Ricca settimana di uscite discografiche con l’atteso ritorno degli Eels, i Pinegrove, Beirut, MØ, i Modern Nature, Black Flower, Paul Draper, Mario Pigozzo Favero, lo shoegaze dei Cloakroom, la colonna sonora dei Verdena per il film America Latina e l’album di cover di Bianconi.
a cura di Giovanni Aragona, Stefano Bartolotta, Chiara Luzi e Flaminia Zacchilli
12:34:21 – 28/01/2022
EELS – EXTREME WITCHCRAFT
(indie rock/ pop)
Esce finalmente oggi l’atteso nuovo disco degli EELS, Extreme Witchcraft. Il quattordicesimo album in studio ripropone la formazione composta dal duo Evertt-Parrish, qui impegnato nella produzione. I due, che avevano già lavorato insieme nel 2001 per Souljacker, creano un impianto sonoro straripante di vitalità, carico di immaginazione e leggerezza.
I dodici brani che compongono il disco sono un compendio di ottimismo e ironia, Mark Oliver Everett lancia sugli ascoltatori un incantesimo fatto degli stessi colori flou che pervadono la copertina del disco. L’universo di Extreme Witchcraft è composto da sonorità variegate, capaci di accarezzare una delle molteplici dimensioni di Beck in Grandfather Clock Strikes Twelves, per poi scivolare sulle chitarre vitali di Better Living Through Desperation.Questo disco è una magia gioiosa, regalataci per affrontare meglio questi tempi oscuri.
(C.L)
PINEGROVE – 11:11
(indie-rock)
11:11, ultimo album dei Pinegrove, è un ritorno alle radici per la band. Pulito, terra-terra di strumenti e carico di energia puramente punk, il disco è un viaggio attraverso i pensieri e le emozioni di un uomo medio in una società complessa come la nostra sa diventare. La voce schietta di Evan Stephens Hall si dipana su un album intimo, in cui il timore e l’insicurezza si scontrano con un punto di vista sorprendententemente ottimista, un promemoria delle capacità degli esseri umani di andare avanti anche nei momenti più complicati. Il loro forte rimangono allora le tracce più meste ed emotive, come Orange, in cui la semplicità degli strumenti mette a nudo il sentimento cauto, ma determinato (seppur con qualche parolaccia di mezzo) che ha reso i Pinecones così leali.
(F.Z)
BLACK FLOWER – MAGMA
(experimental jazz)
Il quinto album dei Black Flower, è un catartico viaggio ipnotico di jazz, afrobeat, psych e prog. La matrice è il jazz, ma c’è molto di più in questi ottimi brani spalmati in 45 minuti: un filo sottile è quello del progressive che si intreccia in armoniosi e magistrali giri sonori. A dir la verità questo lavoro è più celebrale che d’impatto:all’Africa all’estremo oriente in 45 minuti non è roba da poco. Un lavoro da ascoltare sorseggiando un Bourbon Whiskey d’annata.
(G.A)
MODERN NATURE – ISLAND OF NOISE
(experimental folk)
Il terzo LP targato Modern Nature è straordinariamente leggero e arioso. Island of Noise mescola folk britannico, jazz e indie rock, a ritmi alterni. Guidato dal cantante, cantautore e chitarrista Jack Cooper, il progetto assomiglia a un’accurata fusione del post-rock ritmico dei Tortoise e del romanticismo folk-rock vintage degli anni ’60 e ’70.
Composto in gran parte da improvvisazioni di chitarra elettrica pulita, batteria, contrabbasso e fiati, c’è qualcosa di simile a una sessione jazz, anche se gli incantesimi semi-sussurrati di Cooper e le dolci melodie flirtano con l’indie pop. Per quanto amorevolmente registrato e meditativo, Island of Noise non apre molte nuove strade e la via sembra essere cieca. Un disco interessante ma nulla di così eccezionale.
(G.A)
MØ – MOTORDROME
(electro-pop)
Reduce un grave problema alle corde vocali, il terzo disco della danese MØ è, forse il tuffo più immersivo nel suo marchio scandipop che ha conquistato il mondo. Con un titolo dell’album tratto da un trucco da carnevale, oltre a un cenno alla sua lotta con l’ansia, è un altro disco pop che di pop – nella sua interna filosofia ha ben poco- L’atmosfera è pessimista, cupa e a tratti claustrofobica. Il pop di quest’artista è di altissimo livello e, a raffinatezza, non è seconda a nessuno. Se cercate nuove idee, nuovi spunti e nuovi stimoli dal pop, ascoltate questo album e lasciatevi catturare dal talento di questa artista.
(G.A)
BEIRUT – ARTIFACTS
(b-side)
Una nostalgica raccolta per i fan dei Beirut: vecchi EP, cover, rarità e B-side che risalgono ad alcune delle prime registrazioni del progetto di Zach Condon. Un mastodontico doppio album con 26 canzoni in cui affondare i denti, si può dire con certezza che Artifacts ha gemme nascoste in abbondanza, e ognuna potrebbe probabilmente meritare una recensione completa da sola. Il lavoro si divide in: una metà del composta dai primi EP, Il secondo più sperimentale ed è pieno di affascinanti vicoli ciechi creativi e spunti di riflessione. Se andiamo a fondo troviamo un lato C, composto da flussi elettronici e lunghe jazz da aperitivo.
(G.A)
CLOAKROOM – DISSOLUTION WAVE
(shoegaze)
Dissolution Wave è il terzo album dei Cloakroom in 10 anni, ed è di sicuro il lavoro più ruvido della band. L’album è nel suo complesso ben solido e il ritmo è nel complesso lento e delicato. Il disco è stato descritto dalla band come “space-western”, e, se da un lato, il trio sfrutta uno stile ricco di effetti che si basa sul viaggio rock spaziale, dall’altra prende in prestito le lezioni shoegaze dei ’90.
Un disco che va ascoltato con calma, e va fatto decantare nei mesi successivi. La formula è molto semplice ma ci è piaciuta fin dal primo accordo. In definitiva, Dissolution Wave è un album dalle innate capacità catartiche spesso privo di tempo e avulso dal suo tempo di messa in atto, capace di scavare – come pochi lavori in questo primo scorcio di 2022 – nell’anima. Splendido.
(G.A)
PAUL DRAPER – CULT LEADER TACTICS
(alt-pop)
Dopo il trionfale ritorno del 2017, la vita non è stata facile per l’ex leader dei Mansun, per via di vicende extra musicali complicate, tra litigi con chi aveva lavorato con profitto nei primi anni del suo ritorno sulle scene e accuse più o meno esplicite di abusi, quantomeno verbali. Paul ha cercato di lasciare il più possibile tutto ciò fuori da un’immaginaria porta e si è circondato solo di pochi collaboratori fidati per questo nuovo disco. Tra essi ci sono Steve Hewitt, storico batterista dei Placebo, e Steven Wilson.
Si sente subito che questo secondo lavoro solista è meno corale rispetto al precedente, ma non è affatto un male: le 11 canzoni per 40 minuti sono dirette, senza fronzoli e vanno dritte al punto con efficacia e senza mai risultare piatte o prevedibili. Le melodie sono tutte ottime, la produzione è eccellente e i testi, per ciò che ci è dato di capire a un primo ascolto, sono intriganti e fuori dai soliti schemi (l’autore presenta il disco come un concept basato su una visione satirica dei manuali di auto aiuto che tanto vanno di moda). Si sentono molto di più i Mansun rispetto al 2017, ma non è un passo indietro, né il segno di un autore a corto di idee che vuole ancorarsi al passato: al contrario, Paul Draper dà una bella rinfrescata al proprio stile, sperimentando di meno ma colpendo e coinvolgendo di più.
(S.B)
MARIO PIGOZZO FAVERO – MI COMMUOVO, SE VUOI
(songwriter)
Se seguivate le sorti della musica indipendente italiana nel decennio Zero, non potete non esservi imbattuti nei Valentina Dorme, uno dei fiori all’occhiello della mitica Fosbury Records. La band ha prodotto un solo disco nella decade successiva, e ora il suo leader arriva con il primo lavoro a proprio nome. Tutte le caratteristiche del gruppo madre sono ancora presenti, ma ci sono anche diversi passi in avanti, dal punto di vista sia dei testi che della musica.
Le tematiche, infatti, vengono trattate in modo un po’ diverso, ovvero con maggior schiettezza e senza filtri, e ci sono anche argomenti nuovi, piuttosto scomodi, sui quali Mario ci offre il proprio punto di vista con grande onestà e senza paura di essere giudicato. Musicalmente, le chitarre che tanto prevalevano nei Valentina Dorme, qui sono solo uno dei componenti di un suono molto vario e ricco, e anche gli arrangiamenti e il modo di cantare sono sempre diversi. Le scelte musicali e il timbro vocale si adattano ogni volta perfettamente allo spirito di ciò che viene raccontato nei testi e il risultato è estremamente comunicativo, intenso e onesto come poche altre volte capita, soprattutto in Italia.
(S.B)
FRANCESCO BIANCONI – ACCADE
(cover)
Dopo la controversa rilettura di “Playa” di e con Baby K, arriva a sorpresa tutto un disco di cover, nel quale Bianconi omaggia artisti di ben altro lignaggio come Guccini, Fiumani, Tenco e Lolli, e si riappropria delle canzoni che aveva scritto per altri, da “Bruci La Città” (già presentissima nei live dei Baustelle) a “Io Sono”. Lo stile non è molto diverso da quello del debutto solista “Forever”, a parte una maggior snellezza sonora, per cui probabilmente i giudizi su queste riletture saranno gli stessi che ognuno ha sull’album del 2020 e, in generale, su Francesco Bianconi.
Ci sarà sempre chi lo ritiene un autore di classe, abilissimo a unire alto profilo e concretezza, e chi lo vede come un intellettualoide pretenzioso e fumoso. Personalmente, faccio parte del primo gruppo e non intendo cambiare, ma mai come in questo caso ogni giudizio ha valore e può essere ben argomentato.
(S.B)
VERDENA – AMERICA LATINA OST
(soundtrack)
L’ascolto di una colonna sonora slegato dal contesto del film, normalmente ha dei limiti, nel senso che è difficile apprezzare lo sforzo creativo dei musicisti, dato che, normalmente, non si tratta di canzoni compiute, ma di immagini musicali adatte ad accompagnare quelle cinematografiche. Non fa eccezione il debutto in questo formato dei Verdena, che può giusto servire per avere delle indicazioni positive sullo stato di salute della band.
Il trio, infatti, dà l’impressione di essere in forma, di saper sempre trovare un suono interessante e riconoscibile e di non aver perso l’ampiezza di vedute musicali che caratterizzava “Wow” e “Endkadenz”. Se siete fan dei Verdena e ascoltate queste composizioni magari mentre siete al computer a lavorare, è probabile che il vostro spirito verrà sollevato, perché, al di là di tutto, semplicemente è un lavoro che suona verdenianamente bene.
(S.B)