04/05/2024
Ricchissima settimana di uscite discografiche con in cima alle nostre preferenze gli ottimi lavori degli Idles, di Courtney Barnett, Damon Albarn e degli Makthaverskan. A seguire, buone prove per Jon Hopkins, per l'indie-rock dei They Might Be Giants, per i Vant, per la talentuosa Claire Cronin e la delicata Holly Humberstone. Infine, ecco l'album collaborativo targato Bruno Mars / Anderson .Paak. 

Ricchissima settimana di uscite discografiche con in cima alle nostre preferenze gli ottimi lavori degli Idles, di Courtney Barnett, Damon Albarn e degli Makthaverskan. A seguire, buone prove per Jon Hopkins, per l’indie-rock dei They Might Be Giants, per la talentuosa Claire Cronin e la delicata Holly Humberstone. Infine, ecco l’album collaborativo targato Bruno Mars / Anderson .Paak. 

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Patrizia Cantelmo, Chiara Luzi e Flaminia Zacchilli

12:34:47  – 12/11/2021



IDLES – CRAWLER 
(post-punk)

Lo diciamo senza grandi giri di parole: gli Idles sono la miglior rock band dell’ultimo mezzo decennio, e, dopo aver macinato quattro dischi in altrettanti anni, e aver macinato centinaia di km in lungo e largo in live epocali, rieccoci a parlare di un nuovo lavoro del quintetto inglese. Partiamo dall’ultimo disco, Ultra Mono, e capiamo come il gruppo ha cambiato approccio. Se Ultra Mono, è stata un’accurata raccolta dei loro capisaldi tematici: dal forte focus sulle tematiche legate al capitalismo sfrenato, alla salute mentale e alle droghe, Crawler è, per certi versi, il disco che non ti aspetti. La band, mescolando sapientemente le lezioni di Bauhaus e Gang of Four, è diventata meno “ostica” e più accessibile ad un pubblico “trasversalmente rock”.

La band ha lavorato ad una marcia diversa in questo disco attraverso una narrazione sorprendentemente pacata e meno aggressiva rispetto al recente passato. Lo stesso frontman della band, Joe Talbot, considera un “crawler” come ciò che è al centro della dipendenza: “qualcuno in ginocchio, qualcuno che prega, qualcuno che sopravvive” attraverso la grinta di esso. Il disco incarna la sopravvivenza, che si tratti di immagini feroci o visioni ad alto tasso umoristico. Quello che emerge è un disco pieno di grandissimi brani, ad iniziare dal primo singolo, “The Beachland Ballroom”.

La canzone, intitolata allo storico locale sul lato est di Cleveland, è l’apice del disco: un’opera d’arte vulnerabile in cui Talbot trascrive un attacco di ansia o una performance esplosiva, a seconda della prospettiva dell’ascoltatore. Se il passato ha raccontato le feroci verità descritte dalla band, CRAWLER è il progetto della guarigione e del recupero. Forse azzardiamo nel considerare questo lavoro come una pietra miliare straordinaria, infestata e risonante per il rock and roll, un disco che non ha paura delle proprie emozioni e della propria apertura, pieno di storie che vale la pena ascoltare più e più  volte. Esageriamo? poco importa.
(G.A)


DAMON ALBARN – THE NEARER THE FOUNTAIN, MORE PURE THE STREAM  FLOWS
(art pop, chamber pop)

Damon Albarn, la mente poliedrica dietro ai Blur e ai Gorillaz, torna da un iato di sette anni – e sembra stanco di reggere sulla propria schiena praticamente tutta la scena alternativa della Gran Bretagna, perché il suo ultimo album The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows è un concentrato di grigiore ed emozioni spoglie. Cantato quasi tutto a mezza bocca, sommessamente, e non si leva mai oltre un numero ridotto di BPM.

Ci si immerge in un’atmosfera sommessa, con un Albarn spettatore esterno che si rivolge con una certa sufficienza al mondo che lo circonda e disseziona una ad una le sue contrarietà. Le scelte sonore sono improntate sul mellow più alternativo, ai limiti dell’ambient. Ronzio distante di sintetizzatore, pianoforte gocciolante, a volte qualche tocco jazz/blues come l’inizio di Polaris. 

Rigorosamente solo l’inizio, perché quando Albarn ricomincia a cantare si ritorna nella nebbia. Non mancano però guizzi più ispirate, come i rumori atmosferici che aprono Particles. The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows diventa dunque l’album caratteristico del mese di Novembre per eccellenza, sonnolento e distante, ma capace per lo meno di lasciare sull’orecchio una bella impressione.
(F.Z)


COURTNEY BARNETT – THINGS TAKE TIME, TAKE TIME
(indie-folk)

Ci vuole tempo e pazienza nella vita, questo è il rimando che Courtney Barnett ci ricorda oggi nel suo nuovo lavoro Things Take Time, Take Time. Il terzo album in studio è stato registrato nel 2020 in isolamento a Melbourne per via del covid, è prodotto da Stella Mozgawa delle Warpaint che l’accompagna con la batteria.

In questo album la Barnett racconta molto di sé, della sua generazione e lo fa con tenerezza, senza troppe pretese ma con grande schiettezza. I demoni quotidiani, le piccole cose che costruiscono la vita di ogni giorno regalando gioia sono al centro delle riflessioni che la Barnett traduce in dieci luminosi brani scaldati da chitarra, batteria e drum machine. Proprio questa essenzialità regala a Things Take Time, Take Time una morbidezza che lo differenzia dagli altri lavori, permettendo di costruire un mood rilassato.
(C.L)


MAKTHAVERSKAN – FÖR ALLTING
(indie-rock, post-punk)

Non si sono mai promossi più di tanto, I Makthaverskan, hanno pubblicato album senza rispettare scadenze e quando e come andava a loro, ed è probabilmente per questo che il quintetto di Goteborg non ha mai goduto delle stesse attenzioni riservate ad altre band senz’altro ottime ma certamente non migliori di loro (mi vengono in mente soprattutto i Desperate Journalists).

Questo è il loro quarto album, il primo non intitolato semplicemente con un numero romano, e per la quarta volta la band ci regala una vera e propria lezione su come si confezionano i jangle di chitarra, su come li si accoppia a una ritmica post-punk vitale ma mai ossessiva e su come, su tutto questo, far sì che la meravigliosa voce di Maja Milner si stagli a dovere, come merita. Canzoni semplicemente pazzesche, freschissime, irresistibili, che entusiasmano e mettono voglia di essere ascoltate all’infinito.
(S.B)


HOLLY HUMBERSTONE – THE WALLS ARE WAY TOO THIN – EP
(songwriting)

Nel 2021, gli Stati Uniti hanno fatto emergere due promettenti artiste che scrivono canzoni con personalità e qualità pur non avendo ancora pubblicato album. Ora, anche la Gran Bretagna fa lo stesso con queste 21enne che, in realtà, pubblica singoli già dal gennaio 2020, ma che solo ora arriva al primo EP. Melodie limpidissime, buona varietà sonora, ottima espressività vocale e testi capaci di andare dritti al punto. Il tutto viene declinato da  una grazia che non porta con sé né svenevolezza, né rassegnazione. Un’artista che sa cosa vuole e sa anche come ottenerlo, ovvero mettendo una classe e un talento già evidentissimi al servizio di una spontaneità che non può non coinvolgere.
(S.B)


THEY MIGHT BE GIANTS – BOOK 
(indie-pop, alternative rock, power pop)

Formati nel 1982, più di venti album alle spalle e tanta, tantissima voglia di continuare a produrre musica. La storia dei They Might Be Giants è di base la storia di due amici che, quasi per gioco, si sono trovati a metter su una band alle superiori a Lincoln (Massachusetts). Dopo grandi successi e singoli che hanno fatto la storia, questo nuovo album (che segue di tre anni l’ultimo lavoro) ci ha piacevolmente spiazzati. Book abita un mondo riconoscibile al gruppo fatto di rock alternativo intelligente, scanzonato power pop e testi intelligenti.

Un disco di quaranta minuti che si lascia ascoltare con grandissima leggerezza e che, per molti aspetti, vi farà piacevolmente sorridere. Cosa serve per calarsi in questo mondo sonoro? una buona dose di senso dell’umorismo, essere nerd al punto giusto, apprezzare la scuola dei Beach Boys e dell’alternative scanzonato americano anni ’90.  Se avete queste caratteristiche questo non è solo il disco che fa per voi ma è anche il “miglior cuscino” per i vostri riposini pomeridiani.
(G.A)


BRUNO MARS, ANDERSON .PAAK – AN EVENING WITH SILK SONIC
(R&B/Funk/Soul)

Fragorosamente anticipato nei mesi scorsi da diversi singoli, fra cui la oltremodo suonata Leave The Door Open, esce oggi il primo disco dei Silk Sonic, il duo formato da Bruno Mars e Anderson .Paak. An Evening With Silk Sonic è un disco gustoso, capace di sedurre con grande facilità l’ascoltatore che viene avvolto da una stola di vellutato funk ed elegantissimo soul. Le premesse per una collaborazione solida c’erano tutte, il talento di questi due artisti è noto.

Paak e Mars hanno effettivamente trovato un’alchimia preziosa in cui l’estro di uno e la finezza dell’altro hanno saputo produrre un lavoro coeso e ben congeniato. Le radici sonore di questo lavoro affondando fino alla sensualità di James Brown, After Last Night, e alle atmosfere luccicanti dei Jackson Five, Skate, raggiungendo un perfetto stato di grazia in brani come 777.  Parte del merito si un disco così riuscito va anche alle ottime collaborazioni fra cui spiccano Thundercat, Bootsy Collins e Babyface. An Evening With Silk Sonic è senza ombra di dubbio un gran buon disco, i due vincono a mani basse, forse senza rischiare troppo, ma questo non toglie l’estrema qualità di questo lavoro.
(C.L)


JON HOPKINS – MUSIC FOR PSYCHEDELIC THERAPHY
(Ambient)

Una vera e propria esperienza sensoriale, ecco che cosa vi aspetta se avete intenzione di ascoltare Music For Psychedelic Theraphy. Il nuovo lavoro di Jon Hopkins è totalmente ispirato dal viaggio fisico e spirituale che lo ha portato in Equador, nello specifico alle grotte di Tayos, dopo l’uscita di Singularity nel 2018. Questo disco è letteralmente un viaggio sonoro, capace di creare una comunione fra natura e cosmo, lasciando in chi lo ascolta un senso di pace universale.

Dal punto di vista sonoro Hopkins non fa altro che concentrarsi su quegli elementi sonori evocativi e sospesi che da sempre sono presenti nella sua produzione e di c, ma mentre nei lavori passati interagivano con l’elettronica in questo disco sono totalmente predominanti. Soprattutto nella prima parte, in cui compaiono suoni naturali di animali e cascate, la sensazione è quella che Hopkins voglia stabilire, riuscendoci, una connessione con il cosmo e ogni suo elemento.
(C.L)


CLAIRE CRONIN – BLOODLESS
(indie-folk)

Un incedere cupo eppur rassicurante, rimandi alla miglior tradizione indie-folk femminile fra i 90 e i 2000 – quella delle Cat Power e delle Beth Orton per intenderci – privata però di sussulti o passaggi eclatanti. Una voce avvolgente, chitarre quasi accennate e arrangiamenti discreti, per questo quarto disco della losangelina di base a Athens Claire Cronin.

Un lavoro molto bello, semplice, che non farà clamore e probabilmente passerà inosservato, ma che vi consigliamo vivamente di recuperare per rendere meno freddo il novembre incipiente. Un po’ come rannicchiarsi davanti al crepitio del fuoco nel camino, in cerca di un posto caldo e sicuro: a volte basta e avanza questo per sentirsi appagati, soprattutto quando fuori soffia forte il vento.
(P.C)


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