29/04/2024
A tredici anni di distanza dall'ultimo album, 'Fear Inoculum' è il quinto disco della band

 

 

Genere: alternative metal/ progressive metal 
Etichetta: RCA 
Release: 30 agosto 

Tutte le stagioni infinite che hanno anticipato l’arrivo di Fear Inoculum, nel corso di tredici lunghi anni, improvvisamente sono sembrate un fugace soffio (un respiro, se volessimo parafrasare la terza traccia del disco, Pneuma), quando i californiani hanno scelto di spezzare gli indugi e rivelare la data di uscita ufficiale. Da lì in poi l’hype generato ha avuto la stessa rilevanza di una supernova, che è la fase ultima e più affascinante di una stella, destinata a sprigionare un’energia incontrollata e incontrollabile, spesso anticamera della materia oscura. Ed è proprio in un desolante buco nero che ci troviamo durante il processo di smaltimento di Fear Inoculum. L’ultima fatica dei Tool rasenta la maniacalità per i dettagli, non ha minimante l’urgenza espressiva di lavori osannati, come Lateralus e Ænima, ma, d’altronde, come avrebbe potuto essere diversamente? La scaletta dell’album è retta da sei tracce progressive-metal che, ad eccezione del divertissement futuristico congenito nella strumentale Chocolate Chip Trip e dei brani dai contorni ambient contenuti unicamente nella versione digitale (Litanie contre la peur, Legion Inoculant, Mockingbeat), fanno una poltiglia della sperimentazione stilistica ricercata nei lavori precedenti, mettendo l’accento sull’ossatura progressiva propria della band. 

Esse sono stratificate scientificamente per fiondare l’ascoltatore in un climax dai toni epici, come uno Sputnik disfunzionale consapevole di poter solo salire a velocità sempre maggiore. Dal punto di vista sonoro, infatti, ritroviamo pesantemente l’impronta e il modus operandi tipico della band, con i riff di Adam Jones che si specchiano in se stessi, dando l’impressione di avere vita propria fino alla fine dei brani, e l’inesauribile lavoro ritmico di Danny Carey, incredibile cavalcatore di groove fulminanti. Per questo, non c’è da scherzare quando si ascoltano in fila due tracce dal mordente sempre vivo come Invincible (vero manifesto di questi Tool 2.0) e la tiratissima Descending. Il lavoro dietro le quinte di Barresi è volto a evidenziare soprattutto il lavoro compositivo dei due musicisti, mantenendo teso una sorta di filo sonoro invisibile che collega la produzione di Fear Inoculum a 10.000 Days; d’altra parte, il lamento (che fu) spietato di Keenan risulta ora uno strumento meno corposo, sicuramente solo parte di un sistema che non è più maynardcentrico. La volontà del cantante di restare in una penombra sicura, se si esclude l’exploit di 7empest o il breve e concitato volo, degno di un Icaro ribelle, nella seconda parte di Descending, è la vera novità di questa band; al di là di questo aspetto, la recente produzione non rivela una svolta artistica che possa aprire ad una nuova fase.

Sono brani, quelli di Fear Inoculum, che resteranno nel nostro archivio mnestico come un guerriero che è tornato dal passato e che intende combattere, perché sa bene che è solo così che si potranno narrare nuove gesta. Questi pezzi ci lasciano interdetti e tristi: vanno senza ombra di dubbio a riproporre gli elementi del repertorio migliore della band, come testimoniano gli echi tribali della title track (estorti da Lateralus), la sfuriata insana di 7empest, che ricorda nell’attitudine i brillanti primi lavori anti-grunge, o Pneuma, che proprio non si può evitare di associare all’ottimo 10.000 Days; tuttavia, la verità è che Fear Inoculum si pone sullo stesso piano ideale di un “Best of” apocrifo: troppo pregevole per essere definito “trascurabile”, ma calcolato così finemente nella sua struttura da sembrare niente di più che un diamante anonimo sulla superficie di Urano. È questa la ragione per cui, da fruitori interessati alle imprese dei quattro, ci troviamo in un buco nero. Gravitiamo piacevolmente nella cripticità dei testi di Keenan, che cita senza remore la filosofia stoica per andare in fondo all’essenza dell’umanità (Pneuma), e scomoda coraggiosamente figure storiche dallo spessore quasi mitologico, come Caligola o Ponce de Leon (Invincible), senza contestualizzare apertamente e restando nell’indefinito. 

Tredici anni di letargo sono un caso unico per una band che non si è mai sciolta (è bene evidenziare questo passaggio): per questa ragione le componenti che definiremmo “paratestuali” rischiavano seriamente di prendere il sopravvento su questa nuova opera. Fortunatamente è andata in un altro modo: Fear Inoculum è un album dalle sfumature crepuscolari che merita, proprio per questa peculiarità, di entrare nel Panteon degli album dei Tool. Quanto a tutti noi, o perlomeno per chi c’è ancora e ha potuto goderne: il tempo è rimasto cristallizzato troppo a lungo dal 2006, ora sentiamoci liberi di invecchiare.

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