26/04/2024
Questo 2020 volge al termine e la quantità di dischi in uscita rimane alta. In questa settimana vi suggeriamo l'ascolto dell'ultimo lavoro targato The Avalanches, del ritorno di Ryan Adams, dell'ennesimo lavoro in studio firmato Guided By Voices e dell'ennesimo disco degli Oh Sees. Due EP molto gustosi sono stati realizzati da Nilüfer Yanya e James Blake con le sue cover. Segnaliamo con piacere il ritorno di Umberto Maria Giardini (Moltheni) e di M Ward. Per finire ecco a voi un interessante album elettronico partorito dai Snow Palms, l'alternative rock dei Landshapes. e l'hip hop di King Lil G. Buona lettura e buon ascolto. 

Questo 2020 volge al termine e la quantità di dischi in uscita rimane alta. In questa settimana vi suggeriamo l’ascolto dell’ultimo lavoro targato The Avalanches, del ritorno di Ryan Adams, dell’ennesimo lavoro in studio firmato Guided By Voices e dell’ennesimo disco degli Oh Sees. Due EP molto gustosi sono stati realizzati da Nilüfer Yanya e James Blake con le sue cover. Segnaliamo con piacere il ritorno di Umberto Maria Giardini (Moltheni) e di M Ward. Per finire ecco a voi un interessante album elettronico partorito dai Snow Palms, l’alternative rock dei Landshapes. e l’hip hop di King Lil G. Buona lettura e buon ascolto. 

a cura di Giovanni Aragona, Patrizia Cantelmo, Paolo Latini e Chiara Luzi 



THE AVALANCHES – WE WILL ALWAYS LOVE YOU
(breakbeat, trip hop)

Abbiamo aspettato ben 16 anni per il secondo album degli Avalanches, e ora sembra un miracolo che questo terzo lavoro sia giunto appena quattro anni dopo il secondo lavoro in studio della band. Venticinque canzoni in una massiccia raccolta infarcita da molti interludi e tanti interessanti spunti. Molti i colleghi arrivati a sostegno della band (da Perry Farrell a Kurt Vile passando per Tricky) e una buona ora che scorre via con grande piacere. Una cavalcata trip hop sospesa nel tempo da gustare lentamente. Ottimo lavoro. Una perla ve la suggeriamo: la title track con Blood Orange ospite, di rara bellezza.
(G.A)


RYAN ADAMS – WEDNESDAYS
(alt-country)

Ryan Adams si presenta dopo due anni con Wednesdays, buon disco orientato al classico stile del musicista. In questa nuova scorribanda il cantautore abbandona – e di tanto – le atmosfere rock per concedersi liberamente e totalmente all’alt country con il piglio da songwriting riflessivo alla Neil Young e il mood contemplativo di Tom Petty. Undici minuti spalmati in 42 minuti da ascoltare davanti un camino che arde sogni e speranze.
(G.A)


GUIDED BY VOICES – STYLES WE PAID FOR 
(alternative rock)

Robert Pollard è un fiume in piena e neanche la pandemia può fermarlo. Terzo album del 2020, pieno di buoni spunti. Se i precedenti dischi ponevano le basi  su territori psych rock un lo-fi molto architettato questo nuovo disco trasmigra verso orienti power-pop. Graffia dall’inizio alla fine pur senza affondare mai il colpo. In realtà al disco manca una coesione d’insieme e una veduta collettiva ma per i fan della prima ora può andar bene così. Diverse le canzoni che scendono sotto i due minuti. Di un paio ne avremmo fatto a meno.
(G.A)


THEE OH SEES – PANTHER ROTATE
(experimental rock)

Trentanove minuti di esperimenti sonori non del tutto memorabili. Lo scorso settembre John Dwyer era tornato in pista presentando un buon disco sperimentale a tinte psych rock. A distanza di tre mesi il più camaleontico dei musicisti è tornato. Sebbene possa essere difficile tenere il passo con tutti i cambiamenti di nome e le esplorazioni stilistiche, di una cosa siamo totalmente convinti: bisogna affidarsi totalmente alla coerenza e alla bravura di questo straordinario musicista. Pochi artisti sono capaci di andare così ostinatamente controcorrente. Pregi e difetti di un musicista oltre le righe e i suoi esperimenti ai limiti della comprensione. Se amate gli esperimenti visionari di Lynch (i piccoli cortometraggi in stile Alphabet) è un disco che potrebbe suscitare in voi grande interesse.
(G.A)


NILUFER YANYA – FEELING LUCKY? – EP
(indie – pop)

Ne ha fatta di strada la bella Nilufer. Neanche sei anni fa caricava i suoi brani su SoundCloud alla ricerca di visibilità e oggi – giustamente – semina il buono raccolto in passato. Un EP veloce e frizzante composto da tre canzoni che analizzano paranoia tecnologica e distopica. Con il solito, autentico, atteggiamento vivace, e nella sua esuberanza ipnotica sonora, Nilufer Yanya regala ai fan tre ottime canzoni da custodire e ascoltare con cura. Brava.
(G.A)


JAMES BLAKE – COVERS 
(piano – voce)

Spesso per ritrovare la rotta bisogna abbandonare le sovrastrutture. Liberarsi dagli orpelli ha permesso a James Blake di ritrovare una connessione con la sua essenza di artista. Durante il lockdown il musicista inglese si è esibito più volte on-line dalla sua casa di Los Angeles proponendo alcune cover. Oggi le troviamo raccolte in questo intenso Ep dal titolo, appunto, Covers. In soli sei brani Blake riesce a concentrare una quantità tale di bellezza, disperazione e classe che commuoverebbero il più duro dei cuori. Il piano e la sua incredibile voce si muovono all’unisono, le note vibrano nell’aria fendendola con grazia. La struttura solida e minimale che sostiene i brani permette a Blake di muoversi con naturalezza nell’interpretare magistralmente Atmosphere dei Joy Division e Godspeed di Frank Ocean. Troviamo anche l’ottima When the party’s over di Billie Eilish che già conoscevamo. La semplicità è una carta vincente ma c’è bisogno di una tecnica sopraffina per giocarla bene, James Blake ci riesce perfettamente.
(C.L)


MOLTHENI – SENZA EREDITA’ 
(songwriting/psych-folk)

Come un fantasma, dopo dieci anni dalla sua ultima apparizione, si ripresenta alle nostre orecchie la creatura di Umberto Maria Giardini. L’occasione è un ripescaggio di alcuni inediti sepolti dal tempo (eccetto La mia libertà scritta di recente), rispolverati e fatti rivivere come si deve in questo nuovo disco causticamente chiamato “Senza Eredità”. D’altronde, anche quando era contemporaneo, Moltheni ha sempre giocato con atmosfere folk d’altri tempi, non disdegnando ispirazioni coeve d’oltre confine (come nel ritmo valzerato di “Com’era ieri” – omaggio espresso a Elliott Smith). L’operazione, dunque, non ha il sapore della nostalgia; ha piuttosto il merito di riportare alla luce pezzi solo apparentemente minori che sicuramente piaceranno fino quasi a commuovere tutti gli estimatori di uno dei nostri migliori autori.
(P.C)


M WARD – THINK OF SPRING
(minimal folk)

Anno prolifico per M. Ward: dopo l’ottimo disco di inediti uscito in primavera, ecco sul finire dell’anno questo disco di cover interamente dedicato a Billie Holiday. A sentirle così – se non si conoscesse l’interprete originale – nulla sembrerebbe legare queste canzoni al jazz-bluesoriginario. Mondi lontanissimi che si incontrano in un’atmosfera rarefatta tenuta in piedi dall’amore smisurato dell’autore per la Lady in Satin, con la sola intensità della voce e una chitarra che sembra provenire da un mondo lontano e perduto. Effetto della scelta di registrare su un quattro piste Tascam analogico, che rende ancora più intimo e trasognato questo inconsueto ma suggestivo omaggio alla meraviglia Billie Holiday.
(P.C)


SNOW PALMS – LAND WAVES  
(elettronica)

Snow Palms è nato come il progetto sperimentale di David Sheppard, che al di fuori del suo lavoro con State River Widening, Ellis Island Sound e Phelan evidentemente sentiva il bisogno di realizzare delle tracce che nascessero dalla strana alchimia di strumenti a percussione, xilofoni, glockenspiel, vibrafoni e altri strumenti a martello. Oggi, otto anni dopo l’esordio di Snow Palms, quello “persuasivo” è un vero e proprio filone creativo della più recente musica elettronica (vedi Beatrice Dillon, Dan Drohan, Laurence Pike, Photay, solo per quest’anno). Land Waves, appena uscito per Village Green, riprende la title-track del precedente ep, Everything Ascending, e aggiunge altri sei pezzi, un paio dei quali raggiungo e superano i quasi 9 minuti di “Everything Ascending,” che però nella sua fanfara quasi wagneriana rappresenta quasi una frattura dal resto del disco, che ti culla con campanelli e martelletti, con percussioni quasi da carillon (“Evening Rain Gardens”), con voci eteree che possono ricordare certa new-age pop (“White Cranes Return”), con organetti e flauti semi natalizi (la lunga “Land Waves”) e con sempre ben accette sfumature nipponiche (“Kojo Yakei”). Land Waves è un disco che testimonia la nuova scena elettronica britannica, ma è anche un disco sorprendentemente e stranamente natalizio, che ti culla e ti riscalda mentre immagini un fuori fatto di neve.
(P.L)


LANDSHAPES – CONTACT 
(alternative)

Doveva uscire a novembre, ma è stato posticipato a quasi fine anno, ma poco importa, perché Contact esce a cinque anni dal precedente disco dei Landshapes, e a bastano pochi minuti per capire che, per usare una frase fatta e strafatta, l’attesa ne è valsa la pena. Il quartetto atipico chitarra-violino-ukulele ha confezionato dieci tracce varie, creative, che spaziano tra diversi generi e diversi stili, dove l’ukulele e la voce di Luisa Gerstein guida tutto senza stacchi o inutili preziosismi.  Il pop psichedelico che è un po’ la loro cifra stilistica principale, qui si amalgama alla perfezione con il formato canzone da una parte (“The Ring”) e dall’altra con intermezzi jam caotici e disorientanti (“Siberia”). Registrato sotto la produzione di Kwes (Solange, Kelela) Contact non manca di episodi più sofisticati (“Dizzee”), che riescono a amalgamare nella formula un intelligente utilizzo di synth e chitarre effettate. “Let Me Be” aggiunge un velo di pop futurista mentre “Just a Plug” è la versione Landshapes di un rock da stadio, qui usato come preludio per la chiusura pianistica “Conduct,” che mette in risalto le doti vocali di Luisa Gerstein e che piano piano si trasforma in una specie di fanfara psichedelica tra synth e archi. Un disco elegante e raffinato, che per quanto complesso non diventa mai lezioso.
(P.L)


KING LIL G – 90’s Kid, Vol 2
(hip hop)

A cinque anni di distanza da 90’s Kid, il rapper di origini messicane Lil G pubblica oggi il naturale seguito 90’s Kid, vol 2. L’album è ovviamente imbevuto da influenze musicali che arrivano direttamente dagli anni ’90, ma l’abilità di Lil G sta nel tradurle in un linguaggio contemporaneo senza intaccarne il groove. Ci restituisce un’atmosfera ben specifica grazie ad un sound che si distingue in quello che è il vasto, ma spesso piatto, mare dell’hip hop. I dieci brani, in cui fra l’altro sono forti i temi dell’immigrazione latina, scorrono che è una meraviglia. Fra i campionamenti è riconoscibile in  Unemployed  il brano dei Luniz, I Got 5 on it, che a sua volta ha radici in un brano dei Club Nouveau.
(C.L)


 

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