27/04/2024
Muzz, è il nuovo progetto di Paul Banks (cantante degli Interpol), del poli-strumentista Josh Kaufman e dal batterista Matt Barrick. Il disco d'esordio è stato pubblicato il 5 giugno. 

Muzz, è il nuovo progetto di Paul Banks (cantante degli Interpol), del poli-strumentista Josh Kaufman e dal batterista Matt Barrick. Il disco d’esordio è stato pubblicato il 5 giugno. 


 

 

Etichetta: Matador Records
Genere: art rock, post-punk, folk, psichedelia
Release: 5 giugno

Il percorso dei Muzz

Come in molti avranno sentito parlare, Muzz è un progetto musicale che ha sede a New York e comprende il chitarrista Paul Banks (Interpol), il polistrumentista Josh Kaufman (Bonny Light Horseman) e il batterista Matt Barrick (Walkmen).  Banks e Kaufman sono amici dai tempi del liceo, in quel periodo è facile pensare che abbiano avuto modo di conoscere anche Barrick.

Barrick ha collaborato per il progetto di Paul Banks nel 2015 (Banks & Steelz), e da quel momento è stato semplice coinvolgerlo nelle prime registrazioni. L’esordio dei tre, infatti, è stato procrastinato per almeno un lustro: le parentesi creative dal 2015 non sono mancate, tuttavia è solo in questo ultimo periodo che i tre hanno avuto modo di concentrare definitivamente le forze in sala di registrazione e ultimare il lavoro. Il nome del progetto deriva da un aggettivo che Kaufman usa spesso per connotare positivamente suoni datati, con una qualità al 100% analogica.

Un mood malinconico 

Questo lavoro omonimo è il passo di allontanamento più pronunciato, per Banks, dai capitoli scritti con gli Interpol. Muzz è un disco malinconico nel mood, con un approccio compositivo che preleva attivamente qualcosa di utile da ognuno dei componenti, caratterizzato da episodi dolcemente toccanti.

Il genio di Josh Kaufman si nota in quasi tutte le composizioni: suona diversi strumenti e costruisce trame sonore che egli stesso condiziona con un  uso ben calcolato di elementi psichedelici. Il più delle volte il suo lavoro è utile a sedare, mesmerizzare l’amico Banks. Il cantante intona senza alcuno sforzo le liriche, come in preda ad una dose elevata di morfina. Le stesse liriche sono state composte da tutti i componenti: in tre è senza dubbio molto più semplice fare quadrare le cose, specie se nella band c’è qualcuno come Josh Kaufman che si divide abitualmente almeno in quattro strumentisti.

Una stratificazione spontanea 

La scelta di registrare i brani fedelmente, senza rompere quella chimica che i tre trovavano nelle esecuzioni dal vivo, è una formula che consente all’ascoltatore di trovarsi spesso di fronte ad una sorpresa. Accade nella splendida Bad Feelings, che apre il disco, e che rivela a tratti il flow disincantato di Banks. Ma anche in Patchouli, con una tromba finale che accompagna alla fine del brano, e che ricorda nell’estetica la mondanità di Zach Condon (Beirut). La stratificazione spontanea all’interno dei brani è uno di quegli elementi che rende l’esordio dei Muzz di pregevole fattura: in Broken Tambourine ne abbiamo un esempio più che calzante.

Un altro passaggio in cui una classica canzone post-punk viene scomposta stupendamente in più livelli è Knuckleduster: brano migliore del disco, in cui Matt Berrick fa capire perché è considerato uno dei batteristi più sottovalutati di questo secolo. È un inno all’eterna giovinezza (apparente) quest’opera eponima: concepita per mostrare soprattutto le contraddizioni di chi invecchia senza darlo a vedere. Banks ha anche rivelato quanto, nelle intenzioni, questo LP rappresenti un episodio “cosmico”, capace di riunirlo idealmente a tutti i suoi amici.

Non tutto è oro colato, intendiamoci: a volte la noia prende il sopravvento nel corso della soundtrack: brani come Evergreen o How Many Days (nonostante il buon assolo) non sono di certo all’altezza delle tracce che citavamo prima; ma forse neanche di altri pezzi meno suggestivi, ma carichi di buone idee, come Red Western Sky e Chubby Checker. È l’altra faccia della medaglia: durante una jam ci saranno quasi sempre spunti meno a fuoco di altri, nonostante tutto il risultato rimane complessivamente buono.

Conclusioni

Muzz è un disco onesto, non superlativo ma senz’altro molto godibile in più segmenti. I molti stili coinvolti vedono ammiccare maggiormente l’occhio all’art rock e al folk, ma  ma chi sa bene dei tre scoverá un po’ di tutti i loro progetti, portati avanti autonomamente a New York negli anni ’00 (e sull’onda di un revival dal quale Muzz vuole emanciparsi).

Nonostante diversi rimandi, il progetto non è affatto semplice da etichettare: questa è indubbiamente una vittoria collettiva del trio, ma è anche un gran risultato per chi, come Banks, è sempre stato associato ad un solo genere musicale con molta banalità. Ascolteremo con curiosità un seguito, se i tre si ritroveranno.

Vincenzo Papeo 

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