27/04/2024
uscite discografiche luglio - www.infinite-jest.it
In questo numero di uscite discografiche della settimana abbiamo ascoltato gli album di Devendra Banhart, Laurel Halo, Bibio, Teenage Fan Club, Slaughter Beach, Dog,  Grails, Föllakzoid e il lavoro collaborativo di Will Butler e Sister Squares. 

In questo numero di uscite discografiche della settimana abbiamo ascoltato gli album dei NationalDevendra Banhart, Laurel Halo, Teenage Fan Club, Slaughter Beach, Dog, Sandro Mai, e il lavoro collaborativo di Will Butler e Sister Squares

12:38:44  – 22/09/2023

a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Fabio Campetti e Chiara Luzi 



THE NATIONAL – LAUGH TRACK
(Indie Rock, Post-Punk Revival, Chamber Pop)

Meno di sei mesi fa i National hanno pubblicato First Two Pages of Frankenstein, il loro nono album probabilmente più meditativo ed evocativo di una carriera. All’improvviso, si scopre che la band aveva molte più canzoni di quel genere in cantiere.

First Two Pages of Frankenstein, ci è stato detto ad aprile, era una dichiarazione di fede, fiducia, concentrazione e impegno tra i membri della band, due dei quali, i fratelli Bryce e Aaron Dessner, avevano collaborato con Taylor Swift, Bon Iver, Phoebe Bridgers e molti altri in una ricerca per cospargere un po’ di magia lo-fi sul loro lavoro. La musica rimasta dalle sessioni di registrazione non era finita, e nemmeno i testi, ma tra i soundcheck durante il tour e altre sessioni, si sono formate nuove canzoni. Se quel nono album trabocca di un’introspezione sinuosa e meditativa, questo decimo lavoro è  il suo giusto prosieguo. 

(Giovanni Aragona)


DEVENDRA BANHART – FLYING WIG 
(songwriting)

Alfiere ad inizio degli anni zero di un certo songwriting classico in pieno revival, che lo ha portato tra le chiacchiere importanti di mezzo mondo, ricordo anche in Italia una doppia copertina nello stesso mese dei due magazine alternativi più importanti  (Un caso più unico che raro). Una carriera che poi si è stabilizzata dopo i bagordi iniziali, sinceramente l’ho anche perso un pò di vista e, come normale che sia, le cose cambiano e questo ultimo “Flying Wig” non ha ovviamente nulla a che vedere con il Devendra Banhart di allora, sebbene negli anni abbia comunque mantenuto uno standard vicino alle fondamenta. 

Qui affiora una certa musica elettro in sottofondo, una sorta di reminiscenze anni ottanta, di quei suoni sintetici delicati e non troppo invadenti, ma caratterizzanti a loro modo, o come in “Nun” (tra i Singoli apripista), più indie, ideale ponte con “Mala” album uscito quasi una decina di anni fa. Forse una nuova svolta per il cantautore statunitense, non più un sound acustico e spoglio, ma la scelta, dopo anni, di vestire nuovamente i brani, arricchendoli. Tentativo parzialmente riuscito, non per le scelte in sede di produzione, ma più per una scrittura di fondo. Manca un pò la sostanza, o ancora meglio mancano un pò le canzoni. Disco che si fa ascoltare e nulla più. 

(Fabio Campetti)


LAUREL HALO – ATLAS 
(ambient, elettronica)

Auto-descritto come un viaggio “subconscio” nel tempo e nello spazio, Atlas non appartiene da nessun’altra parte che ad alcuni dei migliori lavori d’avanguardia di questa generazione. Le atmosfere estatiche e oniriche, gli spigolosi vortici spaziali e una lucidità da veterana, (ri) confermano Laurel Halo come una delle artiste più coraggiose e interessanti in circolazione. I 50 minuti di Atlas combinano numerosi parapendii musicali visionari capaci di creare, infine, un trionfo minimalista moderno ed elegante senza annoiare neanche per un istante. 

(Giovanni Aragona)


TEENAGE FANCLUB – NOTHING LASTS FOREVER
(power-pop)

Come da titolo, niente dura per sempre, e i Teenage Fanclub se ne sono accorti quando Gerard Love li ha lasciati, ormai cinque anni fa. Norman Blake e Raymond McGinley hanno voluto continuare, ma, se è vero che sono tre gli indizi che fanno una prova, siamo ormai arrivati a due indicazioni che qualcosa si è irrimediabilmente rotto. Questo, infatti, è il secondo disco senza Love, ed entrambi suonano come il prodotto di una band rassegnata, che non ha più voglia di divertirsi e che non riesce a scrollarsi di dosso il glorioso passato in cui a scrivere le canzoni e cantarle non erano solo in due, ma in tre.

Non si può parlare di un brutto disco, perché le melodie sono di discreta qualità, l’accompagnamento strumentale preciso e senza fronzoli come le canzoni richiedono e le armonie vocali ben congegnate, ma la musica non è solo una fredda analisi degli elementi contenuti in un lavoro, perché ci sono certi intangibles che si fanno sentire, ed è giusto che sia così. In questo caso, le canzoni scorrono via senza colpo ferire e, più si va avanti, più il nostro inconscio va alla ricerca di una scintilla, e non possono non venire in mente quelle che Gerard aveva fatto scoccare in passato coi suoi capolavori come “Hang On” o “Sparky’s Dream”. Norman e Raymond sono ancora, indubbiamente, dei validi songwriters, ma l’espressione delle loro abilità compositive è ormai troppo umbratile e manca di mordente.

(Stefano Bartolotta)


WILL BUTLER + SISTER SQUARES – WILL BUTLER + SISTER SQUARES
(anthemic synth-pop)

Will Butler aveva già alle spalle alcune pubblicazioni da solista anche quando era ancora negli Arcade Fire, ma questo è il primo album da quando è uscito dalla band capitanata da suo fratello. Il disco nasce dall’unione con i Sister Squares, quartetto newyorkese femminile al 75%, che viene presentato come una band radicata nella dance e nel teatro. Certamente, la prima delle due componenti è quella che si sente maggiormente in queste canzoni, permeate di synth-pop ottantiano nel quale si nota soprattutto l’influenza del Bowie di quel periodo, ma anche dei Duran Duran e degli Human League. Probabilmente, i quattro ci hanno messo del loro anche nella componente epica di queste canzoni, ma è certamente più facile farla risalire proprio allo stile della band da cui Butler è uscito.

La prova dell’ascolto restituisce un disco piacevole e dalla buona continuità, non ci sono tempi morti o riempitivi, si mette su il disco e si rimane col sorriso per tutto il tempo. L’unica mancanza, non da poco, è quella di almeno un pezzone che davvero sappia conquistare l’ascoltatore: sono tutte canzoni discrete, ma nessuna di esse si eleva a livelli di eccellenza. Poco male, comunque: l’ascolto, come detto, è in grado di regalare tre quarti d’ora piacevoli, e tra l’altro lascia incuriositi per come possa essere la resa live di questo disco. In Italia potremo riscontrarlo il 20 novembre a Milano e il 21 a Bologna, e non ci sarebbe da stupirsi di un innalzamento di livello rispetto alla prova in studio.

(Stefano Bartolotta)


SANDRO MAI – ESISTE ANCORA LA SPENSIERATEZZA? 
(indie-pop)

Sandro Mai è il personaggio dietro al quale si nascondono Alessandro Masci e Andrea Cometti, già insieme nei Wyns, da Luino (VA). Il debutto sulla lunga distanza arriva dopo tre anni di attività del progetto, ed è stato realizzato con la collaborazione del concittadino Marco Ulcigrai, leader de Il Triangolo. Sandro Mai cerca di fare una cosa che, ormai, in Italia si fa sempre meno, ovvero mettere insieme cantautorato e melodia. Il risultato è una serie di canzoni caratterizzate da leggerezza e cantabilità da un lato e da un timbro vocale carismatico e testi significativi dall’altro. C’è, inoltre, una forte attenzione a far sì che l’aspetto sonoro faccia da ponte tra gli altri elementi sopra menzionati, e infatti i brani hanno un’elevata facilità di ascolto ma sono anche molto curati in ogni minimo dettaglio.

Si tratta, quindi, di un disco davvero completo e che può dare soddisfazione sia se lo si approccia come un ascolto, come da titolo, spensierato, che se si decide di sviscerare in profondità ogni particolare e l’interazione tra essi. E alla fine, viene davvero da chiedersi se esiste ancora la spensieratezza, perché quando canzoni la cui parte musicale è così improntata alla positività contengono testi come “Non cerco più niente in questo mondo distratto, tutto concentrato a regalarti un contratto” o “Non dico tutto quello che penso, scrivo, cancello, scrivo, mi fermo, poi mi rimetto a pensare a quante belle parole sprecate”, non si può che rimanere in un punto indefinito in sospeso, tra la leggerezza e l’introspezione. Ed è bello sentire che le proprie sinapsi e i propri sensi vengano così ben stimolati senza alcuna seriosità, ma con personalità e qualità.

(Stefano Bartolotta)


SLAUGHTER BEACH,DOG – CRYING, LAUGHING,WAVING,SMILING
(indie, folk, songwriting)

Nati quasi dieci anni fa come side-project di Jake Edwards (Modern Baseball), ormai Slaughter Beach, Dog possono considerarsi a tutti gli effetti un gruppo perfettamente strutturato, con una solida discografia alle spalle, e che non ha più senso definire side-project. Il loro quinto lavoro in studio, Crying, Laughing, Waving, Smiling, è un pregevole album che ben si adatta al passaggio stagionale, accogliendo l’ascoltatore in un luogo caldo e malinconico.

Le sonorità folk sono arricchite da chitarre country, già presenti in Safe And Also No Fear (2019), ma che in questo caso sono l’anima portante di tutto il disco. L’album è stato concepito da Edwards dopo aver passato molto tempo immerso nei boschi durante la pandemia, ascoltando Tom Waits e Neil Young, ed effettivamente sia nei suoni, che nella scrittura, in Crying, Laughing, Waving, Smiling si percepisce una forte unione con la natura. A livello sonoro tutto si muove su un’unica linea retta, ma nonostante questo il disco scorre benissimo. Senza dubbio può essere collocato in quella categoria di album da ascoltare durante lunghi e catartici viaggi in macchina.

(Chiara Luzi)


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