A distanza di un solo anno dall’esordio, i Cure registrano il secondo album in studio. Il disco, pubblicato dalla Fiction Records, viene prodotto da Robert Smith e Mike Hedges e vede l’ingresso di nuovi membri nella band: il bassista Simon Gallup e il tastierista Matthieu Hartley.
Seventeen Seconds viene registrato e mixato in sette giorni – con un budget irrisorio di £ 2.500 – e porta la band a lavorare 16-17 ore al giorno per completare l’album.
È l’inizio del capitolo plumbeo dei Cure. Il primo tassello di un band che ha scandagliato, come poche, l’animo umano. A distanza di 12 mesi dal debutto, il gruppo accantona le ballate dell’esordio e si immerge in suoni ipnotici e claustrofobici. Un concentrato di dark wave e barlumi gotici che si confondono nella rarefatta nebbia melodica, guidati dal rassicurante faro di una voce perfetta, da sintetizzatori graffianti e da tempi scanditi al metronomo da basso e batteria.
Seventeen Seconds, concepito come il degno erede di Low di David Bowie, risulta ancora oggi attuale. Nella sua cupezza e desolazione, è capace di farci perdere tra gli echi confusi di un’intricata Foresta e ci salva, allo stesso tempo, illuminando gli angoli più oscuri della nostra esistenza.
G.A
Robert Smith – chitarre, voce, produzione
Matthieu Hartley – tastiere
Lol Tolhurst – batteria
Simon Gallup – basso elettrico