyn ci consegna un disco ampio e complesso ma con cui è facile entrare in connessione. Nell’arco di cinque anni e quattro album pubblicati, JPEGmafia ha sviluppato un suo stile, una sua personale visione che lo ha reso uno degli artisti più interessanti della sfera rap underground. LP! è contaminazione pura, il rapper continua a sviluppare il suo unico modo di fare musica in maniera libera, sviluppando sonorità che non è semplice descrivere. Uno dei brani più strani in questo senso è la frenetica BALD! e il suo consequenziale remix, BALD! REMIX ad opera di Denzel Curry. A questa fa da contraltare il mood lento, quasi west Coast, di ARE U HAPPY? e OG!. JPEGmafia ci ha regalato un nuovo interessantissimo lavoro mantenendo alta la qualità e lo spessore artistico.
(C.L)
TRICKY, LONELY GUEST – LONELY GUEST
(alt pop, trip hop)
Nell’arco di quasi trent’anni Tricky ha sempre aperto la porta a numerosi artisti con cui ha dato vita a collaborazioni prolifiche ed interessanti. Dalla condivisione nascono sempre nuove visioni, per questo non stupisce la genesi del suo nuovo progetto Lonely Guest. Definito come un ‘incontro di anticonformisti musicali’ questo progetto è una magnifica fusione di menti brillanti il cui risultato è un eccellente disco dal titolo omonimo. L’album si muove nella galassia sonora di Tricky, scandaglia l’oscurità che l’artista inglese governa con estrema facilità. Questa volta i preziosi contributi esterni giocano un ruolo fondamentale nel creare diversi livelli sonori.
A partire dall’opener, l’omonima Lonely Guest, domata dal violoncello e dalla voce delicatissima di Marta, riconosciamo le atmosfere familiari di Tricky. Diventano ruvide e concitate in Pre War Tension in cui compare Joe Talbot degli IDLES. Violoncello e chitarre ruvide si mescolano all’elettronica di cui Tricky è il re. Uno dei brani più intensi e scuri è sicuramente Atmosphere in cui viene campionato Lee “Scratch” Perry, scomparso lo scorso agosto. Moltissimi gli artisti che prendono parte a questo lavoro collettivo fra cui Kway, Paul Smith e Breanna Barbara. Raramente sbaglia la mira Tricky, anche questa volta ha colto perfettamente il centro del bersaglio.
(C.L)
LANA DEL REY – BLUE BANISTERS
(songwriter, dream pop)
In che direzione può andare la carriera di Lana del Rey dopo aver rilasciato il suo magnum opus? Acclamato dalla critica e dal pubblico, Norman F*cking Rockwell (o NFR) sembra essere l’ultimo punto fermo a cui si aggrappa la carriera della cantante californiana. Con la decisione sicuramente ambiziosa (forse pure troppo) di rilasciare due album nello stesso anno, Lana del Rey si produce in un’impresa sicuramente ben fatta, ma allo stesso tempo ben lontana dai suoi fasti.
Si trattava di capire se Blue Banisters sarebbe stato per la signorina Grant un ritorno alla forma e una riscoperta dei suoi attributi, o l’ennesima scivolata verso il pilota automatico in un percorso già tracciato pochi mesi fa dallo stanco Chemtrails Over The Country Club. Un po’ di tutti e due, ma con una notevole sterzata a destra, in una collezione di brani che potrebbero uscire tranquillamente da Honeymoon, Lust For Life, e nei casi peggiori – quando ascoltate da quarantacinque minuti e non riuscite a capire da quanto tempo siete là – anche da Chemtrails Over The Country Club.
Uscito, ricordiamolo, pochi mesi prima. Blue Banisters conferma l’abbandono più totale del pop da classifica da parte di Lana Del Rey, con tre tracce su quattro superano i cinque minuti. Si tratta però dell’unica vera virata creativa da parte della cantante, che ritorna alla forma come il figliol prodigo alla casa paterna, intenzionata più che mai a non andarsene mai più. Si torna a casa: alle ballate al piano, al romanticismo eccessivo, svenevole, così vintage da far girare la testa. I lidi che Lana del Rey conosce fin troppo bene e dei quali, ormai, ha percorso la distanza tante di quelle volte da incidervi eternamente le sue orme.
Un album che scorre a fatica e non si solleva mai da terra, né sembra interessato a provarci. Si finisce solo a chiedersi quando, e se, ci sarà un termine. Una scintilla di vita. Oppure si ripensa a errori “interessanti”, come la spenta cover di Don’t Let Me Be Misunderstood che compariva alla fine di Honeymoon, e ci si dispiace. Perché se alla fine l’unica traccia che emerge dalla palude con un po’ di personalità è un bizzarro interludio mezzo jazz mezzo trap – sì, trap, non si sa perché – se ne coglie che Blue Banisters è solo un laboro decente. Di un’artista che non era nata così, e che dovrebbe essere tutto eccetto.
(F.Z)
MY MORNING JACKET – MY MORNING JACKET
(indie-rock)
Avevamo perso di vista colpevolmente i My Morning Jacket, e forse lo avevano fatto anche a loro, tanto che erano sul punto di sciogliersi: provvidenziale il tempo a disposizione sotto lockdown e il riascolto di pezzi scritti anni prima e mai pubblicati (scaturiti in “The Waterfall II” del 2020) che ha ridato consapevolezza sul valore accumulato dalla band di Jim James e indicato la strada su cui proseguire. Ed eccoci nel 2021 con un nuovo disco davvero sorprendente, lunghissimo, con pezzi da 9 minuti, in cui si passa da canzoni quasi hard-rock (Complex) a dilatazioni sonore basate su ripetizioni (The Devil’s In The Details) fino a echi psichedelici (In Color) e tante altre suggestioni che fatichiamo ad elencare. Un ottimo lavoro, sia per la scrittura che per le sfumature musicali molteplici, quasi un compendio di tutto quello che i My Morning Jacket possono offrire. Anche nel 2021.
(P.C)