27/04/2024
Numero ricco di spunti e uscite discografiche. A sorpresa, nella giornata di ieri, Nick Cave ha reso disponibile l'ascolto del suo nuovo album realizzato a quattro mani con Warren Ellis. Julien Baker dimostra di possedere tutti gli attributi per diventare una stella nell'olimpo della musica, così come non ci siamo fatti sfuggire l'accattivante compilation degli Stereolab. A seguire prestate attenzione ai Cloud Nothings, al ritorno dei seminali Melvins, al rilassante disco dei Balthazar al brit-pop dei Maximo Park e all'indie-pop degli scozzesi Randolph's Leap. Infine vi suggeriamo l'ambient-folk di Karima Walker e l'alternative rock dei Nightshift.

Numero ricco di spunti e uscite discografiche. A sorpresa, nella giornata di ieri, Nick Cave ha reso disponibile l’ascolto del suo nuovo album realizzato a quattro mani con Warren Ellis. Julien Baker dimostra di possedere tutti gli attributi per diventare una stella nell’olimpo della musica, così come non ci siamo fatti sfuggire l’accattivante compilation degli Stereolab. A seguire prestate attenzione ai Cloud Nothings, al ritorno dei seminali Melvins, al rilassante disco dei Balthazar al brit-pop dei Maximo Park e all’indie-pop degli scozzesi Randolph’s Leap. Infine vi suggeriamo l’ambient-folk di Karima Walker e l’alternative rock dei Nightshift.

12:44:33  –  26/02/2021

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Patrizia Cantelmo e Paolo Latini 



NICK CAVE AND WARREN ELLIS – CARNAGE
(art-rock, chamber-pop) 

A sorpresa Nick Cave ha pubblicato ieri il suo nuovo album Carnage. Il disco è stato partorito a quattro mani con il fedele Warren Ellis con cui l’artista si è chiuso durante la pandemia per lavorare a queste 8 canzoni inserite in questo lavoro. Carnage suona molto “spigoloso”, e se da una parte si percepisce un forte bisogno di creare, dall’altra l’album suona terribilmente affrettato. In generale, Carnage sembra funzionare quando decide di scegliere la via della bellezza a quella della devastazione. I due musicisti sembrano trovarsi in totale armonia quando sposano la pace e i suoni caldi.

Non mancano assolutamente gli spunti interessanti specie se inquadriamo questo lavoro in un’ottica assai trasversale: Carnage riesce a coprire una vasta gamma di suoni racchiudendo vari stili compositivi di Nick Cave offrendo un’intelaiatura sonora pulita e decisa. Una prova che mette in luce le due personalità di Cave, tra mostri e incubi premonitori del passato ma che racchiude anche una delicata visione di beatitudine. Cave ha dichiarato di aver passato il primo periodo di isolamento “leggendo, scrivendo compulsivamente e semplicemente restando seduto sul balcone a pensare” e in questo album lo si avverte in pieno. Carnage potrebbe essere il risultato a sorpresa del fatto che Cave sia stato obbligato ad indossare le pantofole ma è, allo stesso tempo, un’ulteriore prova di una creatività inesauribile (se pur con qualche pecca rispetto al passato). 
(G.A)


JULIEN BAKER – LITTLE OBLIVIONS
(songwriter, sadcore)

A ripensarci ora, quella sera in cui eravamo tutti assiepati dentro l’Ohibò, disposti a sfidare il caldo africano e a respirare ognuno il sudore dei propri vicini sembra appartenere a un’altra epoca, ma sono certo che, se dovesse ricapitare, ognuno dei presenti lo rifarebbe, tanto era stato ammaliante e capace di far sognare il concerto di Julien Baker.

La stessa cosa si può dire per questo nuovo disco, che mette in mostra un talento compositivo e interpretativo cristallino e una produzione magistrale, che utilizza ottimamente il potere suggestivo di echi, riverberi e vuoti e sfrutta al meglio chitarra, pianoforte e parte ritmica per farci vivere in modo molto realistico sensazioni senza dubbio scomode, ma che fanno semplicemente parte della vita. Intenso ed emozionante.
(S.B)


BALTHAZAR – SAND
(art-pop)

I Balthazar fanno parte di quella categoria di band che rende molto meglio dal vivo che su disco, e onestamente preferisco quando accade così rispetto al contrario. Certo, l’optimum sarebbe che anche quando si registrano mentre stanno suonando in studio riuscissero a veicolare quel groove irresistibile che sprigionano dal palco, con tutti quei ricami strumentali attorno a esso che mandano letteralmente in orbita gli spettatori, ma insomma, non sempre ci si riesce e dopo un po’ non è nemmeno giusto farne una colpa ai musicisti e/o al produttore.

Forse, ormai, se ne sono resi conto anche loro, così, in questo quinto album, non ci provano nemmeno a replicare quelle atmosfere, e virano verso un art-pop da lounge, in cui la suddetta combinazione tra groove e ricami strumentali serve ad accarezzare e a coccolare l’ascoltatore, e non a fargli muovere il piedino e mettergli voglia di ballare. Per dimenarsi e sentirsi avvolti e spensierati, bisognerà aspettare che si possa tornare a fare e frequentare concerti, ma questo ascolto può avere un suo perché durante una tranquilla mattinata di weekend in cui ci si sveglia tardi e si opta per un brunch con pancake, sciroppo d’acero, uova strapazzate e succo d’arancia.
(S.B)


MAXIMO PARK – NATURE ALWAYS WINS
(rock)

Quando la band di Paul Smith era uno dei nomi più cool tra l’amplissimo pubblico che riempiva serate come il Fish n Chips o il London Loves, in realtà c’era anche molta sostanza e altrettanta naturalezza nella proposta del quintetto. Chitarre ruggenti, melodie cristalline, testi efficaci e un timbro vocale che sembrava fatto apposta per amplificare la carica degli elementi di cui sopra creavano canzoni davvero adrenaliniche e genuine. Poi gli anni sono passati, l’ispirazione è calata e i Maximo Park sono apparsi sempre più come la copia sbiadita di se stessi.

Questo nuovo disco, però, è la perfetta esemplificazione di ciò che intende il titolo, ovvero si può anche invecchiare, ma bisogna sempre cercare di assecondare la propria natura, che tanto, prima o poi, riemerge. E così, è sparita la coolness, ma tutto il resto è di nuovo qui tra noi, in queste onestissime canzoni rock con ritornelli killer uno via l’altro e la voce che funge da ulteriore collante per farli appiccicare ancor di più al cervello. Non stiamo certo gridando al miracolo, ma qui c’è da cantare e da assorbire energia positiva per un bel numero di ascolti.
(S.B)


CLOUD NOTHINGS – THE SHADOW I REMEMBER
(Post-hardcore)

Dopo l’album del lockdown assemblato via mail, questa volta Dylan Baldi e soci tornano a fare sul serio in studio e richiamano in cabina di regia Steve Albini per un ennesimo devastante capitolo della saga Cloud Nothings. Una serie fatta di chitarre potentissime, progressioni ritmiche da capogiro e melodie irresistibili, un connubio che ormai è un loro autentico marchio di fabbrica.

Un magma sonoro che se di primo acchito può sembrare indistinguibile, non smarcandosi di un millimetro dalla loro consueta cifra stilistica, ascolto dopo ascolto rivela il suo valore, con alcuni episodi fulminanti, come ad esempio la coda di “The Spirit Of” per citarne una. Un disco ancora un filo sotto i loro migliori, ma che ricorda molto da vicino l’ottimo “Here and Nowhere Else”. Uguali a se stessi, ma ancora con ottime cartucce da sparare.
(P.C)


RANDOLPH’S LEAP – SPIRIT LEVEL
(indie-pop)

Torna il collettivo indie-pop scozzese capitanato da Adam Ross e ripropone il proprio amore per la vecchia scuola del pop indipendente, quella che si basa su un suono colorato e morbido, con tanti strumenti che mettono ognuno la propria pennellata su un quadro d’insieme dal quale si respirano a pieni polmoni positività e introspezione, giornate trascorse in compagnia all’aperto oppure da soli in cameretta, cura per ogni minimo particolare e spontaneità.

Non si inventano niente, Ross e i suoi, ma ai popkids sparsi per il pianeta l’originalità interessa il giusto, ed è più importante che non manchino mai gli ascolti che perpetuano, con freschezza e gusto, un immaginario che in fondo è sempre attuale. Qui la missione è perfettamente compiuta, tanto che ancor prima dell’uscita ufficiale, l’etichetta ha già dovuto far ristampare l’edizione in vinile, e insomma, i popkids saranno pure una nicchia, ma se fai le cose bene, ti rimangono fedeli, e dopo un disco del genere, certamente il nome Randolph’s Leap riscuoterà analogo successo anche con il prossimo.
(S.B)


MELVINS – WORKING WITH GOD
(grunge, hardcore punk)

Seminali, mai banali e con ancora indosso converse e camicioni di flanella, parliamo dei Melvins creatura tornata nell’assetto compatto a tre con i veterani King Buzzo e Dale Crover al timone. La band originaria di Aberdeen (stato di Washington e terra natia di Kurt Cobain) torna in pista con un lavoro nuovamente targato Ipecac.

Working with God è accompagnato da due bellissimi ricordi dell’umorismo targato Melvins: l’opener “I Fuck Around” è  una  potente interpretazione di “I Get Around” dei Beach Boys, e “Goodnight Sweetheart” è un altro gioiello creato a cappella. Working with God è un disco “alla Melvins”, che mette alla base la chitarra costruita su vertiginosi riff che gettano le basi di ogni canzone come un’arma  da demolizione di massa. I Melvins sono vivi e vegeti e hanno ancora tanto da raccontare.
(G.A)


STEREOLAB – ELECTRICALLY POSSESSED
(avant pop, indie pop, post rock)

Fan degli Stereolab una compilation da acquistare assolutamente è Electrically Posessed che racchiude inoltre le rarità della band dai primi passi mossi nel ’92 al 2008. Il lavoro è il quarto della loro serie di compilation “Switched-On”, pubblicato per Duophonic Records e Warp Records.  Il meglio di una carriera che ripercorre un lungo arco temporale tra pop, influenze krautrock, musica brasiliana, musica elettronica, fino a sconfinare nell’art rock. Tutti i classici sono presenti in questo lavoro. Un lavoro chilometrico per le tante canzoni presenti. In sintesi: una vera chicca per i fan e un monolite sonoro da studiare per i neofiti di questa band.
(G.A)


KARIMA WALKER – WAKING THE DREAMING BODY
(ambient – folk)

Lo confesso: i dischi folk in genere li getto nel cassonetto dell’indifferenziata senza neanche pensarci, quindi dovrei chiedermi perché sto scrivendo di un disco che viene etichettato come folk? Perché Waking the Dreaming Body è in realtà un disco ambient, o al limite ambient-folk, un filone che da Grouper e Tiny Vipers in poi ha dato non poche soddisfazioni, e solo l’anno scorso ci sono stati i deliziosi esempi di Sea Oleena e la nostrana Maria Valentina Chirico. Come quasi tutte le recenti produzioni ambient, anche Waking the Dreaming Body gravita attorno alla fastidiosa pandemia che ha cancellato il 2020.

L’intenzione di Karima Walker era quella di realizzare un disco insieme a Melissa Dyne dei Blow, ma una volta a New York è dovuta tornare a Tucson a causa di una malattia, dove poi è dovuta restare causa Covid. A Tucson Walker ha rilavorato con Ableton quel poco materiale che era riuscita a registrare a New York, immergendo la parte acustica (piano, chitarra, il contrabbasso di C. J. Boyd in una traccia) in un oceano di tape loops, field recordings e synth soffici.

Il risultato è un disco che forse riesce a rappresentare al meglio la complessa personalità di Marika Walker, divisa tra discendenze arabo-tunisine, formazione occidentale tra il deserto in Arizona e le metropoli affollate, interessi nelle arti plastiche e figurative che sfumano nella musica sospesa a metà tra il cantautorato e il soundscaping. Waking the Dreaming Body è un disco che fa la spola tra sogno e realtà, tra folk concreto e le astrazioni ambient, e tra la cruda realtà del deserto Sonora e impalpabili mondi che si possono solo sognare. Tanto di cappello per tracce come “Windows I” e la multiforme “Horizon, Harbor Resonance.”
(P.L)


NIGHTSHIFT – ZÖE
(alternative)

I Nightshift sembrano uscire dal nulla, in realtà vengono fuori a una manciata di band scozzesi molto attive nella scena indipendente di Glasgow (Diffiuclt, 2Ply, Robert Sotelo, I’m Being Good, Loris and the Lion, Spinning Coin), e già con il primo omonimo album uscito l’anno scorso per l’etichetta del bassista Andrew Doig CUSP avevano dimostrato di saper fondere alla perfezione pop west-coastiano, attitudini no-wave e post-punk, krautrock e psichedelia gentile.

Con l’aggiunta della clarinettista Georgia Harris  il loro sound raggiunge una piena maturità e anzi, acquisisce quel tocco di surreale che forse mancava nel primo album.  Zöe apre un mondo affascinante e accogliente, dall’ipnotica “Piece Together,” all’avvolgente “Power Cut,” e ancora la dissonante “Outta Space” fino a piccoli cameo di samba e di chanson francese sul finale.  Qui tutto è al posto giusto, e tutto gira alla perfezione: le parti vocali divise tra Eothern Stearn e Andrew Doig sembrano a volte duetti tra una Nico ringiovanita e Lee Ranaldo, ma ricordano anche le dinamiche di un’altra band che ha da poco firmato proprio per Trouble In Mind, i Dummy, tanto per sottolineare quanto le cose davvero interessanti provengano sempre più spesso fuori da quel vivaio.
(P.L)


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