02/05/2024
Il 23 agosto 1994 la Columbia Records pubblica il primo LP del giovane Jeff Buckley

 

Il 23 agosto 1994 la Columbia Records pubblica il primo LP di un giovane artista losangelino. La sua carriera fulminante, iniziata in mezzo al chiacchiericcio e al tintinnio di bicchieri di fumosi pub newyorkesi (Live at Sin-é), culmina in maniera completamente inaspettata e sorprendente proprio in Grace, che ha consacrato per sempre Jeff Buckley nell’olimpo della storia della musica.

Registrato significativamente ai Bearsville Studios di Woodstock, Grace risente dell’influenza dei padri fondatori del folk e del rock americano, e naturalmente del padre biologico. Jeff in effetti porta il peso di un’eredità ingombrante che, fin dalle prime apparizioni sulla scena, lo rende oggetto di enormi aspettative. È il figlio dimenticato di Tim Buckley, autore di dischi fondamentali come Happy Sad e Starsailor, del quale Jeff ha sempre subito e coltivato in segreto l’influenza artistica, seppur con malcelato distacco.

Tuttavia, questo songwriting, retaggio della musica statunitense dei 60s e 70s, si associa alle affinità con le nuove correnti forgiate dal produttore Andy Wallace, già noto per aver mixato Nevermind dei Nirvana. Un eclettismo che si esprime anche nell’inserimento delle tre cover di classici quali Lilac Wine, Hallelujah e Corpus Christi Carol, tributi e contemporaneamente riformulazioni permeate di intima espressività. La musica di questo affascinante cantore, in perfetto equilibrio tra passato e presente, si annuncia in termini ossimorici. Delicata e potente, struggente ed esaltante. In questo disco sono magistralmente coniugati slanci viscerali e torrenziali, che attingono alla fonte primaria dell’emotività, a registri angelici ispirati dalla tradizione spirituale occidentale (Corpus Christi Carol) e mediorientale (Dream Brother). Le sue scale minori arabeggianti vengono suggerite dall’ammirazione sconfinata per la musica devozionale qawwali di Nusrat Fateh Ali Khan.

Un album grandioso nelle detonazioni vocali strabilianti (Grace, So Real, Lover, You Should’ve Come Over) e nelle vorticose frasi di chitarra (Mojo Pin). Secondo Jeff Buckley, la musica è l’espressione più pura del sentire, un linguaggio capace di superare i confini e le barriere della comprensione umana. Per questo motivo al disco non furono acclusi i testi, né tantomeno le traduzioni, che pure scoperchiano la fragilità e la vulnerabilità di una sensibilità fuori dall’ordinario, che non ha paura di mettersi a nudo.

Gaia Carnevale 

 

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