26/04/2024
'The Ideal Crash' dei dEUS fu lo schianto ideale di un Icaro davvero conscio del proprio infinito potenziale

14:48:25  – 16/03/2020

Il 16 marzo del 1999 uscì l’album più controverso, spiazzante e a tratti narcisistico dei dEUS. Oggi, parlare di The Ideal Crash come un lavoro fondamentale dell’alt-rock di quel decennio risulta cosa quanto più diffusa, ma le diverse angolature dalle quali è possibile osservarlo, a distanza di ventun’anni, suggeriscono di utilizzare maggior cautela dal definirlo banalmente col termine “capolavoro” (abusato e privo, ormai, di qualsiasi rilevante grado connotativo). È importante provare a comprendere, prima di ogni analisi, come i dEUS siano arrivati a questo terzo lavoro.

I Riferimenti sonori

Due album molto importanti per una band belga che reinterpreta in modo scherzoso (in quanto sinonimo di “adulto”) sonorità inclini al repertorio di Velvet Underground, Captain Beefheart, Pixies e Sonic Youth; ma anche coevi dei Morphine e attentissimi a disegnare strutture (a)ritmiche che dal blues spaziano al jazz con molta genuinità e poco mestiere, in questo simili alla band del compianto Mark Sandman. I dEUS rappresentavano una risposta colta, europea, e tremendamente accattivante alla Seattle Generation (con la quale non erano nemmeno più di tanto incompatibili nell’attitudine).

Tutto questo, probabilmente, fino all’album più fruibile della loro golden age, proprio The Ideal Crash, che spalancò la porta alla canzone “pop”, già aperta timidamente dal precedente In a Bar Under The Sea (1996). Era un quadro eterogeneo quello composto dalle personalità dei belgi, che a tratti sembravano usciti da una sorta di factory warholiana. A dimostrazione di questo dato ricordiamo che le copertine- opere dei primi due dischi furono realizzate dall’ex chitarrista Rudy Trouvè.

‘The ‘Ideal Crash’, la filosofia del disco

Lo stesso Barmanfrontman della band, non avrà una buona definizione alternativa per definire il genere di punta dei dEUS, al di fuori dell’odiato “art rock”. L’artwork di The Ideal Crash, contrariamente, romperà con la tradizione presentando l’immagine di una donna vestita di rosso, che crolla su delle strisce pedonali: esattamente l’istante catartico che si verifica in un crollo sensuale e inevitabile.

Sarà proprio quella foto, ben poco conforme alla filosofia DIY adottata nei capitoli precedenti, l’emblema visivo della firma con una major. L’album è composto da dieci brani, che si configurano apparentemente senza grosse affinità coi primi due lavori. Dieci tasselli autoreferenziali e così dannatamente ammiccanti, da sembrare una caduta bislacca, voluta, calcolata. Delle derivazioni rumoriste dei primi due capitoli e della sperimentazione ondivaga sarebbe rimasto ben poco, al fine di favorire il gusto per la melodia e per i ritornelli ingombranti, apparentemente “telefonati”. Ma a scavare a fondo, la maturità ottenuta dai primi due bellissimi dischi portò sicuramente alcuni buoni frutti. Impossibile non considerare arty i tanti elementi che concettualmente segneranno l’autodistruzione di una band.

I Brani

La stratificazione vocale della opener Put the Freaks Up Front, la tromba divoratrice del suono complessivo e il crescendo del brano sono componenti che valgono il prezzo del disco. Così come l’esplosione finale deflagrante del pezzo più noto della band, Instant Street, sotterrata abilmente da una struttura acustica penetrante che avrebbe reso fiero Malkmus; ma anche il momento magicamente buio che si palesa in coda a The Magic Hour, che suona come il giusto tripudio di sensazioni ansiose per una fine che si sta consumando, con una pesantissima eredità da raccogliere. E pensare che due anni prima usciva l’album che avrebbe cambiato le sorti di quel decennio, OK Computer, e in molti spunti Barman e soci ne fecero tesoro.

Vediamo questo nell’uso di effetti psichedelici sintetici e dal sapore fantascientifico in brani come l’ambigua Sister Dew e One Advice, Space. Ma anche nel mostrare delle derive future che ridisegnano incontrovertibilmente il concetto di “rumore”. Lo spessore delle liriche di Barman non era mai stato così a fuoco, nel mostrare in tanti modi le contraddizioni della natura umana.

In particolare nell’evidenziare come esse si palesino puntualmente nell’impossibile convivenza pacifica tra un uomo e una donna. Tutti gli “Io” dei brani sono avatar di un Barman che crolla sentimentalmente in più spunti e in tanti modi: con Magdalena (ex del frontman nella vita reale), in incontri occasionali (Let’s See Who Goes Down First), nella furia (forse) omicida in Sister Dew. In ogni caso ci mostrano un artista fanatico di se stesso, tombeur de femmes più che freak, traditore della maggior parte dei fan e alle prese con le ultime cartucce rilevanti da sparare in questa vita artistica.

‘The Ideal Crash’, lo schianto di un Icaro consapevole del suo “potenziale”

Per chi c’era, ma anche per chi l’ha recuperato dopo un ventennio, The Ideal Crash ha il peso di una masterclass nella discografia dei dEUS, ma forse non il finale (im)perfetto che ci saremmo potuti aspettare. Considerare tutto ciò che è venuto alla luce dopo il frutto del lavoro della stessa band, ci sembra abbastanza ingeneroso: meglio proiettare nella propria mente, romanticamente, la compagine belga come una bellissima realtà destinata a nascere e ad esprimere il meglio di sé nei nineties. The Ideal Crash fu davvero lo schianto ideale di un Icaro davvero conscio del proprio infinito potenziale, una caduta sul morbido così maledettamente scenografica da non poter mai biasimare. D’altronde per parafrasare Barman: can anybody down you with a crash?

Vincenzo Papeo 

 

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