27/04/2024
bob dylan blonde on blonde
Il 20 giugno 1966 usciva Blonde on Blonde, il settimo album in studio di Bob Dylan pubblicato dalla Columbia. È considerato l’ultimo della trilogia elettrica dopo Bringing it All Back Home e Highway 61 Revisited

Il 20 giugno 1966 usciva Blonde on Blonde, il settimo album in studio di Bob Dylan pubblicato dalla Columbia. È considerato l’ultimo della trilogia elettrica dopo Bringing it All Back Home e Highway 61 Revisited, con cui l’autore di Duluth compì una sua personale rivoluzione musicale che finì per avere un impatto sull’intera storia della popular music.

10:27:57  – 20/06/2020


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Blonde on Blonde, il primo doppio di Bob Dylan

Fra le varie caratteristiche che lo rendono epocale c’è sicuramente il fatto che si tratta del primo disco doppio della storia del rock, precedendo di pochi giorni la pubblicazione di “Freak Out” di Zappa. Circostanza, questa, che denota un’importante tendenza già in atto ma della quale Dylan era uno dei grandi protagonisti: lo spostamento dell’attenzione dal singolo al long playing, che elevava così il rock a vera e propria forma d’arte.

Testi visionari

A questa caratteristica formale ne corrispondeva una sostanziale: un lavoro sui testi sempre più “poetico” e visionario. Bob Dylan aveva ormai smesso i panni del “menestrello folk” abbandonando le tematiche di protesta, per tuffarsi in un universo completamente nuovo. In un’intervista del periodo, dichiarò di voler far sua l’idea di “caos” auspicando che anche il caos diventasse suo amico.

Iniziò a lavorare, dunque, cercando di raggiungere una forma canzone sempre più sfuggente, deragliata, incurante di regole e dettami esterni. Il disco non a caso si apre con un pezzo come Rainy Day Women , un vero e proprio delirio di strumenti, tanto da sembrare una canzone degna dell’Esercito della Salvezza.

Il sottile suono del mercurio

Quel “Everybody must gets stoned” rappresenta un degno incipit, come a voler dire che si era volutamente fuori controllo. In realtà, Dylan aveva ben in mente dove volesse andare a parare: stava inseguendo quasi ossessivamente un suono che aveva in testa e che non riusciva a perfezionare su disco, “that thin wild mercury sound”. Ciò di cui aveva bisogno erano le condizioni ideali per afferrarlo, ma soprattutto dei musicisti e di un produttore che lo aiutassero a incanalare quel caos.

La strada verso Nashville

La Highway 61 è una strada che porta dal Minnesota al Sud degli States. Il destino ha voluto che proprio sul finire delle session di Highway 61 Revisited iniziò la strada che portò Dylan fino agli studi di Nashville. Ci volle un nuovo produttore, Bob Johnston, comparso proprio durante le registrazioni di Like a Rolling Stone, il quale fin da subito aveva in mente quella strada, inizialmente scartata, che fu poi decisiva.

Ma ci vollero anche i fischi che Dylan prendeva quasi sistematicamente ad ogni esibizione di quel tour, quando passava dal set acustico a quello elettrico. A dividersi quelle bordate c’erano per la prima volta con lui sul palco gli Hawks di Robbie Robertson (ovvero la futura Band), fondamentali per la realizzazione di Blonde On Blonde. A questo contribuirono in maniera sostanziosa anche il fido Al Kooper all’organo e i Nashville Cats, musicisti di sessione della città del country, reclutati proprio grazie a Bob Johnston.

Blonde on Blonde di Bob Dylan prende forma

Dopo le infruttuose session di New York, nello studio A di Nashville Dylan riuscì in pochi giorni a dare forma a Blonde On Blonde, scrivendo spesso i pezzi poco prima di registrarli, anche fino a tarda notte, con i musicisti che rimanevano in attesa per la prima volta nella loro carriera. Con una cura maniacale, cambi continui nei testi, nei ritmi, negli arrangiamenti, mise insieme una delle più belle collezioni di canzoni mai accorpate in un unico album.

Senza soffermarci su tutti i pezzi, per i quali servirebbe un saggio a parte, sostanzialmente Blonde On Blonde è un disco che parla di donne, di amori obliqui e di desideri salvifici, di triangoli amorosi ai quali Dylan non riusciva a sottrarsi. Con riferimenti a volte espliciti, ma per lo più trasfigurati, a quelle donne che lo avevano incrociato (Edie Sedgwick, Joan Baez e la moglie Sara).

Conclusioni

Un autentico capolavoro destinato a rivoluzionare il modo in cui gli artisti affrontavano il rock e in cui il pubblico lo ascoltava, mettendo insieme la musica più rivoluzionaria del tempo con dei testi finalmente degni di essere indagati. Perché Dylan, come sempre, non ci dice niente di netto: ci porta su un sentiero in cui porci delle domande.

La foto in copertina, d’altronde, è sfocata: rimarremo sempre con quel dubbio che Daryl Sanders (nel suo saggio dedicato proprio a Blonde On Blonde) solleva, usando le parole di Robyn Hitchcock: “Che cosa volevi dire? Vogliamo ancora saperlo, cinquant’anni dopo: che cosa volevi dire veramente?”

Patrizia Cantelmo 

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