26/04/2024
La band si è formata a New York nel 1998


 

2002: con l’avvento del nuovo millennio, l’attentato terroristico dell’11 settembre gela il mondo conosciuto e spacca drasticamente la storia contemporanea, aprendo a una nuova fase di instabilità. New York si appresta a mutare i propri connotati: da cuore pulsante della civiltà occidentale, la Grande Mela ne diventa il fegato usurato e marcescente. Tra le fila della critica si vocifera di una scena musicale newyorkese rinata. La maggior parte degli utenti non si è ancora ripresa dalla sbornia degli Strokes e attende impaziente l’esordio discografico di quattro ragazzi conosciutisi durante il periodo universitario. Si fanno chiamare Interpol, e il nome della band è mutuato dal nomignolo che i compagni di scuola avevano dato al cantante e compositore, Paul Banks, ai tempi del liceo. È la Matador a distribuire il loro esordio, che Pitchfork inserirà in cima alla lista dei migliori dischi dell’anno: Turn on the Bright Lights.

Il disco in questione non ha punti deboli specifici e risulta caratterizzato da un repertorio di pezzi che, nonostante l’evocativo nome, non lascia filtrare molta luce dalle fessure. Gli Interpol si presentano, nella forma, come una band completamente inedita nel panorama alt-rock mondiale. Ci tengono a salire sui palchi e a mostrarsi in pubblico in black suit, tanto per generare un forte senso di straniamento in chi si aspetta di guardare una rock band. Turn On The Bright Lights, dal suo canto, mette gli Interpol in una luce ancora più opaca, poichè articolato in brani- killer dai risvolti enigmatici e angoscianti.

Alcuni pezzi, come affermerà in maniera martellante la critica (scomodando inutilmente il fantasma di Ian Curtis) sono figli di un post-punk tirato fino alle conseguenze più squilibrate (Obstacle 1, Roland, PDA). Questi si alternano a segmenti lineari e sospesi che sfiorano la catarsi nei punti focali (NYC, Leif Erikson, Obstacle 2), e a lunghe suite elegiache che deflagrano nella schizofrenia sonora (Stella Was a Diver and She Was Always Down, The New).

La chitarra di Dan Kessler disegna trame malinconiche, spesso articolate in lunghi intro e outro che fiondano l’ascoltatore in una desolazione dilatata. Il baritono glaciale di Paul Banks intona liriche che sono flussi di coscienza, fieramente scritte per esorcizzare i propri mali, prima di quelli della collettività. Il basso di Carlos Dengler, ingestibile e irrefrenabile, è una mina vagante. Forse rappresenta proprio l’anticamera di un Paul Banks in stato di grazia. Sam Fogarino percuote poderosamente la batteria come un metronomo di carne ed ossa. Il loro album d’esordio è un porto privo di alcun faro per tutti i mostri mentali che prosperano nell’immensa metropoli. Banks compone testi pieni di spleen, come un moderno Baudelaire, che sviscerano un’angoscia tanto diffusa quanto malcelata. Apre le porte a veri e propri mondi narrativi che gravitano autonomamente tra le strade di NYC.

Non serve andare molto lontano per lasciarsi scrutare dal più profondo degli abissi. La maggior parte degli episodi sono tratti da racconti di vita vissuta, altri sono liberamente ispirati a tragedie e delitti. La top model suicidatasi con uno squarcio alla gola in Obstacle 1, il macellaio-assassino polacco Roland, così come il catatonico giocattolo sessuale Stella, sono tutti elementi che annullano il confine sempiterno tra Eros e Thanatos.

Dopo diciassette anni dall’uscita non ci siamo ancora stancati di esplorare nuovi angoli bui, all’interno di questo album. Al contrario di quel che si tende a pensare, non sono gli Interpol a essere stati schiacciati dal peso di Turn On The Bright Lights. Il resto del mondo, che ha avuto a che fare con quest’opera, non è più stato in grado di percorrere l’uscita del tunnel. Si è fermato a guardare da lontano la più remota delle luci, ignorando tutto il buono che la band ha tirato fuori coi lavori successivi. Leif Erikson, ultimo brano del disco, farà salpare gli Interpol verso il mare elegiaco che circonda Antics, il loro secondo ottimo album. Ma Turn On the Bright Lights rimarrà il tributo più sincero, profondo e decadente per la città di New York.

Vincenzo Papeo 


Paul Banks – voce, chitarra
Daniel Kessler – chitarra, voce
Carlos D – basso, tastiere 
Sam Fogarino – batteria 

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