In questo secondo numero di settembre di Uscite Discografiche della Settimana abbiamo ascoltato i lavori di Ozzy Osbourne, il ritorno di Greg Dulli e dei suoi Afghan Whigs, i Built to Spill, Sarah Davachi, i The Amazons l’elettro-pop dei Jockstrap i Preoccupations e l’album solista di Oliver Sim degli XX.
a cura di Giovanni Aragona, Chiara Luzi e Cristina Previte
12:11:39 – 09/09/2022
THE AFGHAN WHIGS – HOW DO YOU BURN?
(alternative rock)
Greg Dulli e soci tornano a distanza di cinque anni con un nuovo album e il risultato è perfetto. L’edonismo e il romanticismo, guidano ancora il rock’n’roll degli Afghan Whigs anche per questo nono album della band. I traumi relazionali sono sempre la chiave narrativa dei loro racconti sonori e lo scheletro di How Do You Burn?, ha questo sapore. Quello che all’inizio sembra un suono sofisticato e familiare del gruppo, una sorta di residuo (più maturo) dai primi disordini del grunge, alla lunga è capace di mantenere per tutta la durata dell’album, uno strato sottile di delicatezza, eleganza e malinconia. Un disco penetrante, a tratti struggente e molto ben suonato capace di riportare in auge una delle band seminali degli anni ’90 anche in epoche di post-punk ed esperimenti pop guidati da Ableton.
(G.A)
OZZY OSBOURNE – PATIENT 9
(heavy metal, hard-rock)
Nonostante tutto, Osbourne suona pieno di vita, in contrasto con i problemi medici che lo hanno afflitto di recente, infatti la sua salute ha pesato sulla sua mente. I testi dell’album tornano spesso sui temi della mortalità (o della sua mancanza), dell’inferno e di una cupa prospettiva sul futuro anche se in “Immortal”, fa una promessa gigantesca come il suo status leggendario:“But I’ll never die / ‘Cause I’m immortal.”
Il 13° album solista di Ozzy Osbourne dei Black Sabbath presenta le apparizioni di grandi artisti tra cui Jeff Beck, Eric Clapton, Tony Iommi, Mike McCready e Zakk Wylde. E a differenza dell’ultimo album Ordinary Man, Patient Number 9 è un lavoro più mirato; i pezzi si incastrano più facilmente. “Degradation Rules”, una delle due canzoni con il chitarrista dei Sabbath Iommi, raggiunge persino l’impossibile: una traccia solista quasi grandiosa rimossa da quattro decenni dal classico Blizzard of Ozz. Si ipotizzava che l’uscita di Ordinary Man potesse essere l’ultimo album di Osbourne. Patient Number 9 dimostra che la teoria è sbagliata.
(C.P)
SARAH DAVACHI – TWO SISTERS
(ambient, minimalism)
Una studiosa della musica come Sarah Davachi usa le sue composizioni per indagare le qualità e il potenziale degli strumenti: una sorta di Freud della musica. Two Sisters è la sua selezione più completa fino ad oggi; un album labirintico e organico come un’impronta digitale, ma anche immediatamente accogliente e accessibile. Il disco è un tentativo di riconciliare un passato musicale e un presente, penetrando all’interno della musica antica. Più che un disco Two Sisters è opera artistica da analizzare e studiare.
(G.A)
THE AMAZONS – HOW WILL I KNOW IF HEAVEN WILL FIND ME?
(alt-rock, garage rock)
Gli echi indie-rock del passato sono ormai un lontano ricordo per la band inglese, spostata ormai ad una formula molto più canzonata e strutturata rispetto alla grinta del passato. Nonostante l’attenzione più forte sul songwriting, gli Amazons non hanno completamente abbandonato i loro modi rifftastic e i fan dei vecchi apprezzeranno senza dubbio la sezione centrale del disco. Nel complesso, questo è un disco estremamente edificante che piacerà anche ai non fa del gruppo. Rispetto al passato gli Amazons attingono ad un lirismo più profondo e di impatto per suonare in maniera sicuramente più mainstream e “piaciona”.
(G.A)
OLIVER SIM – HIDEOUS BASTARD
(art-pop)
Il debutto da solista di Oliver Sim, si apre con la rivelazione della sieropositività dell’artista, già membro degli XX. I punti di forza di Sim come cantante sono evidenti in tutto questo lavoro. La sua voce ricca ed emotiva e la sua vulnerabilità sono sostenute da arrangiamenti crudi come i toni del sintetizzatore.
Hideous Bastard è chiaramente in debito con il synth-pop degli anni ’80 (vedi l’ospitata di Jimmy Somerville di Bronski Beat nella bellissima Hideous) ma ha anche una sua precisa identità temporale. Musicalmente, si impegna in un dialogo con il passato, tratteggiando anni di musiche synth e cinema noir. Bravissimo Oliver.
(G.A)
BUILT TO SPILL – WHEN THE WIND FORGETS YOUR NAME
(indie-rock)
Il vento dei Built To Spill non avrà buona memoria con i nomi ma torna a soffiare vigorosamente dopo circa sette anni di calma. When The Wind Forgets Your Name è il primo lavoro con la nuova etichetta, Sub Pop, e con una nuova formazione. Doug Martsch questa volta si avvale della collaborazione di Le Almedia e João Casaes, entrambi membri della band brasiliana di psychedelic jazz-rock Oruã. Il risultato di questo rimescolamento è un lavoro vitale cucito addosso alla pelle di Martsch, che non offre grossissime novità sonore ma è assolutamente di altissima qualità.
Le chitarre sovrapposte su più livelli sono, assieme alla voce di Martsch, il centro vitale del disco; sono sporche nella potente opener, Gonna Lose, per poi avvicinarsi a sonorità più dreamy di Alright. Le influenze psychedeliche punteggiano tutto l’album ma è in brani come Never Alright che raggiungono livelli altissimi. A questo punto della sua carriera Martsch non deve dimostrare nulla, la musica che crea è un atto d’amore e When The Wind Forgets Your Name è la sua dichiarazione d’amore a tutti noi.
(C.L)
JOCKSTRAP – I LOVE YOU JENNIFER B
(art pop)
Probabilmente I Love You Jennifer B, disco d’esordio dei brillanti Jockstrap, sarà una delle cose più interessanti che vi capiterà di ascoltare questo fine settimana. Il duo inglese si era già fatto conoscere per l’eclettismo nell’unire l’arpa e la voce di Georgia Ellery alle sonorità elettroniche di Taylor Skye. Nel loro disco d’esordio i giovani inglesi fanno un ulteriore grande passo avanti riuscendo nella non semplice missione di scomporre e ricomporre più generi insieme.
L’alchimia che il duo riesce a creare dà vita a brani complessi, Debra, ma con cui è semplice entrare in sintonia. Sonorità e beat che arrivano dal pop e dall’ hip hop anni ’80 si fondono all’elettronica più contemporanea dando vita a nuovi paesaggi sonori e audaci, 50/50 Extended Mix. Anche quando fanno incursione chitarre melodiche, What’s It All About?, i brani non perdono mai complessità, non c’è mai un calo di tensione, questo perché Ellery e Skye hanno la capacità di far convivere mondi che sembrano all’apparenza essere incompatibili.
(C.L)
PREOCCUPATIONS – ARRANGEMENTS
(alternative, post punk)
Ascoltando Fix Bayonets!, la furiosa opener di Arrangements, sembra che i Preoccupations stiano orbitando nella stessa galassia sonora di band come gli Interpol. In realtà già al secondo brano, Ricochet, si fanno più forti le radici post punk che abbracciano un’oscurità carica di ritmo. Tutto il disco è pervaso da malinconica oppressione da cui si viene catturati, Recalibrate, i brani infatti hanno un potere ammaliante.
La voce di Flegel ci accompagna in questo percorso attraverso il buio, non c’è una luce a cui arrivare ma solo oscurità a cui abbandonarsi. Arrangements è un lavoro affascinante, a volte criptico, che sembra calcare perfettamente il lato più angosciante del nostro tempo. A livello tecnico è probabilmente il lavoro più onesto della band che forse sembra aver trovato la propria strada. Staremo a vedere.
(C.L)