26/04/2024
In questa settimana di uscite discografiche tanti i dischi da ascoltare. Segnate subito in agenda i ritorni di Phoebe Bridgers, King Gizzard and the Lizard Wizard, la performance struggente di Nick Cave, e l'ultimo lavoro dei seminali Cabaret Voltaire (in splendida forma). A sorpresa, i Green Day, riesumano il moniker The Network. Ultimo EP del 2020 (di una lunga e inutile saga) firmato Dirty Projectors e ottimo lavoro partorito dalla talentuosissima Shygirl. Prestate poi attenzione al nuovo album dei The Cribs e all'indie-folk di Laura Fell. Entriamo nei piacevoli inferi underground per suggerirvi perle di rara bellezza create dal jazz di Rob Mazurek, dall'indie-rock targato Hypoluxo, da Anna McLellan, Angele David-Guillou, dall'ottimo indie rock dei Mamalarky e dal garage rock dei Chives.

In questa settimana di uscite discografiche tanti i dischi da ascoltare. Segnate subito in agenda i ritorni di Phoebe Bridgers, King Gizzard and the Lizard Wizard, la performance struggente di Nick Cave, e l’ultimo lavoro dei seminali Cabaret Voltaire (in splendida forma). A sorpresa, i Green Day, riesumano il moniker The Network. Ultimo EP del 2020 (di una lunga e inutile saga) firmato Dirty Projectors e ottimo lavoro partorito dalla talentuosissima Shygirl.

Prestate poi attenzione al nuovo album dei The Cribs e all’indie-folk di Laura Fell. Entriamo nei piacevoli inferi underground per suggerirvi perle di rara bellezza create dal jazz di Rob Mazurek, dall’indie-rock targato Hypoluxo, da Anna McLellanAngele David-Guillou, dall’ottimo indie rock dei Mamalarky e dal garage rock dei Chives.

10:29:23  – 20/11/2020

a cura di Giovanni Aragona, Chiara Luzi e Paolo Latini



NICK CAVE – IDIOT PRAYER
(piano rock)

Idiot prayer racconta la delicata – e a tratti struggente – esibizione di Nick Cave dello scorso giugno all’Alexandra Palace di Londra e successivamente trasmesso in streaming il mese successivo, che è diventata un album dal vivo e un film-evento. Assetto minimale, piano e voce e scenari rassomiglianti molto a Skeleton tree e Ghosteen. La scaletta è intelaiata per soddisfare ogni palato e ogni generazione. Ventidue canzoni e un solo inedito, “Euthanasia”e due pietre miliari come Into my arms e The ship song. 

La performance è stata filmata dal pluripremiato direttore della fotografia Robbie Ryan(The Favorite, Marriage Story, American Honey) nella splendida West Hall di Alexandra Palace. Il montaggio è stato curato da Nick Emerson (Lady Macbeth, Emma, Greta). La musica è stata registrata da Dom Monks. Idiot Prayer è il quarto film che Nick Cave ha distribuito in collaborazione con Trafalgar Releasing, dopo Distant Sky – Live in Copenhagen del 2018 diretto da David Barnard, One More Time With Feeling del 2016 diretto da Andrew Dominik e il pluripremiato 20,000 Days on Earth diretto da Iain Forsyth e Jane Pollard. Per i fan ma non solo: Idiot Prayer è il racconto delicato dell’uomo Cave.
(G.A)


THE CRIBS – NIGHT NETWORK 
(post-punk revival)

Non scopriamo certamente oggi i Cribs, band che macina album e concerti dal vivo da ben 16 anni. Giunti al loro ottavo album in carriera la band sembra aver azzeccato una formula “piaciona” che strizza l’occhio a radio e mainstream. Non che sia un male ci mancherebbe, e in 43 minuti il disco non perde mai di intensità. Due anni fa il gruppo si è chiuso in confessionale con Dave Grohl dei Foo Fighters e ne ha accettato non solo consigli ma anche studio di registrazione. 

L’album, che è autoprodotto, è stato progettato da James Brown (Foo Fighters, Arctic Monkeys) e mixato da John O’Mahony (che ha anche lavorato a Men’s Needs, Women’s Needs, Wutely e For All My Sisters). Compare anche Lee Ranaldo dei Sonic Youth in una traccia (I Don’t Know Who I Am) che si infila in una pastiche sonora ben strutturata, omogenea e perfettamente coerente. Un post-punk revival che fa tanto nostalgia degli anni ’90 di MTV.
(G.A)


CABARET VOLTAIRE – SHADOW OF FEAR
(industrial, proto-acid house, electro)

Quindicesimo album in carriera per i seminali Cabaret Voltaire. A distanza di quasi 30 anni dall’uscita della band da parte di Stephen Mallinder è rimasto il solo Richard H Kirk, ultimo baluardo originale rimasto a sperimentare. I Cabaret Voltaire targati 2020 sono un progetto esclusivamente strumentale e questo disco è un nitido esempio di come si debba suonare proto-acid house mescolato ad elettronica e dub con il solito atteggiamento punk in ambienti malsani e oscuri. Maestri indiscussi.
(G.A)


PHOEBE BRIDGERS – COPYCAT KILLER
(indie-rock)

Solitamente gli Ep che vengono pubblicati a pochi mesi di distanza dal disco madre non hanno molto da aggiungere concettualmente o musicalmente a ciò che è stato già raccontato. Fa eccezione a questa regola Copycat Killer, Ep che Phoebe Bridgers rilascia a cinque mesi dall’uscita di Punisher. Avvalendosi della collaborazione di Rob Moose, la giovane artista reinterpreta quattro brani scelti dal suo secondo Lp. Non c’è uno sconvolgimento totale in questo lavoro, la Bridgers e Moose hanno solamente liberato il lato nascosto che questi pezzi già possedevano ed il risultato è maestoso.

L’atmosfera morbida e onirica non viene assolutamente scalfita ma i nuovi arrangiamenti orchestrali caricano i brani di una vitalità incredibile che mancava un po’ agli originali. Questo lavoro è intenso, possiamo azzardare nel dire che in quanto ad eleganza e potenza si pone un gradino sopra a Punisher.
(C.L)


KING GIZZARD &THE LIZARD WIZARD – K.G.
(psych rock)

Chiunque si appresti ad ascoltare K.G., sedicesimo lavoro in studio di questa prolifica band australiana, verrà travolto da un turbinio di suoni lisergici e potenti a cui dovrà per forza di cose abbandonarsi. I King Gizzard hanno costruito un lavoro complesso, costituito da molteplici livelli capaci di intrecciare altrettante numerose texture sonore. La fusione di così tanto materiale e l’uso in particolare di strumenti Turchi permettono ai dieci brani del disco di condurre l’ascoltatore tra le vie strette e di un mercato mediorentale colorato da tinte acide e brillanti. I King Gizzard continuano a fare in questo disco ciò che gli riesce meglio, suonare abbattendo preconcetti e limitazioni di ogni sorta.
(C.L)


SHYGIRL – ALIAS (EP)
(electro dance)

Fermi tutti: è sbocciato un talento e si chiama Shygirl artista londinese che pubblica questo delizioso EP (secondo in carriera) per la sempre attenta ai talenti e interessante Because Music. Sette brani spalmati in 20 minuti in un turbine dance elettronica di ottima fattura. Produzione di alto livello con Sophie e Oscar Scheller. L’artista ha inoltre lavorato a stretto contatto con ARCA e il risultato è: un lavoro godibilissimo e multidimensionale nei testi e nel suono tra elettronica dance, hip-hop e EDM. Segnatevi questo nome, questa ragazza è uno dei migliori gioielli in circolazione.
(G.A)


THE NETWORK – TRANS AM
(post punk, elettronica)

Gli outsider di questo venerdì sono i The Network, side project dei Green Day, che hanno rilasciato un Ep, appunto, a sorpresa. Trans Am, che prende il nome da un modello di Pontiac che troneggia sulla copertina, è un condensato di synth e sonorità post punk. I ritmi sono vigorosi e martellanti, quasi rave nella per niente velata Ivankkka is A Nazi. I brani non sfigurerebbero affatto se inseriti in un qualsiasi film anni ’80 pieno di macchine in corsa o di risse in qualche locale. Questi brani sono probabilmente un’anticipazione del secondo Lp dei The Network, Money Money 2020 Pt II: We Told Ya So! la cui uscita è attualmente prevista per il 4 dicembre.
(C.L)


DIRTY PROJECTORS – RING ROAD (EP)
(indie-folk)

I Dirty Projectors sono tornati in pista ad inizio anno puntando start su un lungo ciclo di EP iniziato a febbraio con Ring Road. Oggi è stato pubblicato il quinto e ultimo lavoro. Il disco è sempre targato Domino Records.e tutti i brani di questo capitolo saranno pubblicati in un’antologia di 20 canzoni intitolata 5EPs. Non affrettatevi, non serve, passate oltre. Abbiamo già speso troppo tempo nell’ascoltare questo preconfezionato indie-folk anonimo e spesso senza senso che ad onore di cronaca suona bene solo per qualche ninna ninna ai vostri pargoli.
(G.A)


LAURA FELL – SAFE FROM ME 
(folk-rock)

Cosa succede quando finisce un rapporto e come andare avanti? Laura Fell conosce la ricetta e il suo album di debutto cerca di dare molte risposte alle “conseguenze dell’amore”. Un folk-rock silenziosamente delicato, sussurrato e toccante, e che mette le radici all’interno delle relazioni  umane e alle contestuali  debolezze che possono emergere in un post rottura. Piacevole e senza fronzoli. Buon disco d’esordio prodotto da Balloon Machine. In allegato Bone of Contention, la miglior traccia del disco: una ballad tanto figlia di Jeff Buckley versione acustica.
(G.A)


ROB MANZUREK & EXPLODING STAR ORCHESTRA – DIMENSIONAL STARDUST 
(jazz)

Chicago è in assoluto l’avamposto musicale di tutto ciò che è nuovo, alternativo e bello. Dall’elettronica di Hausu Mountain, al post-rock di Thrill Jockey e Touch and Go, agli eclettismi di kranky, ai nuovi linguaggi trovati da Trouble In Minds, al “jazz e i suoi frutti” (o “post-jazz”) di International Anthem. E Rob Manzurek è l’anima di tutto ciò che frulla a Chicago: radici ben affondate nel jazz e nella classica contemporanea, un tronco che sale su dal post-rock e ramificazioni che lo portano vicino a territori dell’elettronica e della musique concète e anche di certa musica brasiliana.

Questo Dimensional Stardust è il secondo album uscito dalla collaborazione di International Anthem con Nonesuch, e segue lo splendido Suite for Max Brown di Jeff Parker uscito a gennaio. Qui la ESO gira a pieno ritmo, i suoi 12 elementi (più Mazurek) si incastrano alla perfezione, Jamie Brunch, Chad Taylor, Damon Locks, lo stesso Parker si amalgamano in un suono che dà voce alla multiforme Chicago, senza mai cadere in odiosi virtuosismi o tediosi tecnicismi, continuando le “Parabole” di Mazrurek e esplodendo in esempi che toccano diversi generi pur restando intimamente radicate in una versione futurista e liquida del free-jazz, non senza sfumature avanguardiste (“Abstract Dark Energy (Parable 9)”) e anche “pop” (“Parable of Inclusion”).
(P.L)


HYPOLUXO –  HYPOLUXO
(indie-rock)

Storia di fallimenti e rivalse quella degli Hypoluxo, che dopo due dischi tutt’altro che memorabili e un pessimo contratto discografico trovano un riscatto passando alla distribuzione Flexible di Terrible Records, grazie anche all’aiuto di Allen Tate dei Sam Fermin, e lo fanno con un disco fresco, ossuto, diretto. Samuel Cogen ha messo da parte il crooning  e la chitarra di Cameron Riordan si fa più affilata, pulita e diretta. Con “Seth Meyers,” “Tenderloin” e “Ridden”  l’indie rock lezioso rivestito di dream-pop dei primi due album lascia spazio a una proposta più sobria, in zona primi Talking Heads sulla scia di Omni, Eades o Hecks.

Su “Appetizer” ritorna il crooning, ma declinato in territori Interpol-iani, con un basso saldo, profondo e preciso e accordi in levare e “Shape Ups” profuma del CBGB di metà anni settanta. C’è sempre simpatia per chi cade e si rialza, quindi viva gli Hypoluxo.  Esce in digitale e su cassetta.
(P.L)


ANNA McLELLAN – I SAW FIRST LIGHT
(indie-folk)

Terzo disco per Anna McLellan, e suo secondo per Father/Daughter, etichetta che si sta muovendo decisamente bene (Anjimile, Christelle Bofale, Lisa Prank), I Saw First Light è a tutti gli effetti il suo disco della piena maturità. Anna ha iniziato a suonare per Omaha e dintorni appena diciassettenne, sul primo disco ha avuto l’onore di una collaborazione con Conor Oberst e successivamente ha aperto una serie di date per Frankie Cosmos, tutte esperienze che qui si concretizzano in una manciata di belle canzoni indie-folk che  però arricchiscono il paradigma sempre piuttosto rigido con una serie di arrangiamenti eleganti.

Disco che è stato registrato più o meno in lockdown, e qui si sente forse un po’ meno la produzione di Ben Brodin, presente nei due precedenti, ma pezzi come  “To Prove” con quella vaga ma decisa struttura anni novanta, “Celery/Gone” e “Pace of the Universe” sono quanto di più onesto e sincero si possa chiedere all’indie-folk. Del resto Anna  giovanissima, e ha appena imparato a volare.
(P.L)


ANGÈLE DAVID-GUILLOU – A QUESTION OF ANGLES
(ambient)

In un recente articolo di una delle migliori riviste musicali si è notato come Norman Records abbia definito Angèle David-Guillou (peraltro già cantante nei Piano Magic) un “talento sottostimato” e bastano pochi minuti di questo nuovo ep A Question of Angles per capire che sarebbe anche l’ora di smettere di sottostimarlo quel talento.

In deciso controbilanciamento dei precedenti lavori di David-Guillou, astratti, scarni e minimali, qui le sei tracce presentano un ottetto di fiati e un settetto di archi, in aggiunta a violoncello,  piano, clarinetto e theremin (quello che sembra essere un soprano sulla title-track è in realtà un theremin).

Sei composizioni sospese tra i confini del post-rock più cinematico e colonne sonore morriconiane, siamo vicini al post-ambient-rock dei Kopernik, ma quindici anni dopo quella ricetta viene arricchita da una maggior ricchezza di cambi di tempo e di tonalità. “Forgetting Trees” è forse il momento più normalizzato in un disco che sfrutta tecniche di produzione decisamente post-rock e anche ambient (i loop ossessivi di “Absolutely Not”) per confezionare trentasei minuti di musica classica da ascoltare come se fosse altro.
(P.L)


MAMALARKY – MAMALARKY
(indie-rock)

Mamalarky sono un boomerang partito dal Texas, stazionato in Georgia e poi finito a Los Angeles, e a ben vedere la California è l’habitat naturale per la musica eclettica e volutamente démodé dei Mamalarky, un po’ surf-rock, un tocco di rock da FM, una spruzzatine di funk, una leggera filigrana psichedelica, ma leggera leggera, quel poco che basta per dare sapore.

“Hero” ha un andamento funkeggiante che nei versi si apre a qualche influenza vagamente samba, il singolo “You Make Me Smile” è una cosa che farebbe Carole King oggi se Carol King oggi avesse vent’anni, e è il contorcano del singolo di apertura “Fury,” che invece rappresenta il lato più rock dei Mamalarky. “Almighty Heat” ha un che di jangle e di estremamente accattivante, “Singalong” vira verso il rock più divertito e divertente, una jam di raccordo che ti porta diritto verso il finale con il disco-rock hammond-driven  “Drug Store Model”  e l’ammaliante e conciliante closing-track “Don’t Laugh at Me.” Un disco caloroso e accogliente.
(P.L)


THE CHIVES – THE CHIVES 
(garage-rock)

I Chives sono un supergruppo bostoniano formato da membri di gruppi garage rock e lo-fi che i poseur che danno soldi a Spotify non conoscono, tipo  Brittle Brian, Blue Ray, Squitch, Look Like Mountains e altri. Nei ventisette minuti, tesi e veloci di The Chives   Chives frullano insieme lo-fi. garage, surf-rock, jangle, powerpop, tutto insieme e  spesso sovrapposto in pochi secondi nell’arco di una stessa canzone.

Canzoni con titoli come  “YOUR MOTHER’S A BITCH,” “FAIRIES WEAR BOOTS” e “FUCKED MY SHIT UP” fanno capire che siamo a metà strada tra Daniel Johnston e il lo-fi più indolente e indipendente, ma soprattutto titoli come “HIGH IN THE BACKYARD,” “MY MORNING SPLIFF” e “SMOKING UNDER THIS TREE” spiegano come mai la cassetta non poteva che essere color verde “erba.” Solo su Bandcamp.
(P.L)


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