Wolf Parade – ‘Thin Mind’


 

Etichetta: Sub Pop
Genere: Post Punk – Art Rock – New Wave
Release: 24 gennaio

Tra le band che si sono cimentate nel movimento revivalista a metà tra sonorità post-punk new wave, i Wolf Parade sono tra i pochi che hanno abilmente rubato senza necessariamente copiare (per parafrasare uno degli aforismi più celebri di Picasso). Un sound molto personale è sempre stato il marchio di fabbrica dei canadesi, per merito soprattutto delle due anime creative pulsanti alla base delle composizioni: il tastierista Spencer Krug e il chitarrista Dan Boeckner, artisti senz’altro diversi, ma così complementari da riuscire a scendere reciprocamente a compromessi artistici molto significativi e pregni di originali stratificazioni ritmiche. La reunion che aveva portato al concepimento di Cry Cry Cry (2017) aveva convinto a metà, forse per colpa di qualche riempitivo di troppo e dei brani riusciti che, di sicuro, non reggevano il confronto dei pregevoli episodi partoriti nei tre dischi pre-hiatus. Di converso, Thin Mind è un altro disco.

L’ultimo capitolo dei Wolf Parade ci fornisce forse la versione migliore dei canadesi dai tempi di At Mount Zoomer (2008), e questo per via delle soluzioni formali che Boeckner e Krug trovano di passaggio in passaggio. Non c’è un brano che assomigli a qualcosa di già sentito in scaletta: la tastiera e la chitarra fiondano, a turno, l’ascoltatore, in trame sonore incalzanti e dai risvolti che necessitano più di una lettura. Le strutture dei brani sono spesso articolate in modo da modificarne gli esiti finali, con lunghi outro che alterano lo spettro sonoro delle composizioni; un’epica tutt’altro che sterile, abbagliante, che si ritrova specialmente nei brani scritti da Boeckner come Forest Green, The Static Age e nell’ispiratissima Wandering Son, pezzo che i Killers sognano probabilmente di concepire da anni (di cui basterà citare forse i versi più belli dell’intero disco: ” All your days will wash away like tears in rain”).

Episodi che seguono un fil rouge tematico legato ad un incolmabile stato di alienazione: quest’ultimo si declina sul fronte sociale per via della tecnologia, in quello ambientale nell’epoca dell’antropocene, ma soprattutto sulla sfera affettiva, laddove lo status perenne di migrante impedisce il tanto agognato nostos. Tutto assume sicuramente contorni sci-fi nel primo brano cantato da entrambe le voci, la pynchoniana Against The Day, in cui la tastiera giganteggia e sfodera dall’arsenale linee musicali dai contorni apocalittici. È proprio Krug, col suo timbro riconoscibile, l’altra faccia della medaglia, impegnato a disegnare per tutto il disco contorte trame sentimentali dal mood disincantato. Liriche melodrammatiche che fanno da contraltare a quelle di Boeckner con risultati alterni. Tremendamente azzeccato, in tal senso, è l’esempio di Julia Take Your Man Home: brano che sembra scritto dal miglior Rick Okazek, e che al terzo ascolto rapisce completamente; di contro si perdono un po’ brani come As Kind As You Can, nonché in Fall Into The Future, pezzo meno ispirato del lotto, ma sono piccoli nei in un disco di indubbio spessore. I più cinici aspettavano un passo falso che confermasse lo stato calante dei Wolf Parade, forse anche tenendo conto dell’abbandono di De Caro, ma ad oggi siamo lieti di ritrovare la band di Montreal in un ottimo stato di forma.

Vincenzo Papeo 

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