27/04/2024
uscite discografiche luglio - www.infinite-jest.it
Settimana di uscite discografiche con Explosions in the Sky, The Pretenders, Nation of Language, Mitski, Madison Beer, Vagabon, Ash, Palomo e Woods.

Settimana di uscite discografiche con Explosions in the Sky, The Pretenders, Nation of Language, Mitski, Madison Beer, Vagabon, Ash, Alan Palomo, PCM e Woods.

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta e Fabio Campetti 

11:21:56  – 15/09/2023


uscite discografiche luglio - www.infinite-jest.it


MITSKI – THE LAND IS INHOSPITABLE AND SO ARE WE
(indie pop)

In un comunicato stampa, reso disponibile a margine dell’annuncio del nuovo album, l’artista aveva descritto “The Land is Inhospitable and So Are We” come “Il mio album più americano”, e gli effetti del suo trasferimento a Nashville sono distinguibili in tutto. Una navigazione mozzafiato della mappa musicale dell’indie pop, sottolineata da una tenerezza poetica nella sua esplorazione del paesaggio dell’amore e dei sentimenti. Il settimo album di Mitski trionfa, dai suoi primi accordi delicatamente strimpellati al suo finale di pedale pigiato forte sugli effetti, in tutto. Mitski non solo ha creato il suo album più coeso, accessibile e musicalmente diversificato, ma anche un’opera accattivante di notevole bellezza.

(Giovanni Aragona)


MADISON BEER – SILENCE BETWEEN SONGS 
(indie pop)

Si è parlato tanto, tantissimo e troppo, di questa artista: poco della sua musica, tanto di gossip e problemi personali. La musica, bene, quella purtroppo continua a non funzionare. Un’infarinatura di singoli a parte, abbiamo avuto solo due lavori completi, l’EP del 2018 “As She Pleases” e il suo album di debutto del 2021. Questo nuovo disco avrebbe dovuto sancire un passo importante nella carriera di Madison Beer ma il risultato non convince. Un disco troppo influenzato dall’amore per Lana Del Rey che risulterà, infine, un disco da accantonare quasi in fretta. 

(Giovanni Aragona)


PRETENDERS – RELENTLESS 
(alternative rock, punk rock)

Questa formazione dei Pretenders, ora ridotta a Hynde e al chitarrista/multi-strumentista James Walbourne è più ballad-oriented di quanto molti potrebbero presumere. Tuttavia, i brani teneri ma duri sono immediatamente identificabili come emergenti dall’iconica band. La voce di Hynde, a 71 anni, è solo una sfumatura più debole rispetto agli esordi per Sire Records nei primissimi anni ’80. Le canzoni di Relentless sono forti, i testi sono stridenti come ci si aspetterebbe, e il modo di suonare di Walbourne rimane tecnicamente perfetto. La frontwoman rimane una venerata veterana del rock and roll, la cui integrità non è mai stata messa in discussione e, come suggerisce il titolo appropriato Relentless, non si fermerà mica adesso: la chiusura, affidata alla struggente “I Think about you Daily”, lo dimostra.

(Giovanni Aragona)


NATION OF LANGUAGE – STRANGE DISCIPLINE 
(synth pop, new wave)

Se c’è una band, nel panorama mondiale, che più di ogni altra ha vissuto la tragedia della pandemia, i Nation of Language rappresentano “la case history” per eccellenza. Terzo album in carriera, nati in piena pandemia con due album sfornati, e questo nuovo lavoro che sancisce definitivamente il talento sopraffino della band di New York. Strange Discipline è stato prodotto da Nick Millhiser (membro dal vivo di LCD Soundsystem e anche metà di Holy Ghost). L’impegno era quello di mantenere il processo il più radicato possibile nell’ingranaggio analogico e stampare le tracce su nastro. Tra Depeche Mode e Gary Numan, il terzo lavoro del gruppo  esplora le sfide della condizione umana con tutti i suoi sintetizzatori alti e bassi. Un gran bel lavoro.

(Giovanni Aragona)


ALAN PALOMO – WORLD OF HASSLE 
(synth pop, chillwave)

World of Hassle è stato originariamente concepito come un nuovo album dei Neon Indian prima che Palomo decidessse di abbandonare l’dea: “L’album evoca l’età d’oro degli anni ’80 di rock star come Bryan Ferry e Sting lasciando i propri progetti di svolta per diventare musicisti solisti jazz. È una parodia, certo – dei viaggi dell’ego delle rock star, della messa in gioco d’acqua dell’America e della nostra ossessione, anche sull’orlo dell’apocalisse – ma è anche molto serio, il suono della storia che si ripete mentre l’orologio del giorno del giorno del giudizio scatta oltre il suo massimo dell’era Reagan e l’ansia nucleare”. Un discreto esordio solista per il nostro eroe in piena forma e in totale agio a far bella mostra del suo falsetto senza pari su strumentali ballate che trovano conforto in momenti esplosivi di beatitudine pop al sapore di chillwave. 

(Giovanni Aragona)


VAGABON – SORRY I HAVEN’T CALLED 
(art pop, alt-pop)

Il terzo album di  Vagabon è una nitida esplorazione della giovane età adulta nel suo più reale – disordine. Si confronta con se stessa, gli altri e il passato, il tutto su canzoni debilitantemente oneste che hanno alcuni dei ganci pop più accattivanti dell’anno. Sorry I Haven’t Called è un disco caldo e invitante, se non particolarmente inventivo. Il disco è stato scritto principalmente dopo la morte di una delle sue amiche nel 2021, ma invece di una storia cupa, lo esplora e lo celebra con la sua moltitudine di suoni. Divertente. 

(Giovanni Aragona)


ASH – RACE THE NIGHT 
(pop-rock)

Ormai non c’è più molta curiosità su cosa aspettarsi da un nuovo disco degli Ash, visto che il trio guidato da Tim Wheeler, nel corso della sua quasi trentennale carriera, ha sempre basato la propria proposta sugli stessi elementi: melodie pulite e immediate; suono diretto e con pochi fronzoli; testi parimenti semplici e capaci di coinvolgere un ampio numero di ascoltatori; il timbro vocale di Tim in equilibrio tra morbidezza e incisività. Ciò non significa che gli Ash siano rimasti troppo simili a se stessi in tutti questi anni, perché, all’interno di queste coordinate, ci sono state variazioni sul tema, in termini di pesantezza del suono e della presenza di ulteriori elementi oltre a quelli del classico triangolo rock.

In questo nono lavoro di inediti, i tre includono un po’ tutto ciò che hanno fatto finora. Probabilmente, quindi, questo può essere definito il disco più vario in assoluto degli Ash, perché c’è davvero di tutto: canzoni che puntano sull’adrenalina e l’elettricità, altre più leggere e melodiche, altre ancora romantiche e malinconiche, altre dagli arrangiamenti più elaborati. Il punto è che, probabilmente, gli Ash sono tra le band per le quali in assoluto vale di più la soggettività dei gusti di ognuno, poiché, per giudicarne le canzoni, non si può che parlare di qualità melodica e vocale, ed è difficile farlo in maniera critica, perché ognuno ha dei propri parametri di giudizio su questi due aspetti. Per quanto riguarda il sottoscritto, questo è un buon disco, con tutti gli elementi a posto e un gran piacere di ascolto, quindi, per quanto vale, metto per iscritto il mio giudizio positivo, conscio del fatto che qualcuno potrebbe pensarla diversamente e nessuno avrebbe argomenti oggettivi per contraddire l’altro.

(Stefano Bartolotta)


PCM – DREAMLAND
(ambient)

Francesco Perra, Matteo Cantaluppi e Matteo Milea sono al terzo album come PCM (le iniziali dei loro cognomi per chi non l’avesse capito), e la base della loro proposta è sempre l’elettronica ambient. In questo caso specifico, secondo le loro stesse parole, “l’album è stato concepito per essere la soundtrack delle diverse fasi del sonno che gli esseri umani sperimentano tutti i giorni. L’attenzione e l’obiettivo del disco sono stati quelli di cercare di tradurre le confuse sensazione pre sonno in concrete tracce musicali”. In concreto, troviamo una serie di episodi si cerca di suggestionare l’ascoltatore attraverso il dinamismo nelle interazioni tra i singoli elementi strumentali, con variazioni di intensità sia brusche che morbide che creano un paesaggio sonoro mutevole ma sempre in grado di coccolare l’ascoltatore.

Chi segue abitualmente questa rubrica avrà visto che, di solito, mi occupo di musica ben diversa da questa, e quindi, forse, si chiederà perché ho voluto parlare dei PCM. Il motivo è molto semplice: da non ascoltatore di ambient, ho spesso trovato in questo genere proposte che, alle mie orecchie, apparivano fumose o pretenziose, mentre qui non trovo niente di tutto questo. Ci sono, invece, concretezza, efficacia e capacità di arrivare dritti al punto, sempre tenendo conto dei canoni del genere. Non si ha mai la sensazione di ghirigori fini a se stessi, di manierismo, di inutili dilatazioni, di esercizi di stile vari, ma ogni singolo momento dell’ascolto ha un proprio senso di esistere e le tracce, nel loro complesso, suonano complete e mai ridondanti. Consiglio, quindi, l’ascolto a tutti gli appassionati di musdica, e non solo agli amanti dell’ambient.

(Stefano Bartolotta)


EXPLOSIONS IN THE SKY – END
(post-rock)

Arrivati al loro settimo album in carriera, gli Explosions in the sky confermano quanto fatto finora, dimostrando, come direbbero i giovani, di essere i primi della classe del game in questione. Fin dal giorno zero cresciuti a strumentali post-rock e anche per questo nuovo episodio, fortunatamente, la ricetta è la medesima.

Quindi alla domanda se abbia senso fare ancora un genere così nel 2023 e non spostare di una virgola il discorso, io dico assolutamente si. E’ vero non c’è più l’effetto sorpresa, che è svanito probabilmente subito per tutta la scena, però rimane quella sana attitudine di chi fa le cose per missione e passione, senza dogmi.

Diciamo che insieme ai Mogwai sono il nome superstite, che cattura sempre comunque attenzione, anche ragionevolmente nella dimensione live, dove il tutto prende forma e densità. Anticipato dai singoli “Ten Billion People“ e “Moving On”, o dalla lisergica “Loved Ones”, “End” il primo lavoro in sette anni, rimane un disco molto ragionato ed arrangiato, dove si alternano strutture complesse, e sicuramente un bel numero di tracce registrate e amalgamate per ogni canzone, tra momenti atmosferici e rasoiate distorte tipiche e marchio di fabbrica degli Explosions in the sky.

(Fabio Campetti)


WOODS – PERENNIAL 
(Lo-Fi, Psychedelic Folk, Neo-Psychedelia)

I Woods sono stati in uno stato di evoluzione lenta ma costante da quando si sono formati nel 2004, crescendo dalle loro radici come un progetto folk lo-fi rumoroso e sperimentale in suoni sempre più raffinati e ambiziosi. Perennial è l’ennesimo passo avanti per Woods, una band che continua a diventare più forte man mano che la loro musica diventa più gentile e aggraziata. Il tutto sempre con decine di svariati strumenti e con tessiture sonore sempre originali. 

(Giovanni Aragona)


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