27/04/2024
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Uscite discografiche con NILS FRAHM, BULL, HERSELF, EVERYTHING EVERYTHING, LIAM GALLAGHER, YARD ACT,MANNEQUIN PUSSY, STRFKR

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NILS FRAHM – DAY 
(ambient) 

Prima ancora di essere un certosino modellatore di suoni digitali, Nils Frahm è un ottimo pianista e quando torna a sedersi al piano abbandonando strumentazioni elettroniche, synth e computer, riesce a creare qualcosa di estremamente suggestivo; è ciò che accade in Day, nuovo album in uscita oggi. Composto da soli sei brani, questo disco, essenziale ed intimo, rimanda ai primi lavori dell’artista berlinese, The Bells (2010).

 

In Day Frahm si riappropria con grazia del suono analogico, esaltandone le imperfezioni e le ruvidità; il rumore del tocco sui tasti e lo stacco del pedale diventano parte fondamentale dei brani, il suono è sporco ma caldo e malinconico. Sembra di essere seduti nella stanza insieme a Frahm che suona, la finestra aperta da cui entrano una lieve brezza che muove le tende, il cinguettio degli uccellini e l’abbaiare dei cani, Butter Notes. Ad ogni brano viene dato il tempo di muoversi e respirare, non c’è fretta, Frahm si prende il tempo di seguire un flusso sonoro che lo porta a navigare su loop creati al momento grazie al pianoforte o ad accarezzare influenze jazz, Hands On. Date un piano a Nils Frahm e lui vi regalerà un piccolo capolavoro.
(Chiara Luzi)

 


EVERYTHING EVERYTHING – MOUNTAINHEAD
(art-pop)

Tra i pochi superstiti dell’ondata art-pop di fine anni Zero/inizio anni Dieci, gli Everything Everything non sono ormai più oggetto di hype, ma continuano a realizzare dischi piacevolissimi. Questo è il settimo, e sarà difficile da credere per chi se li è persi di vista dopo i primi due, ma se state leggendo questa pagina e fate parte di quel gruppo, non esitate a riprendere contatto con la band di Manchester e godetevi almeno queste nuove canzoni, che suonano catchy esattamente come agli inizi, con la voce di Jonathan Higgs che sembra quella di un debuttante pieno di voglia di spaccare il mondo e non di un cantante navigato ormai a un passo dall’ingresso negli “anta”.

 

Questo quartetto sembra essersi immerso nella piscina di “Cocoon” ed è, quindi, ancora in grado di mettere in campo una proposta fresca e convincente come se fosse agli esordi. E non è che vogliono fare i giovani ma non ci riescono, è proprio che lo sono ancora, quantomeno per quanto riguarda l’impatto della musica che continuano a fare. Poi certamente l’originalità è da altre parti, ma la piacevolezza dell’ascolto rimane, in virtù dei pregi specificati sopra.
(Stefano Bartolotta)

 


BULL – ENGINEES OF HONEY 
(pop-rock)

Il debutto della band di York uscito nel 2021 è indubbiamente uno dei dischi che più mettono voglia di cantare degli ultimi anni. Tutto è incredibilmente catchy in quelle canzoni, che risultano oltremodo irresistibili. C’era, quindi, una certa attesa per questo secondo album da parte di chi si era innamorato di quello, e l’impressione, al primo ascolto, è di un altro buon lavoro, ma non entusiasmante come “Discover Effortless Living”.

 

Siamo sempre dalle parti di un pop-rock fortemente debitore di quanto avveniva negli Stati Uniti sul finire degli anni Novanta, con nomi come Fountains Of Wayne, Superdrag, Semisonic, Third Eye Blind e via dicendo che certamente, a turno, saltano subito alla mente durante l’ascolto.  Indubbiamente si canta e si sta bene anche con queste nuove canzoni, ma un po’ manca l’effetto sorpresa del disco precedente, quando certamente non si pensava che qualcuno potesse rifarsi a quello stile musicale, un po’ non c’è la stessa immediatezza, e insomma, per ora non si raggiungono le altezze del 2021. Diciamo per ora perché l’impressione è che potremmo anche trovarci di fronte a uno di quei dischi che ci mette quei due o tre ascolti per svelarsi completamente e, se fosse vero, non ce lo toglieremmo più dalla testa. Staremo a vedere.
(Stefano Bartolotta)

 


HERSELF – SPOKEN UNSAID 
(indie-rock)

Gioele Valenti è uno dei più longevi outsider della musica italiana, uno che da vent’anni fa la musica che gli piace senza curarsi delle mode e senza fossilizzarsi su un progetto o un solo modo di lavorare. Il compositore e polistrumentista siciliano, infatti, porta avanti alternativamente i moniker Herself e JuJu, con il primo più devoto all’indie-rock di nomi importanti come Sparklehorse, Flaming Lips e Mercury Rev e il secondo, invece, dedito a quella che lui stesso chiama psichedelia pan-mediterranea.

 

Con Herself, Valenti pubblica ora il sesto album, e se da un lato la triade sopra menzionata emerge con grande evidenza tra i riferimenti, dall’altro le canzoni sono semplicemente bellissime ed emozionanti, perché risultano scritte, suonate e cantate con grande gusto, con un andamento lineare ma mai prevedibile e la capacità di coniugare ottimamente sensazioni terrene e atmosfere oniriche.  Le idee compositive e interpretative dell’autore sono di primissima qualità e, ascoltandole, si rimane costantemente in uno stato di piacevole stupore, compiacendosi delle scelte sempre azzeccatissime e con la voglia di isolarsi dal mondo per godere appieno di canzoni così.
(Stefano Bartolotta)

 


YARD ACT – WHERE’S MY UTOPIA? 
(post-punk, dance punk)

Fin dai primi secondi di questo nuovo lavoro in studio della band di Leeds traspare una certa disperazione dietro alla solita ironia che contraddistingue la musica di questa band. Il senso d’umorismo degli Yard Act è intatto e più forte che mai, tanto da riflettersi nel personale nel momento in cui si aprono alla volontà di vendersi per soldi (alla fine è pur sempre un lavoro il loro) in “We make hits”. Tolte le diverse, ed argute frecciatine politiche sparse in “Where’s My Utopia?”, abbiamo anche una manciata di momenti introspettivi, in cui la band riflette sullo scorrere del tempo e ritrovarsi adulti.
A parte qualche passo falso (vedasi le ultime due tracce del disco), questo è un concept album ben assemblato e la produzione è piuttosto dettagliata ed eccentrica. Bellissimi i ritornelli di Katy J Pearson in “When the Laughter Stops”, gran pezzo che scuote le acque quel tanto che basta prima che arrivi la sconcertante “Grifter’s Grief”, in cui spiccano i synth, una forte propensione al dance punk ed un catartico finale tiratissimo.
Mentre gli ottimi singoli “dream job” e “petroleum”, i veri ponti con le canzoni contenute nel disco d’esordio, qui dentro acquistano ancora più senso e “The undertow” ci consegna una band in grado di scrivere anche grandi strofe e ritornelli con particolare attenzione ad un certo gusto orchestrale. La strada intrapresa dai ragazzi di Leeds è quella giusta. Ora non resta che aspettare con trepidazione il loro concerto milanese del 14 Aprile.
(Davide Belotti)

FAYE WEBSTER – UNDERDRESSED AT THE SYMPHONY 
(singer, alt country, indie pop)

Seguo Faye Webster dal 2017, quando, trascinato fin da subito da quel singolone che era “I know you”, uscii il suo secondo disco. Da allora, dopo 7 anni e qualche disco carino, ma non esaltante, mai mi sarei aspettato di trovarmi di fronte ad un cosi bel lavoro come “Underdressed at the symphony”. Questo non è il disco indie rock/bedroom pop sui generis che mi aspettavo dalla giovane artista di Atlanta. Tutt’altro.

 

Unendo ad un classico folk country evidenti influenze dei migliori Big Thief, argute atmofere jazz e una produzione degna di Mitski, la brava Feye ha saputo alzare l’asticella ed uscire dalla sua confort zone, senza apparire mai scontata o troppo derivativa.
(Davide Belotti)

 


LIAM GALLAGHER / JOHN SQUIRE 
(brit pop, alt rock)

Era un po il sogno bagnato di tanti fan storici del Brit rock e dopo anni di chiacchiere e voci di corridoio, è finalmente arrivata una bella collaborazione tra due mostri sacri della musica Britannica. C’era il rischio di trovarci di fronte a un qualcosa di puramente nostalgico e fatto tanto per, ed invece si percepisce la stima reciproca e la voglia di lavorare insieme dei due. In quello che a detta del tutto personale rappresenta il miglior lavoro post Oasis di Liam Gallagher ed il migliore in anni di vuoto musicale da parte di John Squire.
Sia chiaro, niente di incredibile traspare all’ascolto del disco, ma qua e là trovano spazio, mescolandosi alla perfezione, delle ottime chitarre psych dai richiami baggy di Squire e le caratteristiche e inconfondibili liriche del buon Liam, qui assai ispirato come non lo era da tempo. Pensavo peggio ed invece mi tocca ammettere che sanno saputo superare di gran lunga le mie aspettative. Bravi.
(Davide Belotti)

MANNEQUIN PUSSY – I GOT HEAVEN 
(punk rock, indie-rock, grunge, garage rock)

La crescita esponenziale di questa band inizia ad essere non solo importante ma terribilmente accattivante. Il debutto per Epitaph Records di Patience del 2019, aveva lasciato presagire un imminente roseo futuro, ma oggi le cose sono clamorosamente migliorate. Non solo diversificazione: dal rumoroso punk delle uscite precedenti alle canzoni più orecchiabili e melanconiche,  ma tenerezza strappata alla ferocia con intelligenza e senza inutili e sterili virtuosismi. I Got Heaven è un gran bel disco e raggiunge vette compositive mai sfiorate prima dalla band.  

 

Un lavoro complesso e curioso ispirato alle minacce che vengono sia dal mondo esterno che dalle mura domestiche, in mezz’ora di grandissima intensità e senza mai cadute. I Got Heaven è il gioiellino di un gruppo maturo che ha perfezionato il suono rendendolo perfetto. La rabbia è sempre l’elemento caratterizzante dei testi, le sconfitte ora fanno meno male, le vittorie sono più duramente combattute e le dieci canzoni di questo disco susciteranno una funzione catartica, costruita e distrutta fino  al raggiungimento di un nirvana acido e duraturo.  

(Giovanni Aragona)  

 


STRFKR – PARALLEL REALMS 
(electro-pop, synth-pop, indietronica)

Una miscela pop surreale e retro-futurista con partiture elettroacustiche e dall’atmosfera noir in un disco accattivante, per amanti del genere, e sinceramente troppo lungo. Ecco, se proprio volessimo trovare un difetto a questo ottimo lavoro è la temporalità, sinceramente troppo dilatata in momenti quasi morti e poco funzionali. Il resto funziona e anche bene. STRFKR ha estratto le sue demo e le sue idee musicali per imbastire questo ottavo album del quartetto electro-pop diviso sostanzialmente in due blocchi: il primo, è il disco per le vostre feste casalinghe in compagnia di bella gente, il secondo è pieno di tantissima sperimentazione.
(Giovanni Aragona)  

 


 

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