03/05/2024
uscite discografiche - www.infinite-jest.it
Uscite discografiche con Pearl Jam, Taylor Swift, Melvins, Lucy Rose, A Certain Ratio, Simone Matteuzzi, Cloud nothings e Local Natives

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CLOUD NOTHINGS – FINAL SUMMER 
(indie-rock)

Il synth etereo con cui si apre Final Summer, ottavo album in carriera di Cloud Nothings, è in realtà il preludio di una tempesta di energia pura che pervade i dieci pezzi del disco. Cloud Nothings tornano in scena a tre anni di distanza dalla pubblicazione di The Shadow I Remember (2021) e anche questa volta, come sempre nel corso dei loro quasi quindici anni di carriera, riescono a non essere uguali a loro stessi.

 

La struttura portante del disco è disegnata da chitarre pop-punk su cui il frontman, Dylan Baldi, canta la consapevolezza e la maturità di accettare il fatto che, a volte, la vita non va come vorremmo. Final Summer è un album veloce: i brani, vitali e potenti, scorrono rapidi e l’ascoltatore viene assorbito dai potenti riff che rendono il disco dinamico e assolutamente godibile. Cloud Nothings hanno realizzato un lavoro ben congegnato, solido ed ispirato, carico di malinconia e forza, dimostrando di essere una band in ottima salute.
(Chiara Luzi)

 


TAYLOR SWIFT – THE TORTURED POETS DEPARTMENT
(elevator pop)

Andiamo subito al punto: quello che dovrebbe essere il lavoro che cementa il – presunto – status di Taylor Swift come ponte tra mainstream e indie, nel senso di capacità di ottenere il successo planetario mantenendo intatta la propria integrità artistica, si rivela, alla prova dell’ascolto, come una conferma sì, ma di caratteristiche che dovrebbero far sì che un appassionato di musica mantenga le dovute distanze da questo prodotto. Da sempre, infatti, la produzione discografica di Taylor Swift è un inno all’innocuo, al non disturbare, non infastidire, non permettere al cervello di distrarsi da ciò che si sta facendo mentre si tiene la musica come sottofondo.

 

Può chiamare personalità importati quanto vuole (e nemmeno qui mancano, da Jack Antonoff e Aaron Dessner per la parte di lavorazione a Post Malone e Florence + The Machine per quella interpretativa), ma sempre musica da sottofondo fa, e non da oggi, ma, ripeto, da sempre. Per cui, è normale e comprensibile che il successo planetario sia arrivato, e nemmeno si può dire che non ci sia integrità artistica qui, nel senso che la proposta musicale a nome Taylor Swift è nata in un modo e continua nello stesso modo, o comunque, con la stesa idea di base, ovvero quella di fare canzoni formalmente inattaccabili che però mancano drammaticamente di profondità.

 

Certo, le melodie sono gradevoli, la voce pure, i suoni non sono eccessivamente plasticosi, ma ogni singola canzone, di questo disco come di tutti gli altri, ha già detto tutto dopo una cinquantina di secondi, a voler essere generosi, e questo quando le ascolti singolarmente, perché quando, invece, ti cimenti nell’ascolto di un disco intero, fondamentalmente non ne puoi più a metà tracklist, perché è sempre lo stesso brodo. Ma tanto, sono i tempi che viviamo a essere così, no? Ciò che fa successo, nella musica ma non solo, è ciò che fornisce alle persone qualcosa di gradevole senza disturbare. Taylor Swift e la sua musica sono lo specchio dei nostri tempi, e questo disco ne è l’ennesima conferma.
(Stefano Bartolotta)

 


SIMONE MATTEUZZI – INVITO PER COLAZIONE 
(pop)

In alcune delle scorse puntate di questa rubrica abbiamo posto l’accento sulla qualità di alcuni debutti italiani del 2024, e personalmente mi fa piacere che questo trend continui con il disco del milanese Simone Matteuzzi. A 23 anni, Matteuzzi mostra una capacità già molto ben sviluppata di mettere personalità, verve e carattere al servizio dell’idea di rappresentare il proprio tempo in musica. Rappresentare il proprio tempo è diverso dal fare cose destinate al successo nel proprio tempo e, così come qui sopra ho parlato di Taylor Swift come esempio del secondo tra questi due approcci, allo stesso modo non ho remore nel complimentarmi con Simone per la propria maestria nel primo.

 

Il suo pop, infatti, rappresenta il mondo in cui viviamo perché prende ispirazione da tante fonti diverse, nella stessa maniera in cui oggigiorno sentiamo parlare di moltissimi argomenti a un ritmo frenetico con informazioni e opinioni che arrivano da ogni dove. Melodia, intarsi strumentali e ritmici, espressività vocale, fascino dei testi: ognuno di questi aspetti riceve la massima attenzione in questa proposta e trova modo di inserirsi in mezzo a ognuno degli altri in modo che si crei un risultato di forte impatto e ricchissimo di idee e sfumature.

 

Troppo spesso il fatto che in un disco ci sia di tutto a livello di contenuto è sintomo di mancanza di personalità e incapacità nel dare una direzione alla propria proposta, ma qui la personalità è indiscutibile e la direzione è ben chiara. Qui la voglia di sorprendere e di esagerare sono sempre messe in campo con l’idea di fare canzoni a fuoco e che abbiano qualcosa da dire, e infatti la loro convivenza con momenti più convenzionali è assolutamente armoniosa e mai forzata. Davvero un debutto coi fiocchi.
(Stefano Bartolotta)


PEARL JAM – DARK MATTER
(alternative rock)

Trentacinque anni di carriera alle spalle e oltre 75 milioni di copie vendute. Potrebbe essere questa la giusta intro a un ennesimo libro su una delle band più importanti della storia del rock: i Pearl Jam. È stato un lungo viaggio da Seattle al grunge passando per gli amici persi per strada, al grunge sepolto e al fardello di essere l’unica band sopravvissuta di quella indimenticabile generazione. I Pearl Jam sono ancora qui, meno rabbiosi ma sicuramente più riflessivi, politici e vicini agli ultimi e ai bisognosi. Per una carriera così leggendaria, ci si potrebbe chiedere dove andare dopo per il dodicesimo album, Dark Matter.

 

La risposta, a quanto pare, è stata direttamente negli studi Shangri-La di Malibu durante il 2023 con il produttore Andrew Watt. Lo stesso produttore già parte della famiglia allargata dei Pearl Jam, avendo collaborato con Vedder alla sua uscita solista del 2022, Earthling. Quel progetto è stato un affare jam-rock con i contributi di Elton John e Chad Smith, il batterista dei Red Hot Chili Peppers. Aveva una leggerezza di tocco assente dai Pearl Jam – uno switch-up che il cantante ha trovato così rinvigorente che ha convinto i suoi compagni di band a permettere a Watt di supervisionare il loro prossimo disco insieme.

 

A differenza degli ultimi lavori i Pearl Jam qui piazzano anche qualche traccia punk in stile ’90 (Running) anche se la base è l’esplorazione affrontata nel 2000  su Dark Matter. Tra queste tracce, possiamo trovare anche i soliti numeri melodici o lunatici. Ad esempio, “Wreckage” e il suo lussureggiante e classico suono radio rock suonano delicatamente lungo il croon invecchiato di Vedder, mentre “Won’t Tell” condivide leccate e groove blues tra ritornelli edificanti. Fortunatamente, la produzione carnosa aiuta questi tagli a non rientrare nella categoria stanca e mid-tempo del loro catalogo.

 

Il contenuto politico e sociale è disseminato in tutto il testo dell’album, tuttavia, Eddie ha mantenuto le sue storie leggermente ambigue, compensando anche con soggetti introspettivi. Nel complesso, Dark Matter è finito come il disco più interessante ed energico dai tempi di Backspacer e per i Pearl Jam una buona prova. Siamo sinceri però, il meglio i Pearl Jam lo hanno già dato da parecchio.
(Giovanni Aragona)

 


MELVINS – TARANTULA HEART 
(experimental rock, sludge metal)

Ci sono band che passano anni a cercare di cavalcare la loro eccitazione per fare musica indulgendo in novità e falsi risultati perché non possono più correre rischi creativi autentici. I Melvins, al contrario, sono ancora elettrizzanti e imprevedibili. Dopo essere stati una cascata di idee selvagge per quattro decenni, continuano a mettersi alla prova fino alla distruzione per poi poter comunicare ancora. Il loro 27° album, Tarantula Heart, è l’ennesimo nuovo esperimento  produttivo. Tarantula Heart è praticamente un’incapsulamento perfetto di una band coraggiosa anche nel 2024: maestri maliziosi del loro mestiere, ancora in grado di fare canzoni che stanno con il loro miglior lavoro proprio perché non stanno mai cercando di riconquistare quel passato. Buzz Osborne e soci sono troppo impegnati ad andare avanti per vedere cosa consumare e proporre. Immensi.
(Giovanni Aragona)

 


 A CERTAIN RATIO – IT ALL COMES DOWN TO THIS 
(funk, dance punk)

Dopo un lungo periodo di relativa inattività, gli ultimi cinque anni hanno visto gli A Certain Ratio virare verso nuovi suoni sfornando nuovi brani a un ritmo che non si vedeva dai primi anni ’80. It All Comes Down to This è il loro terzo album dal 2020, così come i quattro EP. Nonostante sia uscito quasi esattamente un anno dal suo predecessore  questo set sarebbe stato effettivamente pubblicato sei mesi fa se il bassista Jez Kerr non si fosse rotto il bacino e si fosse fratturato un’anca proprio quando la registrazione doveva iniziare. 

 

It All Comes Down to This ha riportato la band al loro trio principale composto da Jaz Kerr, Martin Moscorop e Donald Johnson, e a un groove deciso e ben lineare per tutta la durata del disco. Per un gruppo di esperti che devono prepararsi a richiedere il loro pass nell’olimpo, la band sta mantenendo le cose piuttosto vivaci con un sacco di melodie gustose e dato che It All Comes Down to This è il loro tredicesimo album in studio insieme, suggerisce che, come il buon vino, potrebbero migliorare ancora di più con il tempo. Un tempo ancora lontano per la pensione.

(Giovanni Aragona)

 

 


LUCY ROSE – THIS AIN’T THE WAY YOU GO OUT 
(singer, sophisti pop) 

Lucy Rose è tornata con il suo quinto album in studio, un tributo meravigliosamente onesto a suo figlio e alle sfide che hanno seguito la sua nascita. Questo album è la per eccellenza di Rose. La maggior parte delle canzoni sono spogliate alla sua voce e al pianoforte. È piacevolmente facile da ascoltare. Quando la cantautrice si attiene al suo background popolare, la musica è perfetta. È allo stesso tempo etereo, ricco, malinconico e audace, come un CD moderno di Joni Mitchell. Sfortunatamente, alcune canzoni si allontanano dal modello. È una scelta coraggiosa da parte di Rose tentare un po’ di musica più jazz, ma queste tracce, anche se non cattive, non soddisfano gli alti standard stabiliti dal resto dell’opera.
(Giovanni Aragona)

 


LOCAL NATIVES – BUT I’LL WAIT FOR YOU 
(indie pop)

Le armonie vocali sono gradevolissime in questo nuovo lavoro targato Local Natives pieno di ritornelli davvero belli, con armonie ipnotizzanti come in “Alpharetta” e “As Soon As You Arrive” e il ritornello inquietantemente memorabile di “Throw It In The Fire”.  Ma il disco soffre di una scrittura stereotipata e di una strumentazione prevedibile e ripetitiva, che rendono il disco piuttosto noioso, privo di varietà, monotono e spesso tediante. Molto probabilmente salterete diverse tracce poiché diventeranno noiose in tempo zero. Come molti dischi indie rock, But I’ll Wait For You è troppo generico e non fa nulla di nuovo o degno di nota per distinguersi.
(Giovanni Aragona)

 


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