26/04/2024
Il 2021 in corso verrà ricordato come l’anno della rinascita. Il Codiv-19 ha arrestato la sua ferocia e pian piano stiamo tutti ritornando alla nostra normalità. Passiamo alla musica: sei mesi ricchi di interessanti proposte e grandi conferme. In redazione abbiamo consumato moltissimi dischi, e fare una selezione è stato difficile. Abbiamo votato democraticamente, e questi album si andranno a sommare ai 10 dischi della seconda metà del 2021. 

Il 2021 in corso verrà ricordato come l’anno della rinascita. Il Covid-19 ha arrestato la sua ferocia e pian piano stiamo tutti ritornando alla nostra normalità. Passiamo alla musica: sei mesi ricchi di interessanti proposte e grandi conferme. In redazione abbiamo consumato moltissimi dischi, e fare una selezione è stato difficile. Abbiamo votato democraticamente, e questi album si andranno a sommare ai 10 dischi della seconda metà del 2021. 

la redazione

12:44:45  – 11/07/2021



1– ARAB STRAP – AS DAYS GET DARK 
(slowcore, art-rock)

Il gruppo composto da Aidan Moffat e Malcolm Middleton, è tornato insieme dopo una rottura amichevole avvenuta nel 2016 per suonare una serie di spettacoli di reunion. Lo scorso 1 settembre la band è tornata in pista presentando un nuovo brano a distanza di ben 15 anni dall’uscita del loro album del 2005 The Last Romance. Periodo d’oro per la Scozia musicale a margine del clamoroso successo dell’ultimo lavoro dei Mogwai, riecco una band seminale proveniente dall’affascinante stato del Regno Unito.

Gli Arab Strap sono tornati dopo tanto tempo e, ogni pesante senso di aspettativa attorno a questo disco, viene scrollato di dosso sin dal primo accordo. La melodia minacciosa di Malcolm Middleton si snoda intorno al familiare cantato e sussurrato di Aidan, trascinandoci delicatamente ma intenzionalmente di nuovo nell’ovile originario. Questo non è il suono di una band che sta riemergendo nel nostro mondo, ma un invito a fare un passo indietro nel loro universo. 

As Days Get Dark è il meglio che potesse giungere da una band rimasta silenziosa (escluse le scorribande solitarie dei singoli musicisti) per così tanto tempo: arrangiamenti perfetti in trame sonore tra archi, post-rock, slowcore e groove martellanti. A sorprendere, in positivo, è la precisa “messa a fuoco” di questo lavoro: dall’elettronica oscura  di Here Comes Comus! alle trame inquietanti di Sleeper e alla spirituale Another Clockwork Day, tutto è intelligentemente incastrato per far ben “atterrare” l’ascoltatore in 47 minuti destinati alle anime perdute e solitarie. Il ritorno degli Arab Strap è sbalorditivo, e il fatto che siano tornati in pista così rinnovati e creativi, e più che mai una meraviglia per le nostre orecchie. Tra oscuro, malinconico e onesto, questo As Days Get Dark si candida, di diritto, a disco del mese (e non solo).

 


2– FLOATING POINTS, PHAROAH SANDERS- PROMISES
(progressive electronic, post-minimalism)

Non rigorosamente classica, jazz o ambient electronica, questo album composto da una sola traccia, incarna gli aspetti più alti della sperimentazione. L’artista britannico Sam “Floating Points” Shepherd, libero pensatore elettronico con un dottorato in neuroscienze, dispensa leitmotiv ricorrenti costruiti per fornire all’ascoltatore pillole terapeutiche. Il lavoro è supportato da una leggenda del jazz come Pharoah Sanders capace di dosare soffici flussi di spirituale jazz. A completare il tutto la London Symphony Orchestra disegna traiettorie sofisticate tendenti alla psichedelia cosmica, tra droni e piccoli fruscii.Registrato nel corso di cinque anni, questa straordinaria collaborazione merita la cima delle classifiche e un morbido divano all’interno del quale sprofondare in altre dimensioni.

 


3– BLACK COUNTRY, NEW ROAD –  FOR THE FIRST TIME
(post-rock, post-hardcore)

Il miracolo si è compiuto! Nati dalle ceneri dei Nervous Conditions (di cui tra le pieghe nascoste del web si può trovare la demo di quello che avrebbe dovuto essere il loro disco), sciolti dopo accuse di abusi sessuali rivolte al frontman Connor Browne. Peccato perché i Nervous Conditon stavano lavorando con Sua Maestà Brian Eno (che pare si sia detto lusingato che qualcuno suonasse un genere che lui aveva inventato 40 anni dopo). Fortunatamente la bassista del gruppo e bassista anche nei Black Country, New Road, Tyler Hyde, è la figlia di Karl Hyde degli Underworld, e proprio Karl Hyde ha insistito perché il gruppo non si perdesse nel vuoto. Così al nucleo iniziale si aggiungono la pianista May Kershaw e un secondo chitarrista—Luke Mark—e Isaac. Oziando sul generatore casuale di pagine Wikipedia trova per caso il nome Black Country, New Road,  curiosamente adatto per indicare un nuovo cupo inizio.

Entrano nel circuito Speedy Underground insieme a altre band via via etichettate come New Weird Britain (Squid, scotti brains, black midi). Da lì ci è voluto veramente poco perché i BCNR diventassero un vero e proprio oggetto di culto. Specie tra gli amanti del post-rock nato con quel miracolo noto col nome di Spiderland degli Slint—qui citati, nel testo di “Science Fair” (‘and fled the stage with the world’s second best Slint tribute act,’ e musicalmente su “Athen’s, France,” che al minuto 1:30 cita verbatim il famoso stacco di “Breadcrumb Trail”). Ma i BLCN non citano solo gli Slint. Nei testi di Isaac, acuti come pochi altri testi sanno essere, si vola sul filo tra ironia e sincerità. Seguendo l’esempio di scrittori come Wallace, e sul confine tra alto e basso, seguendo l’esempio di Vonnegut, e troviamo riferimenti a Charlie XCX, Kanye West, gli amici Jerskin Fendrix e black midi. Altri riferimenti riconducibili anche alle serie tv danesi in sei puntate, la sertralina, Fonzie, Scott Walker e Richard Hell.

Riferimenti e omaggi

I BCNR riconoscono e omaggiano il mondo che li ha partoriti (Slint, June of ‘44 e Jesus Lizard su tutti), e contribuiscono non poco a espandere quel mondo. Il violino di Georgia Ellery (già nei Jockstrap), le tastiere di May Kershaw e il sax di Lewis Evans danno un tocco classico, jazz e klemzer. Forse è anche per questo che nei concerti live al centro del palco ci sono proprio loro tre.

Sei tracce, che eccetto “Track X” superano abbondantemente i cinque minuti. In controtendenza delle imposizioni occulte di Spotify che spinge a fare pezzi corti e commerciali per favorire il sistema pro-rata. Soprattutto sei tracce che mostrano sette talenti fuori dalla norma. Un impasto di post-rock, pop e free-jazz che non sbanda mai e basta sentire i quasi dieci minuti della bellissima e multiforme “Sunglasses.” Mojo li ha già definiti “la miglior band inglese,” e The Quietus “la miglior band del mondo intero.” È divertente, perché è vero.


4– DRY CLEANING – NEW LONG LEG
(alt-rock, post-punk)

Una personale scommessa vinta dalla redazione di Infinite-Jest. Abbiamo puntato fortissimo su questa band nei mesi scorsi e, dopo aver consumato questo album d’esordio, possiamo tranquillamente ritenere vinta la nostra scommessa. Il quartetto britannico dei Dry Cleaning ha estratto dal cilindro il disco perfetto. La band ha esordito nel 2019 pubblicando un doppio EP ed oggi è (con il supporto di 4AD) arrivata la definitiva prova di maturità supportata da John Parish. 

Dieci brani simili a dieci cantici recitati alla perfezione dalla sensualissima voce di Florence Shaw costruiti da conversazioni criptate e accennate capaci di creare trame sonore squisite (Her Hippo, la nostra traccia perfetta). Signori, questa ragazza è probabilmente la miglior sorpresa del 2021: c’è sottigliezza e calore nella sua voce, c’è intenzionalità, forza, delicatezza e ritmo. La simmetria dei brani è perfettamente calcolata da respiri e sorprendenti cambiamenti vocali immersi tra linee di chitarra “vecchia scuola post-punk” e percussioni di batteria simili a meravigliose pennellate metafisiche come in un quadro di De Chirico. Per i più “stagionati” questo disco ricorderà tantissimo le produzioni firmate LTM Records, la storica etichetta post-punk (Tuxedomoon e Ludus) fondata da James Nice. Esordio da applausi.


5– BLACK MIDI – CAVALCADE 
(math rock, art rock, experimental rock)

Cavalcade‘ segue di due anni il debutto discografico dei Black Midi e questo nuovo disco si candida, prepotentemente, a diventare uno dei migliori lavori del 2021. Un lavoro plasmato e forgiato da influenze fresche che non sacrifica ciò che ha reso questa band così accattivante sin dagli esordi. L’esplorazione delle armoniche, e l’aggiunta di sassofono e tastiere, mostra la totale abilità di virtuosi musicisti capaci di spaziare in differenti generi in uno spazio sonoro brevissimo.

Ascritti – frettolosamente – al nuovo filone inglese post-punk, il confronto con i colleghi è impari. I Black Midi fanno il possibile per sfidare il formato rock standard e si propongono come vera rivoluzione musicale dell’ultimo decennio musicale. “Post Punk” per tanti, “avant punk sperimentale” per chi scrive. I Black Midi forgiano i loro suoni complessi e intricati in un turbinio di virtuosismi e bravura. Cavalcade è un disco di estremi, che oscilla tra la magia del relax e un incubo prog-rock spigoloso. Un lavoro ragionato e metodico come pochi ascoltati in quest’ultimo periodo fatto di musica preconfezionata e modaiola. Disco da consumare.


6– SAULT – NINE 
(black music, R&B, soul)

A sorpresa i Sault hanno estratto dal cilindro un nuovo, accattivante, albumVi avevamo ben dettagliato nei giorni scorsi di ciò che si stava muovendo in casa Sault. Il collettivo, lo scorso 14 giugno, ha pubblicato una misteriosa foto sui profili ufficiali social. Sfondo nero e un numero 9 a lettere, che annunciava il nuovo album. A distanza di un solo anno dagli ottimi, UNTITLED (Black Is) e UNTITLED (Rise), dai noi nominati tra i migliori album dell’anno, i Sault annunciano un nuovo lavoro. Nine esisterà solo per 99 giorni e quindi non vi resta che divorare questo ennesimo gioiello.

Le trame sonore non si discostano poi di tanto (anzi) rispetto ai lavori precedenti e il suono è sempre corposo e ben compatto. Un viaggio introspettivo all’interno della black music ’70 tra l’hip-hop, l’ R&B old school e il  soul di Philadelphia degno della regina indiscussa Linda Creed. Nine fonde tutti questi genere in un territorio Lounge di meravigliosa brillantezza. London Gangs e 9, le tue pietre preziose di un (ennesimo) ottimo lavoro. Lunga vita al collettivo SAULT.


7 – TYLER, THE CREATOR – CALL ME IF YOU GET LOST
(hip hop)

Da tempo immemore ormai, la critica musicale, cerca di ottenere risposte circa la qualità dello stato attuale dell’hip-hop. La vecchia generazione obietta (e anche tanto) su di un genere dal potenziale espressivo e competitivo ridotto ai minimi storici ma la verità è che l’hip-hop non solo è vivo e vegeto, ma, nell’era di Internet, ha rinvigorito e di tanto il suo potenziale. Esistono artisti come Tyler, the Creator, ad esempio, capace – come pochi – di elevare la qualità sonora di un genere.

Il percorso di Tyler per diventare una leggenda non è sempre stato così facile, anzi. CALL ME IF YOU GET LOST è l’apologia del talento di un compositore capace di celebrare, in 50 minuti,  tutti gli stili musicali che ha abbracciato durante una carriera intera. In questo lavoro l’artista incarna i personaggi di un uomo ricco (Tyler Baudelaire) capace di ostentare costantemente la sua fortuna e i suoi soldi per tutto l’album, di cui si assicura di farci sapere che ne ha molti, ma sembra anche avere difficoltà a trovare un partner con cui convivere le sue fortune. Un lungo wormhole temporale in cui Tyler narra la fortuna, il successo ma anche le difficoltà sentimentali. Superlativo.


8 – LEON VYNEHALL – RARE,FOREVER 
(elettronica, IDM, techno)

Bravi quelli di Ninja Tune a non lasciarsi scappare un talento come Leon Vynehall,al contempo bravo l’artista inglese a confezionare un nuovo album pieno di spunti e pienamente gustoso. Rare, Forever ingloba alcune delle ballate dance più astratte che siano mai state prodotte in questi ultimi anni realizzate con cura e maniacale precisione. L’artista si discosta (e di tanto) dalla nostalgica deep house di precedenti lavori e sposa tracce spigolose e percussive alla Joy Orbison “bagnato” di Floating Points. 

Bassi muscolosi, sintetizzatori sospesi nel vuoto, glitch mai banali, questo secondo album dell’artista originario del Kent è un vero gioiello. Spinge tantissimo nella seconda metà del disco sposando un taglio funky IDM, manipolato e ben architettato. Un lavoro coraggioso capace di catapultare l’artista in uno spazio esplorativo variegato. Rare, Forever è un meraviglioso tuffo nell’astratto che durerà nel tempo.


9 -THE ANTLERS – GREEN TO GOLD
(songwriting)

“Ho volute fare musica per la Domenica mattina” dice Peter Silberman, il leader degli Antlers che tornano dopo sette anni di assenza, e la missione è perfettamente compiuta. Il disco è rilassato, morbido ed emana il calore di un abbraccio; vuole dirci che “andrà tutto bene”, ma senza retorica, né frasi fatte. Silberman ci dice che queste canzoni sono semplicemente il documento di due anni della propria vita, e la trasposizione in musica di questo concetto è la perfetta rappresentazione di come anche la quotidianità può darci tanto benessere, ovviamente se viene vissuta apprezzandone gli aspetti positivi, e non come una costrizione, come probabilmente a molti di noi sta accadendo.

Un disco così, con questa delicatezza che discende in modo così diretto da una rilassatezza emotiva che fino a un anno fa era normale, ma ora non lo è più, può non solo e non tanto ricordarci cosa stiamo perdendo, ma anche e soprattutto aiutarci a riconnetterci con quella sfera così basilare per ogni essere umano.


10 – SMALL BLACK – CHEAP DREAMS
(dream-pop, chillwave)

Un disco che abbiamo letteralmente consumato di questa band tornata in vita a distanza di sei anni. La band si è formata nel 2009 e ha sempre preferito il silenzio ai tanti clamori. Cheap Dreams può già tranquillamente occupare la personale top 10 dei migliori dischi del 2021, occorre consumare bene questi 43 minuti per rendersi conto del potenziale di questo lavoro.

Sensuale, leggero e dolcemente sincopato, questo album ha l’architrave dream pop e il sapore dolce di un pop mai banale. Undici canzoni capaci di contenere almeno quattro perle (Tampa e Duplex su tutte) vale l’intero costo dell’album. Il suggerimento migliore che possiamo offrire è quello di godersi questo disco chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dal flusso di ricordi remoti tra corde vellutate e timbri vocali radiosi. Scoprirete un muro sonoro splendente e sereno.


Ecco infine altri 15 dischi – pubblicati da Gennaio a Giugno – che dovreste ascoltare:

11- SQUID- BRIGHT GREEN FILD – art-punk

12- SONS OF KEMET – BLACK TO THE FUTURE – jazz, afrobeat

13- LUCY DACUS – HOME VIDEO – indie-rock

14- SHAME – DRUNK TANK PINK – post – punk

15- AROOJ AFTAB – VULTURE PRINCE – indie-pop

16- RON GALLO – PEACEMEAL – lo-fi

17- ARLO PARKS – COLLAPSED IN SUNBEAMS – bedroom pop

18- MOGWAI – AS THE LOVE CONTINUES – post rock

19- ELORI SAXL – THE BLUE OF DISTANCE – ambient

20- BEAUTIFY JUNKYARDS – COSMORAMA – psych folk

21- SLEAFORD MODS – SPARE RIBS – post-punk

22- DEAD BANDIT – FROM THE BASEMENT – elettronica – post-rock

23- DINOSAUR JR – SWEEP IT INTO SPACE – alternative rock

24- ANDY STOTT – NEVER THE RIGHT TIME – experimental, elettronica

25- PAUL MCCARTNEY-  III IMAGINED – classic rock


I MIGLIORI ALBUM ITALIANI GENNAIO – GIUGNO 2021

1– IOSONOUNCANE – IRA
(avantgarde – experimental)

17 canzoni per 109 minuti di durata e un numero pressoché infinito di soluzioni sotto ogni punto di vista: vocale, ritmico, di intensità sonora, di saturazione, di struttura degli arrangiamenti, e così via. Non si vedeva una cosa del genere in Italia dai tempi di wow, e In realtà Iosonouncane si spinge anche al di là dei Verdena in termini di varietà e audacia, dato che non si lega ad alcuna formula tipica di alcun genere musicale, mentre il trio bergamasco è comunque un gruppo rock. La cosa bella di questo lavoro, però, è che non suona per nulla pretenzioso e non pretende di essere ascoltato col massimo dell’attenzione: certamente, se lo si fa, si possono cogliere più sfumature, ma se lo si mette su facendo altro, è in grado di colpire e coinvolgere comunque.

A suo modo, è un disco leggero e conciso, nel senso che ogni singolo momento è in grado di star su da solo, e non va necessariamente legato all’ampio contesto di cui fa parte, anche se, appunto, se lo si fa si ha una visione più compiuta. Un lavoro più che mai per il tempo che stiamo vivendo, nel quale in molti cercano stimoli nuovi dal punto di vista dell’ascolto, ma non vogliono, o non hanno modo e tempo di, concentrarsi al massimo su di esso: questo disco è per loro, e, diciamolo, rende contenti anche noi che spesso riusciamo a immergerci nella musica che ascoltiamo. È un disco che non lascia indifferenti, ma soprattutto, che unisce i vari tipi di ascoltatori, e magari non è una cosa a cui si pensa normalmente, ma è importante.


2– STUDIO MURENA – STUDIO MURENA
(hip-hop, fusion)

Dopo aver pubblicato un disco strumentale nel 2018, lo Studio Murena ha accolto tra le proprie fila l’MC Carma e ha impostato un ampio percorso volto a incorporare l’elemento hip hop nella fusion a cui erano dediti fino a quel momento. Una serie di live a Milano e (soprattutto) dintorni, la pubblicazione di diversi singoli nel 2020, che hanno attirato l’attenzione, tra gli altri, di Alessio Bertallot, e ora ecco il disco, nel quale tutte le promesse vengono mantenute e che propone qualcosa di davvero originale, interessante e coinvolgente.

È letteralmente impossibile non farsi trasportare da queste canzoni, grazie al perfetto connubio tra musica, vocalità e testi, che fa battere il cuore all’impazzata negli episodi più grintosi e lo fa quasi fermare in quelli più introspettivi. Anche se non siete amanti di uno dei due generi di riferimento, o anche di nessuno dei due, il consiglio è di ascoltare un lavoro che non può lasciare indifferenti.


3-A MINOR PLACE – IT’LL END IN SMILE 
(shoegaze, indie pop)

Un ritorno importante quello dei teramani A Minor Place, progetto di Andrea Marramà, musicista attivo nella scena locale abruzzese fin da metà degli anni ’80, come bassista in diverse band con cui ha inciso alcuni dischi (Le Bateau Ivre, Swollencheek, Delawater). Una decina di anni fa si mette in proprio cantando e suonando la chitarra, coinvolgendo la moglie Roberta al basso. Allo zoccolo duro formato dai due poi si aggiungono volta per volta amici musicisti della scena teramana. Ha inciso dischi in diversi formati, dalle cassette al cofanetto di 45 giri, tutto all’insegna del Do It Yourself, curando ogni fase, dalla registrazione alla spedizione.

In questo interessante nuovo lavoro il duo prende in prestito – con garbo – un sound electrogaze, condensato da un raffinatissimo e cristallino synth-pop di pregevole fattura. Tra sussurri e tessiture analogiche gorgheggiate, tra bassi fibrosi e chitarre delicate, la “tela sonora” si fonda su di un climax fatto di mondi sognanti e affascinanti, che hanno tanto il sapore sbiadito di una pellicola di Wes Anderson. Spicca “Sunglasses” – epocale ma statica, e al contempo moderna perché tratteggiata da svariati colori –  perfetto equilibrio di tutti gli elementi in gioco. La soluzione migliore per trascorrere una piacevole ora in periodi distopici come questi.


4 -CABARET DU CIEL –  BREATH OF INFINITY
(elettronica)

I Cabaret Du Ciel, ossia i trevigiani Gian Luigi Morosin e Andrea Desiderà, sono per la scena elettronica nostrana tanto seminali e importanti  quanto sconosciuti al grande pubblico, anche dopo la ristampa su vinile di Skies in the Mirror di un paio di anni fa. Breath of Infinity, pubblicato dalla nuova e già convincente etichetta fiorentina Quindi Records in collaborazione con l’associazione bolognese LEDX, contiene nuove composizioni e qualche vecchia idea inedita e rispolverata per l’occasione.

I linguaggi dell’elettronica ci sono tutti: dall’ambiente alla new age alle derive IDM, “Theatre Azure” ti porta laddove la new age di Kaitlyn Aurelia Smith incontra l’ambient intimista di nuovi alfieri del genere come Polypores o Field Lines Cartographer, mentre il basso fretless di Giampaolo Diacci su “Climatic Variations” sembra voler ammiccare al Peter Gabriel del suo capolavoro Passion ma con poliritmi e loop possibili solo se si è passati sotto le forche caudine del post-rock di matrice Tortoise, altrove è il synth a fare da guida, come nella breve “Meredith,” divertissement melodico e raffinato che è un antipasto per il techno-kraut di “Sunset Parade March” e il synth-pop vagamente anniottantesco di “Highlands.” I Cabaret Du Ciel sono esattamente ciò che era necessario perché l’elettronica più attuale potesse dire qualcosa anche in italiano.


5 – POPULOUS – STASI
(ambient)

Populous ha dimostrato di essere sin dagli esordi un artista eclettico e raffinato. Nel corso della sua carriera ha esplorato i diversi anfratti della musica elettronica, abbracciando, senza timore, l’influenza di diversi generi musicali – pop, cumbia, dance, -. Con il suo ultimo lavoro, Stasi, Andrea Mangia inverte totalmente la rotta intrapresa con il suo penultimo disco, W, e torna a quella lentezza magica che permeava le sue prime produzioni (Queue for Love). Stasi è a tutti gli effetti un disco meditativo che fa della calma la sua chiave di volta. Gli otto brani sono un vero e proprio percorso introspettivo in cui Populous ha convogliato la bellezza del suo mare, lo Ionio, e della sua terra salentina. Con maestria ha costruito architetture sonore leggere e ben salde, caratterizzate da una piacevole malinconia di fondo. L’ascoltatore ha realmente la possibilità di sincronizzare il respiro al ritmo ben cadenzato dell’opera, quasi una sorta di respirazione pranayama. Non a caso a corollario del disco è stato realizzato un video di meditazione Qi Gong che si sviluppa sugli otto brani di Stasi. Ode alla lentezza.

 


6- QLOWSKI – QUALE FUTURO?
(new wave)

Siamo nell’epoca del recupero, e se i mercati sono invasi da post-punk che non è né post-  né punk, è bello sentire un disco che non si vergogna di essere new wave nel migliore dei modi. Gli italiani (almeno in parte) Qlowski riprendono la formula della new wave dei Simple Minds di Real to Real Cacophony e Empires and Dance, con gli intarsi di tastiere e basso che si sposano con elementi kiwi-pop.
L’estetica di fine anni ’70, degli anni di piombo, della grafica stencil  viene fatta sposare con i sapori romantici della new wave imbevuta di tastiere dei primi anni ottanta, la voce metallica e distaccata di Michele Tellarini, a metà tra un giovane Jim Kerr e un Robert Smith più controllato, trova un delizioso contrasto con le note dreamy della voce di Cecilia Corapi, in alcune tracce i suoni si fanno più ossuti e angolari, fin quasi a entrare in territori glam e punk (“All Good”) e addirittura Yé-yé (“Larry’s Hair Everywhere”). Quale futuro?  è un disco che nasce nel passato e che usa il passato per parlare del presente che viviamo.

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