26/04/2024
Abbiamo incontrato il direttore artistico del Todays Festival di Torino e ci ha svelato alcuni segreti

 

Abbiamo incontrato il direttore artistico del Todays Festival, Gianluca Gozzi. In questa piacevole chiacchierata, sono emersi molti elementi di discussione: dalla situazione concertistica in italia, al mercato dell’imprenditoria culturale in evoluzione, fino al concetto di sostenibilità. 

 

Organizzi eventi da tempo e, con dedizione e sacrificio, sei diventato un guru nelle organizzazioni culturali. A bruciapelo ti chiedo: qual è lo stato di salute dei festival in Italia?

Grazie per questo titolo, io mi sento solo un artigiano che fa il suo dovere. Un mestiere che nasce dalla passione. Resistere è il nostro manifesto. Noi non siamo un paese da festival, bisogna essere sinceri; non è un bene o un male, è piuttosto una prerogativa italiana. Bisogna saper distinguere e conoscere bene i campionati che stai disputando. Non tutti giocano in serie A, del resto. Il Todays è un’esperienza immersiva, più che un festival. Ritornando alla situazione italiana, beh, lo sai meglio di me, il nostro è un paese difficile. Pensa all’organismo SIAE che è stato capace di coniare il termine “concertino” [ridiamo].

Parlavi di esperienza immersiva“. Esistono dei fattori socio-antropologici che ci frenano?

Un festival, se associato alla sostenibilità, deve essere un sistema capace di creare business. In Italia, fare imprenditoria con la cultura non è facile. All’estero, i grandi sponsor investono e la cultura diventa elemento/veicolo per creare imprenditoria.

Come fa il Todays a essere sostenibile?

Il Todays nasce per volontà della città di Torino. Il committente è l’amministrazione e ci ha dato carta bianca, permettendoci di imbastire l’evento. Lo schema, per essere sostenibile, arriva dai vari assessorati che impegnano parte dell’economia, e 1/3 dalla biglietteria. Il Todays è il presente, e nel presente si sceglie il nostro futuro. Infine, l’ultimo elemento di questo schema spetta agli sponsor, che in sostanza scommettono sul festival. Il 90% del mercato italiano dei concerti si regge sui vari Vasco Rossi o Pausini. Siamo un paese molto identitario.

Abbiamo sempre stimato il Todays perché, a differenza di altri festival, non ha mai avuto la presunzione di misurarsi con i festival europei. Pensiamo a quello che è accaduto all’Home Festival. Il Todays, lo scorso anno, ha sostituito i My Bloody Valentine con i Mogwai nel giro di poche ore. Qual è la ricetta del vostro successo?

Hai ragione, è un po’ come parlare del punk nel 2019. Gli Idles fanno punk ma sono pienamente contemporanei, non hanno la presunzione di diventare una fotocopia sbiadita del punk ’77. Il Todays è una fotografia schietta e sincera di quello che siamo oggi. La nostra forza non è mai stata quella di pretendere un pubblico totalmente appagato. Vediamo le cose per come sono e non per come vorremmo che fossero. La line-up deve avere una narrazione, non cercare di incentivare la gente a raggiungere Torino per un solo nome. Ho letto dell’Home Festival ma non conosco la situazione nel dettaglio. A volte si rischia di fare un passo più lungo della propria gamba. Ha senso avere una Ferrari in garage ma senza benzina?

Oltre alla Ferrari, non serve avere anche un terreno e un cemento consolidato e forte? Mi spiego: antropologicamente parlando, siamo un pubblico variegato. Reading e Glastonboury funzionano benissimo se piove, invece in Italia, un festival in condizioni meteorologiche avverse andrebbe a monte…

[Ride] verissimo. Ti spiego: noi siamo andati all’opposto di quello che era a Torino anni fa il Traffic. Optiamo per il poco mainstream, poca gentrificazione e una scelta di venue particolare: fuori dal centro. Il nostro pubblico sceglie di venire. Fare un festival non è andare a un concerto, ma scegliere di viverlo. Il pubblico è curioso. Quest’anno, molti hanno scelto l’abbonamento grazie a Hozier. Però, pian piano, i giovani sono partiti da Hozier e hanno scoperto anche gli altri artisti presenti. Ecco, questo è meraviglioso.

Che notizia quella degli Art of What ?!, un nome noto a tutti gli appassionati di questo pezzo di storia. (Detto tra noi mi ha emozionato scoprire della loro presenza)

Ecco, mi fa piacere. Loro sono una nostra esclusiva europea. Anche in questo caso ti dico: è un nome seminale nella musica, ma non è un nome che porta folle oceaniche. Il festival diventa valorizzato e valorizzante anche per queste scelte.

Che budget serve per organizzare il Todays?

Dovrebbe costare più di un milione di euro e, in base a quello schema, la spesa è stata in definitiva di 600 mila euro. La discografia ha avuto un crollo e i live sono diventati una fucina economica importante. I cachet sono cambiati e si sono alzati. Penso a Jack White, e agli ultimi dieci anni in cui la sua band ha prodotto poco. Bene, sai che oggi i Raconteurs hanno aumentato il cachet di quattro volte? Il pubblico non ha ancora una consapevolezza dei costi.

Siamo ancora molto distanti rispetto al trend concertistico che si respira fuori le nostre mura?

Ti faccio l’esempio dell’Eurosonic che si svolge a Groningen, in Olanda. Ogni paese presenta le proprie scommesse su cui puntare. Bene, all’interno ci sono dei tavoli di lavoro e ci si racconta. Ho partecipato una volta e lo scenario era: Inghilterra… Spagna… Francia… Italia?… Italia? Italia? Bene, non c’era un rappresentante. Capisci bene che siamo ancora distanti. Manca la rappresentanza istituzionale di base.

Qual è la cosa bella del tuo lavoro? Ti conosco e non posso definirti banalmente un “imprenditore musicale”, semmai un appassionato e sottile musicofilo. 

La prima volta che organizzai un concerto nei primi anni ’90 ai Kings of Leon, un promoter mi disse: “ma tu vuoi fare l’imprenditore o l’animatore culturale? No, perché se vuoi fare cultura sei fuori strada”. Oggi ti dico che questa cosa è parzialmente vera. I Perturbazione dicono in una canzone: “Non è la fatica, è lo spreco che mi fa imbestialire”. Sono d’accordo. Il motore è sempre la passione, il mio sogno è fare sempre quello che mi piace e proporlo agli altri. Bisogna saper distinguere la tenacia dall’ostinazione. La mia ricetta è questa: fin quando la passione alimenterà la tenacia, allora il mio lavoro sarà fatto degnamente.

G.A

 

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