‘Veckatimest’, l’ambizioso terzo disco dei Grizzly Bear

Veckatimest è il terzo album discografico in studio dei Grizzly Bear, pubblicato nel maggio 2009 dalla Warp Records.

11:56:30  – 26/05/2022


Un balsamo per le orecchie

Il 26 maggio del 2009 viene ricordato come il giorno in cui i Grizzly Bear inondarono le nostre orecchie con un balsamo pregiatissimo chiamato Veckatimest. Questo album, che porta il nome di un’isola disabitata del Massachusetts di cui gran parte di noi ignorava l’esistenza, consacrò definitivamente la band di New York.

Composto nel 2008, Veckatimest è un lavoro così ampio e ambizioso da trascendere l’indie-folk, genere che fino a quel momento aveva maggiormente definito la produzione dei Grizzly Bear. Mentre la struttura del precedente disco, Yellow House, era delineata dal songwriting e da atmosfere delicate, questo nuovo lavoro segna uno spostamento verso arrangiamenti molto complessi. A tal fine fu basilare il contributo del compositore Nico Muhly che, avvalendosi della Brooklyn Philharmonic Orchestra e del Brooklyn Youth Chorus, seppe infondere un senso di sacralità ai 12 brani.

Il collage dei Grizzly Bear

Se concettualmente il disco sembra raccontare la distanza emotiva tra due persone, a livello sonoro l’opera è perfettamente coesa. I brani fluiscono l’uno nell’altro come fossero parti di un unico corpo e, considerata la laboriosità della struttura, questo fluire dolce risulta essere quasi eccezionale. Veckatimest è una specie di perfetto collage di generi in cui ogni frammento – folk, jazz, indie rock, psychedelia, art rock, doo wop, e non da ultimo cori angelici – ha un ruolo ben definito.

In questo senso è interessante un piccolo parallelo con l’immagine di copertina. Il dipinto di William O’Brien ricorda una sorta di collage dove ogni singola forma si incastra nell’altra dando vita ad un paesaggio visivo intricato ma armonioso. Se osserviamo attentamente, ci si rende conto che questa immagine è una calzante trasposizione visiva dell’album, composto a sua volta da armonie solo in apparenza intricate.

Moltitudini

L’anima di Veckatimest è formata da moltitudini che esplodono immediatamente nell’opener. Southern Point proietta l’ascoltatore all’interno di questo collage in cui gli spicchi di folk e jazz sfociano in ritmi convulsi, cambiando più volte texture sonore. A questa sfolgorante ouverture fanno da contraltare brani carichi di malinconia strisciante modellati dalle voci di Droste e Rossen. Accompagnano il tutto le chitarre folk, mai abbandonate, che in Dory si vestono con abiti sofisticati. Anche i brani apparentemente più semplici come Two Weeks, in cui compare Victoria Legrand dei Beach House, possiedono più livelli di eccentricità in cui perdersi.

I registri e gli umori cambiano continuamente; facendo un secondo parallelo, questa volta cromatico, con la copertina, possiamo notare che i brani passano dai verdoni malinconici di Ready, Able ai fucsia lucenti e furiosi di I Live With You. Questi contrasti sono il succo di un album affascinante, capace di toccare punte mistiche grazie all’incursione di cori così angelici da rendere un brano semplice come Cheerleader solenne come un inno. È nella splendida Foreground che il Brooklyn Youth Chorus sfiora la divinità regalando una chiusura perfetta ad un lavoro eccellente.

Quando Veckatimest uscì tredici anni fa quasi tutti i critici consigliarono un ascolto attento e prolungato nel tempo per carpire tutte le sfumature. Tredici anni dopo questo album, che necessita tuttora di un ascolto dedicato, regala ancora colpi di scena capaci di stregare l’anima.

Chiara Luzi

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