26/04/2024
Robyn Hitchcock ha fatto tappa alla Chiesa Valdese di Roma

11:12:40  – 14/02/2020

Ci sono concerti belli, perfetti musicalmente, con tanti elementi sul palco a rendere arrangiamenti e suoni al loro meglio da cui esci con quel senso di fredda soddisfazione che però svanisce dopo pochissime ore. Altri a cui per esperienza ti approcci con sospetto, stanca di improvvisati set in veste solista, ma che ti lasciano un senso di pienezza, magia, meraviglia totalmente irrazionale, capaci di toccare corde sospese e tirate fin quasi a spezzarsi in lacrime, che invece ti accompagneranno a lungo. Come ci riescono? Devono concretizzarsi una serie complessa di elementi che si incastrano per un qualche inspiegabile incantesimo: sei lì per terra, in un luogo sconosciuto in mezzo a sconosciuti, ma all’improvviso questo incantesimo ti trasporta altrove, in un luogo in cui speri ogni volta che la musica ti porti.

Lo stregone sul palco allestito nella Chiesa Valdese di Roma si chiama Robyn Hitchcock e non ha bisogno di grosse presentazioni. Quasi niente sul palco, eccetto la sua voce, la sua consueta camicia a pois, la chitarra e il piano: pochi ingredienti preziosissimi mescolati con classe che ci incantano fin da subito. D’altra parte, l’apertura è col botto: una versione al piano di Astronomy Domine, tributo accorato a quei Pink Floyd a cui deve tanto, quelli del suo amato Syd Barrett. Non sarà l’unico tributo, in questa serata dove Hitchcock, abbandonato subito il piano e imbracciata la chitarra, propone una scaletta molto varia, senza alcun pezzo dei Soft Boys, ma pescando qua e là fra la sua ricchissima discografia: nessun album prende il sopravvento né i pezzi più recenti sfigurano al cospetto dei capolavori del passato. Quasi in apertura piazza una doppietta da Element of light a cui segue un altro trittico di tutto rispetto come Queen of Eyes/Madonna of The Wasp/The Lizard, che scalda tutta la sala stipata sui banconi spartani della Chiesa in religioso silenzio. Robyn Hitchcock si diverte a sfoggiare il suo stentato ma apprezzatissimo italiano sia con la platea ma soprattutto con “Simone” (presumibilmente il nome del fonico della serata) personaggio che diviene suo malgrado cardine di questo concerto tanto il suo nome viene ripetuto assieme alla parola “delay” in cerca della resa perfetta in sala, per ogni canzone. Resa sonora che, peraltro, rimane per tutto il concerto davvero ottimale.

Perfezionismo maniacale, quasi, quello di Hitchcock ma che tutto ha tranne la freddezza: la Chiesa Valdese si trasforma presto in una location calorosa, quasi fosse casa sua, grazie all’immensa passione che ogni pezzo emana. A conferma di ciò anche la presenza sul palco di Emma Swift, compagna di Hitchcock, dotata di una voce incantevole che offre un delizioso contraltare a quella del songwriter inglese per i tre pezzi finali ovverosia Virginia Wolfe, I Used to Say I Love You e la meravigliosa Glass Hotel (seguiti dal secondo tributo della serata, quello a Dylan e alla sua Just Like a Woman) Ma il vero finale commovente ed inaspettato deve ancora arrivare, quando mr. Robyn Hitchcock torna sul palco per il bis, tirando fuori dalla sua custodia la chitarra già riposta e intonando The Man Who Invented Himself, chicca dal suo primissimo disco solista Black Snake Dîamond Röle.

La chiusura vera e propria è invece affidata all’ uno-due interamente dedicato a Nick Drake, al quale Hitchcock è particolarmente legato ed evocato anche per la sua partecipazione al tributo Way To Blue tenutosi proprio a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, una decina di anni. È infatti proprio la rievocazione di quello spettacolo ad introdurre con le parole una intensissima I Saw Nick Drake durante la quale abbiamo l’impressione davvero di vederlo salire sul palco accanto a Robyn Hitchcock. Che chiude con quello che definisce il suo Drake, quello di River Man a farci scendere qualche brivido lungo la schiena. Una serata memorabile per la rassegna Unplugged in Monti, che in apertura ha anche proposto il breve set dell’ottima Emma Tricca, romana stabilitasi ormai da anni a Londra. Il suo è un live necessariamente scarno, che soffre più di quello del main guest la veste in solitaria ma ci regala indubbia prova del suo talento cristallino.

Patrizia Cantelmo

 

I Used to Say I Love You:

Scaletta: 

Robyn Hitchcock Setlist Chiesa Valdese, Rome, Italy 2020

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *