‘Vitalogy’ dei Pearl Jam, l’ultimo tassello della “cometa” grunge

Il terzo LP dei Pearl Jam, Vitalogy, esce in vinile il 22 novembre 1994, e su CD solo due settimane dopo, il 6 dicembre.

14:48:20  – 25/11/2021


La genesi di Vitalogy dei Pearl Jam 

Il terzo LP dei Pearl Jam, Vitalogy, esce in vinile il 22 novembre 1994, e su CD solo due settimane dopo, il 6 dicembre. Il disco è il loro apice qualitativo, ma si tiene alla larga dai grandi singoli radio friendly del precedente passato della band, di cui soprattutto l’esordio Ten era colmo (venderà infatti meno della metà delle copie, pur raggiungendo cifre molto alte). 

L’intento è chiaro: Vedder e soci, in piena battaglia contro Ticketmaster e soprattutto dopo lo sparo autoinflitto che pochi mesi prima ha messo fine alla vita di Kurt Cobain, e in un certo senso a tutta l’epopea grunge, cercano un ripiegamento su sé stessi, una svolta introspettiva che rifugga i lidi innodici del grunge degli esordi per giungere ad una via il più possibile propria al nuovo rock americano, più vicina a Neil Young (con i quali collaboreranno per il disco Mirror Ball, dell’anno successivo) o a Springsteen, che a Soundgarden o Nirvana. Sintomatico che il nome della band non si trovi nemmeno sulla copertina del disco.

A dire il vero la svolta, che si completerà con i dischi successivi, è qui ancora parziale, perché di episodi riconducibili ai canoni del sound di Seattle il disco è costellato: dalla cavalcata punk metal Spin the Black Circle, vera e propria ode al vinile e primo singolo estratto, all’apripista Last Exit, fino alle potenti Whipping e Satan’s Bed. Ma i veri apici del disco sono le struggenti ballate, tra le migliori di tutta la discografia della band: la lieve e intimistica Nothingman, la splendida Better Man, in cui Vedder si cala in maniera straordinariamente credibile nella solitudine di una donna incapace di emanciparsi dal proprio uomo che non ama più, e poi la splendida, conclusiva Immortality, il brano migliore del lotto, scelto come secondo singolo. 

Anche se Vedder lo ha sempre negato, in maniera più o meno velata (ed effettivamente le date di registrazione in studio gli danno ragione), il disco sembra suonare come una sublimazione e superamento del lutto del “rivale” e amico Kurt Cobain. La scaletta è aperta e chiusa (se si esclude il conclusivo divertissement Hey Foxymophandlemama, That’s Me) da Last Exit e Immortality, due brani i cui versi non è possibile non collegare con il suicidio del leader dei Nirvana: “Let the ocean swell, dissolve ;way my past / Three days, and maybe longer / Won t even know I’ve left”, “Scrawl dissolved / Cigar box on the floor”, “Truants move on / Cannot stay long / Some die just to live”.

Media e mercificazione 

Un altro tema centrale è la lotta contro i media e la mercificazione degli ideali della band, tema già centrale nel precedente VS: nei versi della splendida midtempo Corduroy: “I dont want to take what you can give / I would rather starve than eat your breast / All the things that others want for me / Can’t buy what I want because it’s free” e di Not For You: “All that’s sacred comes from youth / Dedication’s naive and true / With no power, nothing to do / I still remember, why don’t you, don’t you? / This is not for you / Oh, never was for you… fuck you!” questo aspetto è più che esplicitato.

Ma Vitalogy è anche il disco specchio di una band in mutazione e a tratti sull’orlo di una crisi di nervi: nell’agosto del ’94 Jack Irons sostituisce Dave Abbruzzese alla batteria, un mese prima il chitarrista Mike McCready entra in clinica per disintossicarsi da alcol e cocaina. E in tutto ciò, a detta di Stone Gossard, è anche il primo disco dove il frontman Vedder si prende sempre di più il centro della scena e la responsabilità di tutte le scelte più importanti, accantonando la leadership che Gossard stesso aveva sempre avuto all’interno del gruppo.

 

Ma al di là dell’alternarsi di brani più muscolari e altri più introspettivi, tutto il lavoro è permeato da un andamento claustrofobico, isterico, nervoso, frammentario: poche altre volte nel rock anni ’90 la forma si è fatta così tanto specchio della sostanza, biografica e musicale, di una band. Anche i riempitivi sono pregni di paranoia ed egocentrismo: dall’invasione di insetti di Bugs, alla richiesta di privacy di Pry, To, fino alla folle, dinoccolata conclusione con Hey Foxymophandlemama, That’s Me: “Don’t you want people to love you? /My spanking, that’s the only thing I want so much”, “Do you ever think that you actually would kill yourself? / Well, if I have thought about it real, uhh, real deep / Yes, I believe I would”.

Conclusioni 

Il titolo del disco e la grafica del booklet sono ispirati ad un’enciclopedia del 1899 chiamata proprio Vitalogy, che riporta antichi rimedi e consigli medici. Un brano dell’enciclopedia recita: “se impedite che pensieri di malattia o di morte penetrino nella vostra mente, avrete compiuto nove decimi della battaglia per sottrarvi a questi nemici”.

Sembra un training autogeno dello stesso Vedder, ancora valido a più di un secolo di distanza. Il miglior disco dei Pearl Jam e uno dei migliori di area grunge, culmine di una carriera che di lì in avanti vedrà la band di Eddie Vedder dare vita a una serie di dischi più canonici, alcuni più riusciti e altri meno, ma tutti meno “malati” di questo disco che sembra davvero il racconto a posteriori di un periodo di reclusione in una clinica psichiatrica.

Nicolas Merli 

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