Gli Xiu Xiu, l’album, affinità e difformità culturali: intervista ad Angela Seo

A pochi giorni dalla pubblicazione di ‘Oh No’ abbiamo intervistato Angela Seo, musicista degli Xiu Xiu e regista dei videoclip della band. 

12:52:32  – 31/03/2021


 

Un piacere poter parlare con te. Parliamo dell’uscita del disco: come ti senti?

È quel genere di cose a cui dedichi così tanti mesi, ci ripensi continuamente, anche il tuo tempo libero è dedicato a pensare o a lavorare a quel progetto, e poi improvvisamente esce. E non puoi farci niente, non puoi toccare né cambiare più nulla. È un sollievo, ma al tempo stesso… spero sia all’altezza delle aspettative.

Gli Xiu Xiu hanno appena pubblicato il loro 12° album Oh no, preceduto da due singoli: A bottle of rum e Rumpus Room. Angela, tu hai creato e diretto entrambi i video, basati sulla sceneggiatura di David Kendrick. Si tratta di video musicali con un approccio homemade e DIY, che comunque conservano un alone sinistro, oscuro e claustrofobico, che potrebbe rappresentare la condizione di questi tempi di lockdown. Per prima cosa: ti sei divertita a realizzarli?

Sì, molto! È stato molto diverso dal registrare i video precedenti, perché con gli altri finivamo tutto in due giorni, con una grossa troupe, l’aiuto della produzione, le luci, il trucco e gli attori. Però alla fine, con tutto quello che stava succedendo abbiamo deciso di darci un taglio, senza preavviso. Avevo un’idea di come dovessero andare le cose e molte scene sono state girate nel corso di vari giorni: portavo la mia telecamera con me per mesi, ovunque andassi.

La gran parte delle scene le abbiamo girate nel mio giardino, a volte potevamo impiegare 20 minuti per girare una scena veloce e poi una volta finito si usciva a girare qualcos’altro. C’erano dei momenti in cui tutto questo era molto divertente e altri in cui si sentiva forte il peso dell’incertezza… Non avevo gli strumenti necessari, il trucco, nulla, ma mi dicevo che avrei provato comunque. Ho solo pensato a un buon modo per realizzare tutto quanto.

Pensi che l’arrivo del Covid-19 e della pandemia abbiano avuto un impatto sul tuo processo creativo, sia in termini di produzione artistica visiva che musicale?

Sì, effettivamente tutto questo ha avuto un grande impatto. È stato molto difficile all’inizio: solitamente quando devo fare dei video ho in testa un’idea piuttosto chiara delle storie e delle scene che voglio girare. Ma questa volta è stato un po’ più impegnativo, e ho dovuto
ricominciare da capo diverse volte, abbiamo anche pensato di andare in un parco nazionale nel bel mezzo degli Stati Uniti e di girare lì per un paio di giorni. Ma veniva tutto continuamente rimandato o non funzionava, e in mezzo a tutto quello che stava accadendo penso di non essere del tutto riuscita a visualizzare ciò che presto sarebbe successo.

E poi improvvisamente mi sono resa conto di trarre grande beneficio dal lavorare insieme gli altri. Quasi tutti i miei amici hanno preso parte alla produzione dei video in un modo o nell’altro, anche fosse solo per reggere una luce. E non avere una comunità di persone attorno sotto diversi aspetti ha fatto sì che il processo fosse decisamente più interiorizzato e disconnesso… cosa che credo risulti evidente anche dalla desolazione dei video.

Ti piace il cinema, ti consideri una cinefila e una fan di David Lynch? Nel 2016 avete pubblicato un album intitolato Plays the music of Twin Peaks, che tra l’altro ha un approccio sperimentale e oscuro rispetto alla colonna sonora dello stesso Badalamenti, quindi suppongo che tu lo sia…

Ho un’ammirazione totale per Lynch, Penso che ci sia stato un momento in cui a ogni video che pubblicavo c’era sempre qualcuno che mi diceva che sembrava una creazione di Lynch; credo che siano tra i migliori complimenti che abbia mai ricevuto. Penso che uno degli aspetti che ha reso il mio lavoro piuttosto linchyano sia stato l’aver usato la stessa telecamera che usò lui Inland Empire.

In fondo si tratta di una videocamera con una mini videocassetta, quindi penso che sia sostanzialmente la stessa impressione di grana della pellicola che fa molto Inland Empire. Naturalmente si tratta di una produzione diversa, ma credo che la gente si riferisse in gran parte a questo.

In una dichiarazione che hai rilasciato a proposito del video Sad Mezcalita, hai detto che lo stile noir del video è un tributo “alla perdita, al crimine, alla desolazione, ai sogni e alle tensioni presenti nella canzone”. Come sei riuscita a trasmettere tutto questo?

Gran parte del video l’ho girato da sola o soltanto con Jamie, e altre volte eravamo nel mezzo di un parco nazionale o in qualche abitazione a caso, dove non c’era davvero letteralmente nessun altro in giro. Spesso c’eravamo solo noi due che correvamo in giro
con una torcia e una videocamera, altre volte c’ero io con la mia torcia in una mano e la videocamera nell’altra che gli gridavo Jamie, cammina! Quindi dico sempre che quel genere di situazioni è eternamente catturato in alcuni degli scatti.

Mentre per quanto riguarda la parte più di tensione, il concept del video è stato scritto da David Kendrick – ex batterista dei Devo – che ha suonato in alcuni brani degli Xiu Xiu e probabilmente continuerà a suonare con noi in un modo o nell’altro. Entrambi abbiamo un amore per i film noir, e ha scritto questo copione su cui mi sono presa molta libertà. Nonostante questo, penso che alcuni dei suoi elementi siano presenti in tutto il video: il tipo di ombre, il senso di mistero, ma anche molta azione che ha contribuito ad alimentarne la tensione un po’ noir. 

Molti asiatici americani, in particolare donne, hanno dovuto affrontare ostilità enormi nel corso dell’ultimo anno: la questione è stata recentemente affrontata dalle comunità di tutto il mondo nelle ultime settimane. C’è qualcosa che vorresti aggiungere a questo dibattito, in quanto artista asiatico- americana ma anche come musicista, regista e performer? Pensi che questa mentalità abbia in qualche modo influenzato la tua creatività e il tuo lavoro in passato? 

Decisamente. Direi che ciò a cui abbiamo assistito contro le donne asiatiche americane ha fatto un po’ più notizia nell’ultimo anno e soprattutto negli ultimi due mesi. Ma la violenza, la feticizzazione e l’eccessiva sessualizzazione delle donne asiatiche sono un risultato di generazioni di guerre coloniali.

Quando siamo in tour capita spesso che mi presenti con la mia attrezzatura e le mie cose, pronta per suonare, e che i fonici guardino solo Jamie, o il mio tour manager, o qualcuno che non è nemmeno nella band. E fanno loro domande come che tipo di suono vuoi? La mia reazione è sempre “Sono letteralmente di fronte a te, perché non me lo chiedi?”. E quando suoniamo nei locali e restiamo fuori fino a tarda notte, molte volte quando sono sola, in piedi vicino al furgone, fuori dal club o dalla location del concerto, la gente si avvicina a me prendendomi per una sex worker. 

Ti va di entrare nel merito con degli esempi concreti?

È successo in Francia, in Germania… praticamente in ogni posto in cui vado la gente viene da me e presume che, poiché sono fuori di notte da sola, io sia una prostituta, piuttosto che qualcuno che possa aver suonato o assistito a un concerto. Alcune persone potrebbero pensare che forse non sia così dannoso, che si tratti solo un errore innocente… ma io penso che come donne noi comprendiamo che è una linea molto sottile tra l’essere percepite in questo modo e la violenza che spesso ne consegue.

Ad esempio, il caso di Atlanta di un paio di settimane fa è sfociato nella morte di una persona, perché questa donna era vittima del desiderio sessuale di un altro uomo. Ed essendo cresciuta con questa consapevolezza, lotto anche in un modo che mi fa costantemente mettere in discussione il mio corpo e anche la mia sessualità. È qualcosa contro cui combattono, penso, molte donne di colore: c’è un saggio seminale di Audre Lorde sull’uso dell’erotico (Uses of the erotic, di Audre Lorde NDA) che lo considera come un potere.

Come donna, ma questo vale per tutti, l’erotismo e la sessualità hanno una componente fondamentale perché sono parte di chi sei. Ma come è possibile, in una società che presume che il tuo essere sessuale sia tutto ciò che sei? E che il tuo aspetto erotico è esotico e come tale viene feticizzato. Ci sono altre componenti da riconoscere come parte di un essere umano più sfaccettato e complesso. E ovviamente è difficile farlo anche nell’uso dei media. Nonostante tutto ciò che provo a fare nella musica e nei video, molto spesso tutto ciò a cui vengo ridotta è a una “ragazza asiatica con una gonna corta. Tutto questo per dire che non è facile trovare un equilibrio personale, voler essere me stessa ed essere in grado di esprimermi mantenendo una consapevolezza lucida di questi stereotipi. Non credo di avere ancora una risposta.

Oh No è ​​un album interamente composto da duetti. Come mai (e perché) avete deciso di coinvolgere tutte queste persone a collaborare con voi?

Alcuni di loro sono amici intimi e persone che amiamo e adoriamo, altre sono persone che ammiriamo e che ci piacciono, a cui abbiamo semplicemente chiesto di fare una canzone insieme. Penso che tutti abbiano voci incredibili e un talento musicale incredibile; provengono anche da campi artistici musicali molto diversi; come per esempio Susanne Sachsse, che ha una voce incredibile, ma è anche principalmente un’attrice e una performer. Mentre in casi come Sharon Van Etten, Jamie ha lavorato ad alcuni dei suoi dischi e
hanno stretto un rapporto professionale, ma ci siamo comunque ritenuti fortunati che abbia accettato una collaborazione.

Pensi che questo particolare momento storico abbia in un certo senso influenzato il modo in cui percepiamo le connessioni, le relazioni e le affinità con le persone? E se è così, come avete espresso questo spirito nell’album?

Sì, decisamente. Penso che questa pandemia abbia davvero cambiato il nostro modo di connetterci e di elaborare. Voglio dire, pensiamo anche solo all’aspetto del dolore: gran parte della nostra cultura ruota attorno alle interazioni sociali per elaborare il dolore della perdita, attraverso funerali o altre pratiche. In tutto il mondo così tante persone hanno subito dei lutti, ma queste pratiche sono state completamente interrotte per molti di noi.

E penso che ci saranno molti dolori e traumi non elaborati che verranno fuori da questa situazione; e altre perdite che includono anche perdite economiche, che hanno provocato una forte pressione anche sulle relazioni. Siamo creature sociali, e penso che dobbiamo capire come poter vivere per guarire insieme.

Penso che quel tipo di solitudine e anche di fuga sia catturato in alcuni dei video. Credo personalmente che in qualche modo affrontare il dolore o la perdita sia solo scapparne, per un sacco di tempo. E questa cosa dell’essere in fuga è anche molto noir. Quindi penso che ciò che più mi ha colpita sia stato in qualche modo catturato, specialmente in Sad Mezcalita. E abbiamo sicuramente cercato di esprimerlo nell’album, in alcuni testi. È divertente perché credo che si possa dire che le canzoni sono in generale piuttosto accattivanti e accessibili rispetto ad altre, ma che alcuni dei testi siano anche piuttosto cupi e oscuri.

Tra le collaborazioni nel disco c’è anche Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen. Perdona il mio campanilismo, ma devo chiederti: come descriveresti il tuo rapporto con l’Italia?

Purtroppo non sono riuscita a vedere tutta l’Italia come avrei voluto, ma credo di aver passato la maggior parte del tempo a Torino, che mi piace molto. Fabrizio e i Larsen sono di lì, e mi piacerebbe trascorrervi più tempo. Amo l’arte classica e la storia artistica e culturale così profonda del vostro paese, ma anche l’intersezione con molte delle nuove correnti, specialmente in ambito musicale; e ovviamente penso che il miglior cibo in Europa sia quello italiano.

Mi piacerebbe vedere di più del sud Italia… sono andata a Roma, ma sai come va a volte, vedi solo i locali e il tuo furgone e poi l’albergo. Abbiamo visitato certe piccole città quando ci è capitato di suonare per caso in qualche posto in mezzo alle montagne. E nemmeno sapevo dove mi trovavo, ma… c’è così tanta storia e così tanta bellezza lì che la adoro.

Gaia Carnevale 

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