Il culmine emozionale di fine ’90: ‘Without You I’m Nothing’ dei Placebo

Without You I’m Nothing è il secondo album in studio dei Placebo, pubblicato il 12 ottobre del 1998. L’album è prodotto da Steve Osborne. 

12:57:39  – 12/10/2023



Negli anni Novanta, firmare per un major e sfruttarne la potenza di fuoco dal punto di vista promozionale poteva ancora fare la differenza a livello di ampiezza del pubblico interessato alla tua musica. Non ci voleva molto, in realtà, per scatenare l’interesse diffuso: bastavano due o tre mosse giuste nel momento giusto, e il passaggio da semisconosciuti a band del momento era garantito. Nel caso dei Placebo, la firma con la Virgin portò alla diffusione sui canali giusti del video di Pure Morning, ed esso, unito all’ostentata ambiguità sessuale di Brian Molko, portò i Placebo all’attenzione di tantissima gente, che si affrettò a comprare le copie di Without You I’m Nothing e i biglietti dei concerti.

Da lì in poi, la popolarità dei Placebo si è sempre mantenuta su alti livelli, e il merito principale va senza dubbio proprio a questo disco, che ha sì sfruttato aspetti non propriamente musicali per farsi conoscere, ma che ha, al suo interno, canzoni fantastiche, al cui impatto sonoro ed emotivo è davvero difficile resistere.

Molko e i suoi due compagni di avventura, il bassista Stefan Olsdal e il nuovo batterista Steve Hewitt, rifiniscono la loro particolare visione del rock fatta di un’osmosi tra glam, sfrontatezza e disagio, lasciando da parte la ruvidezza del primo album per abbracciare una pulizia formale che, in realtà, non toglie forza espressiva alle canzoni. Spesso la scelta di melodie più definite e di un suono più curato viene vista come qualcosa che toglie autenticità al risultato finale, ma qui non è così, e la sensazione è quella di una proposta senza compromessi tanto quanto lo era quella del primo disco.

Pure Morning è sempre stata definita da Molko come la canzone che rappresenta la chiusura di una notte movimentata, quando si trova finalmente la pace e si va a dormire alle sei/sette di mattina: proprio per questo, la band l’ha suonata molto spesso in chiusura ai concerti, ma, su disco, risulta la perfetta canzone iniziale, quella che introduce chi ascolta al resto del disco senza svelare pienamente ciò che arriverà, ma creando l’atmosfera giusta.

L’incedere volutamente statico e ripetitivo fa parte solo di questo brano, mentre tutti gli altri si basano su un andamento molto più fluido e, come detto, su melodie pienamente sviluppate e un suono pieno e curato. Ognuna rappresenta una facciata dello stesso solido, tra la rabbiosa energia di Brick Shithouse, quella più controllata di Allergic (To Thought Of Mother Earth), la scorrevolezza di You Don’t Care About Us e Every You Every Me e i momenti di introspezione, da quella più contemplativa di The Crawl a quella più intensa e scomoda della title track, con diverse vie di mezzo tra questi due estremi.

Certo, le canzoni non avrebbero lo stesso effetto senza il carisma fuori dal comune di Brian Molko, e qui non si parla di look o di gossip, ma di una voce e una capacità di scrittura dei testi da grandissimo artista. La vocalità di Molko è immediatamente riconoscibile rispetto a qualunque altra a cui la si voglia eventualmente paragonare, e dire che cattura totalmente l’attenzione dell’ascoltatore è usare un’espressione che non le rende giustizia: una voce così la afferra, la ghermisce, la imprigiona l’attenzione dell’ascoltatore, e non la fa scappare più.

I testi, sempre densi e ricchi di capacità evocativa, fanno lo stesso, perché anche il nonsense della citata Pure Morning tiene attivo il cervello di chiunque lo ascolti, anche se, appunto, non si può sapere pienamente cosa intendesse l’autore, e poi però c’è l’estremo opposto, ovvero la title track, e non c’è niente di più diretto di affermare in quel modo così perentorio che “senza di te non sono niente”, perché è un’affermazione che arriva al culmine di un’auto analisi e un autoritratto di una lucidità disarmante e di un realismo devastante.

Without You I’m Nothing, in definitiva, è un disco capace di lasciare un segno duraturo su chi lo ascolta. I Placebo attuali fanno ancora dischi più che discreti, ma è chiaro che non avrebbero la stessa popolarità senza questo capolavoro. Insomma, vivono un po’ di rendita, ma per un disco così è giusto esser loro grati in eterno.

 

Stefano Bartolotta


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