Abbiamo intervistato il talentuoso Joel Sarakula, a margine dell’ottimo Island Time. La sua musica attinge da una ricca tavolozza musicale e visiva ispirata agli anni ’70, tra Soft-Rock, Funk e Disco.
13:31:34 – 25/03/2023
– Originario dell’Australia, hai passato 10 anni a Londra prima di trasferirti alle Canarie in piena pandemia. In che modo i diversi luoghi in cui hai vissuto hanno influenzato la tua musica e le tue canzoni?
La cosa che accomuna tutti i luoghi in cui ho vissuto è che sono tutte isole – semplicemente le ho scelte sempre più piccole nel corso degli anni. Le isole hanno un’energia speciale e la vita sembra scorrere a un ritmo diverso. Sono nato e cresciuto in Australia ed è lì che mi sono formato come musicista iniziando da adolescente a suonare in gruppi jazz e rock.
L’Australia è un posto tranquillo e sicuramente ha influenzato la mia musica. I miei anni londinesi sono stati più irrequieti e più incentrati sul networking e sulla crescita lavorativa. Londra può essere un posto difficile in cui sopravvivere e forse un po’ di quella sfacciataggine e instabilità londinesi sono entrate nella mia musica durante la mia permanenza lì. “Coldharbour Man” e “London” Road sono canzoni direttamente ispirate da Londra. Las Palmas è stata forse più uno sviluppo spirituale. Il ritmo di vita qui è più lento e i “tempi” delle mie canzoni sono certamente rallentati da quando sono arrivato qui!
– A proposito di viaggi e cambiamenti, quanto è importante per un musicista reinventarsi? E come può farlo senza stravolgere la sua identità artistica?
Dovresti almeno avere la libertà di reinventarti tutte le volte che pensi di averne bisogno, ma non sono sicuro che sia importante o meno. Mi ci sono voluti diversi album per trovare la mia vera voce e non c’è niente di sbagliato in questo: alcuni artisti non trovano mai veramente il loro vero io. Quindi la mia reinvenzione è stata quella di trovare me stesso musicalmente.
Da quando ho trovato la mia vera identità ed essenza musicale con ‘The Golden Age’, i cambiamenti che ho apportato non sono stati così drastici: sono state più che altro delle variazioni sul tema. Mi piacciono ancora la musica e gli stili con cui lavoro, quindi fino a quando il tutto non diventerà noioso non vedo la necessità di una completa reinvenzione. Ovviamente alcuni artisti passano l’intera carriera a reinventarsi: Dylan e Bowie sono probabilmente due degli esempi più famosi.
– Il tuo nuovo album ‘Island Time’ vede un utilizzo importante di drum machine e sintetizzatori, a differenza dei tuoi dischi precedenti ‘Companionship’ e ‘Love Club’. Da cosa è stata dettata questa scelta artistica?
Quando sei obbligato a rimanere chiuso in casa durante una pandemia globale, i sintetizzatori e le drum machine diventano i tuoi migliori amici.
– Qual è la tua canzone preferita del nuovo album?
“Dream Life” è probabilmente la mia preferita. L’ho scritta e prodotta in modo abbastanza libero e astratto, ho lasciato l’ispirazione fluire senza forzarla in nessun modo. E questo è il risultato. La sento come una bossa nova “fai da te” con eco lontane di Los Angeles…. Ma mi è anche stato detto che suona come un brano Hawaiian Bop! Il fatto che le persone sentano cose diverse in “Dream Life” è una cosa bellissima.
– Isolamento e introspezione sono temi importanti all’interno dell’album. E’ un riflesso diretto del lockdown e del distanziamento sociale o è più il risultato della vita isolana? O tutte e due le cose…
Direi entrambe le cose. Il titolo ‘Island Time’ non si riferisce soltanto al tempo passato fisicamente su isole come l’Australia o Gran Canaria. Si riferisce anche al tempo passato nella nostra mente: tutte le nostre piccole isole mentali nella speranza di renderle più sane e calme. Poi naturalmente essere isolato durante il lockdown e aver traslocato a Gran Canaria, ha esacerbato queste idee di isolamento e introspezione.
– Di recente hai intrapreso un tour europeo di presentazione del nuovo album; come preferisci esibirti? Ti attieni alle registrazioni originali o sperimenti con nuove versioni dal vivo?
C’è molta sperimentazione nei miei concerti, mi piace eseguire le versioni dal vivo un po’ diverse da quelle su disco ma sempre ragionevolmente. A volte lo faccio per necessità, a seconda della formazione con cui sono in tour. Ma cerco in ogni caso di mantenere tutto interessante e vario per me e per i musicisti. Inoltre penso che questo metodo permetta di dare vita a performance migliori: mi stuferei di suonare live se ogni sera dovessi fare le stesse identiche versioni che si possono già ascoltare nel disco.
– ‘Island Time’ è autoprodotto. Quanto è importante per te essere la mente principale dietro la tua musica? C’è un produttore specifico a cui ti affideresti se potessi sceglierne uno?
Credo di aver assestato bene le mie tecniche di scrittura e registrazione dopo aver autoprodotto sette album, ma ovviamente sarei aperto a lavorare con altri produttori. Al momento non sono alla ricerca, ma mi piacerebbe collaborare con Benny Sings o Adrian Younge.
– Quali sono i tuoi piani per il futuro? Un altro trasloco darà vita ad un altro album o pensi di riposarti un po’ ora?
Sto già lavorando al seguito di ‘Island Time’! Sto anche producendo alcuni dischi per altri artisti. Magari dopo queste produzioni mi prenderò una pausa e mi riposerò un po’!
G.A
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