12/10/2024
uscite discografiche - www.infinite-jest.it

MERCURY REV – BORN HORSES
(dream-jazzy ambient)

Uscite discografiche della settimana con un capolavoro. Bisognerebbe fare un monumento a Jonathan Donahue e Grasshopper, che dapprima se ne sono fregati del fatto che l’uscita dell’ultimo album di inediti diventasse sempre più lontano, e poi, dopo nove anni, sono tornati con un disco che è un vero e proprio inno alla libertà di espressione artistica e alla necessità che la musica che si crea sia la diretta espressione del proprio modo di essere come persone. “Quando ci siamo incontrati, una delle prime cose che abbiamo scoperto di avere in comune è stata la passione per Blade Runner, sia il film che la colonna sonora di Vangelis”, raccontano i due, ed ecco qui una raccolta di canzoni dall’atmosfera parimenti eterea e intensa, un continuo sogno lucido, di quelli in cui ti rendi conto di essere in un sogno e, di conseguenza, fai quello che ti pare perché tanto non corri alcun pericolo.

Il nuovo corso dei Mercury Rev

Ecco, quindi, che, intanto, la strumentazione usata, e quindi i suoni, sono un po’ diversi dal solito, con la forte presenza della tromba che, inevitabilmente, conferisce venature jazz a tutto il lavoro, e influenza anche il modo in cui vengono suonati gli altri strumenti, in primis il piano. Poi, va notato che i due protagonisti decidono di usare la melodia in modo diverso da come hanno sempre fatto, ovvero non basando il brano su una linea melodica principale, ma mettendone insieme tante, tutte utili ma nessuna davvero indispensabile, il cui insieme crea un effetto suggestivo davvero forte. E anche la parte vocale si adegua a questo nuovo corso, proponendo un cantato decisamente più sfuggente e che non si pone in evidenza rispetto alla parte strumentale, ma si mescola ad essa e ne diventa parte.

“Quando ho iniziato a cantare per questo disco, questa voce ha sorpreso anche me, ma ormai era lì, non la potevo mandar via”, spiega Jonathan, e un artista dovrebbe sempre fare questo, ovvero lasciarsi andare, far sì che arrivi spontaneamente ciò che va fatto e cavalcarlo, in barba alle mode, alle tendenze, al proprio passato, alle aspettative dei fan.

Che poi, in realtà, un altro merito di questo capolavoro è che non mette in mostra dei Mercury Rev snaturati, perché magari si può rimanere spiazzati all’inizio, ma lo stile, il tocco, la particolarità delle atmosfere, sono sempre riconducibili a loro, alla loro storia, alla loro personalità. “There’s always been a bird in me” si intitola l’ultima canzone, e forse questo disco può essere utile a capire se c’è sempre stato un uccello in ognuno di noi, e probabilmente c’è sempre stato ed è ora per tutti noi di farlo volare, come hanno fatto Jonathan e Grasshopper con il loro. 

Stefano Bartolotta


HINDS – VIVA HINDS
(indie-pop)

Maturità e indie-pop non sono certo due concetti che normalmente vanno a braccetto, nel senso che le proposte musicali indie-pop sono, normalmente, senza eccessive pretese e mantengono un profilo abbastanza basso. Tra l’altro, questi erano anche alcuni tra i segni distintivi di ciò che hanno sempre fatto le Hinds: infatti, fino a ora, il quartetto spagnolo non si era mai allontanato da uno stile molto immediato e scarno, che dava l’idea di un gruppo di amiche che suonava per divertire e divertirsi senza troppi ragionamenti.

La nuova formazione

Adesso, però, le due fondatrici della band, Carlotta Cosials e Ana Garcia Perrote, hanno perso per strada le altre due compagne di avventura, le hanno sostituite e la nuova formazione riesce nell’impresa di far convivere in totale armonia proprio i due concetti di cui sopra, ovvero maturità e indie-pop, nel senso di musica immediata fatta per divertire e divertirsi. Queste canzoni, infatti, godono di un’immediatezza contagiosa, ma allo stesso tempo sono strapiene di dettagli, e le artiste non si fanno alcuna remora nello sporcarsi le mani con distorsioni, riverberi e dissonanze, se è quello che serve per rendere più eccitante il singolo brano.

Così, il disco scorre in modo irresistibile per tutta la propria durata, ed è strano dire che si tratta di un lavoro pulito ma anche sporco, o spontaneo ma anche ragionato, ma la realtà è che risulta più facile ascoltarlo che spiegarlo, e infatti le musiciste stesse dicono semplicemente che il disco è fuori e che sarebbe inutile distrarsi spiegandolo a parole. Hanno pienamente ragione, questo è un album solo da ascoltare, possibilmente a sessioni di tre giri alla volta. 

Stefano Bartolotta


MJ LENDERMAN – MANNING FIREWORKS
(indie rock, alt-country) 

In queste uscite discografiche è ‘esattamente per dischi del genere che si ama la vasta provincia americana. Elettriche che frustano, acustiche mai dimentiche della tradizione, la giusta dose di “attitudine fannullona” e spirito arguto nei testi. E sorridono idealmente, al di qua e di là, Neil Young come Jason Molina, i Pavement come Warren Zevon, i Dinosaur Jr.come Mark Linkous o i Silver Jews. 

Marc Jacob Lenderman da Asheville, North Carolina, 25 anni, ha ragione da vendere e talento da sciorinare in ogni direzione (5 album solisti in un lustro, i Wednesday, le collaborazioni live in studio con nomi come Waxahatchee e Indigo De Souza). 38 minuti di disco diretto,vitale e piu’che mai ispirato, un lavoro che non è solo “qui e ora”, ma fa pensare al futuro con un straccio di sorriso stampato sul viso. Ben piu’ di uno straccio, soprattutto quando passa il trittico “Rudolph”/”Wristwatch”/”She’s Leaving You”. Ok, il disco è giusto. 

Albino Cibelli


THE THE – ENSOULMENT 
(songwriting)

C’è di nuovo l’anima nel titolo, come nell’indimenticabile “Soul Mining”(1983). Troppo poco per aver un’idea di quanto potesse essere riuscito questo ritorno di Matt Johnson e della sua gloriosa sigla atteso ben 24 anni, ma di sicuro un punto di partenza affascinante ancor prima di ascoltare una nota (“ensoulment” e’ il termine con cui si definisce il momento in cui un essere vivente acquisisce un’anima).

Un’osservazione scrupolosa della condizione umana nel 21esimo secolo, parlando di politica e guerra,amore e sesso, vita e morte con testi penetranti verso dopo verso, cantati/recitati dal calore inconfondibile della voce del Nostro, attorniato da una schiera di affiatati collaboratori, sempre sul punto nell’assecondare il leader man mano che i brani si susseguono (“Some Days I Drink My Coffee By The Grave Of William Blake”, “Zen & The Art Of Dating”, Kissing The Ring Of Potus”: meritano financo i titoli). Emerge comunque piu’di un refolo di speranza, li’dove potrebbero apparentemente regnare ansia, cupezza e disorientamento. La giovialità del clima con cui si sarebbero svolte le registrazioni avrà fatto sicuramente la sua parte. Il tempo va e mr. Johnson (r)esiste denso, poetico, conturbante nel migliore dei modi.Tanto di cappello. 

Albino Cibelli


MOLCHAT DOMA – BELAYA POLOSA 
(darkwave, coldawave, synth pop)

Gli interessanti Molchat Doma tornano in pista con la solita distintiva atmosfera brutalista miscelata da suoni minimalisti ma forti. Quando il trio annunciò per la prima volta i piani per il loro quarto album in studio intitolato Belaya Polosa, promisero una completa reinvenzione della band. Spostandosi da Minsk a Los Angeles, la band ha dato l’impressione che questo disco li avrebbe visti abbracciare l’ottimismo. 

Questo album sembra essere costantemente bloccato nel bel mezzo di una transizione. I suoni in modo convincente e originali dei primi dischi della band si sono dissipati, ma sembrano riluttanti ad abbracciare pienamente uno sviluppo nel loro suono.  È difficile immaginare a chi possa realmente piacere questo album. Non si attiene al suono popolare dei primi dischi del trio, ma non si sviluppa nemmeno completamente in un nuovo suono. Inoltre, la sua forte dipendenza dalla musica synth degli anni ’80 e dalle influenze gotiche non può fare a meno di suscitare la domanda: “Ma non è meglio ascoltare un disco storico dei Depeche Mode?!?”. Molti passi indietro per i Molchat Doma, che peccato.

Giovanni Aragona


TORO Y MOI – HOLE ERTH 
(Cloud Rap, Alternative R&B, Alt-Pop)

Nel suo ottavo album in studio il cantante e strumentista Toro y Moi fa la musica che è sempre stato destinato a fare. Conosciuto per i suoi ritmi lo-fi e i suoni minimalisti, Toro Y Moi, il cui vero nome è Chaz Bear, è diventato una forza all’interno della scena musicale su Internet degli anni 2010, prendendo ispirazione dal suo amore per l’hip-hop e il rock e infondendolo di una narrazione che si ispira all’educazione filippina. Hole Erth affina un fattore di nostalgia per i fan di Bear, ma il disco pone anche le basi per il futuro dello zeitgeist musicale, un paesaggio fluido di genere e multigenerazionale.  L’album ricorda l’era pop-punk dalla fine degli anni ’90 ai primi anni ’00: l’era dei blog , il luogo in cui Toro y Moi è nato. 

Giovanni Aragona


GOD IS AN ASTRONAUT – EMBERS 
(post-rock)

Embers è una serie di pellicole cinematografiche messe in rilievo in questo delicatissimo lavoro. Dall’inizio alla fine ogni canzone esiste come un bellissimo universo cinematografico – un fatto che è evidente dal momento in cui la prima traccia Apparition si apre come un pezzo rock cinematografico. L’album si chiude con una cavalcata post rock degna del miglior Antonioni. Se volete fuggire dal mondo reale per un’ora, è il disco che fa per voi. 

Giovanni Aragona


DUMMY – FREE ENERGY | PEEL DREAM MAGAZINE – ROSE MAIN READING ROOM | 
(psych pop, indie pop)

Due uscite discografiche settimanali  entrambe made in Los Angeles, per gli amanti delle sonorità di Stereolab e ampi dintorni psichedelici.

Il quartetto dei Dummy amplifica e migliora il discorso iniziato 3 anni fa col debutto “Mandatory Enjoyment”, ben acclamato dalla critica, e “libera energia” come da titolo in direzione “space-kraut-pop”, tra melodie vocali malinconico-estatiche, tastiere “dronanti” e chitarre rumorose alla maniera di un Kevin Shields aggregatosi temporaneamente alla band di Laetitia Sadier e Tim Gane. Da segnalare fra le altre “Blue Dada” per il suo crescendo, “Nullspace” che evoca anche atmosfere non lontane da certo dub dei ’90, e la cinematica “Dip In The Lake”. Si spera per loro che l’auditorio si allarghi ulteriormente.

Stesso auspicio puo’essere speso anche per il quarto album, uscito mercoledi’, dei Peel Dream Magazine.

Questi ultimi viaggiano meno nello spazio rispetto ai Dummy: la loro pagina Bandcamp fra i tag suggerisce con un filo di probabile autoironia la definizione di “musica da soggiorno”. Sicuramente un sound piu’contemplativo e “gentile”, ove ai rimandi inevitabili alla band di “Emperor Tomato Ketchup” si accostano un forte richiamo ai Belle & Sebastian in “I Wasn’t Made For War”, una “Four Leaf Clover” e la conclusiva, rasserenante “Counting Sheep”che non starebbero male nel repertorio degli Yo La Tengo. Ulteriori segnalazioni per il messaggio di positività di “Lie In The Gutter” e la riflessione familiare, un pò piu’dolente, di “R.I.P.(Running In Place)”. 

Albino Cibelli 


SUUNS – THE BREAKS
(art rock, sperimentale, elettronica)

È un viaggio sul filo dell’abisso quello che i Suuns raccontano nel nuovo album, The Breaks. Disegnato da atmosfere evocative e da una struttura complessa, questo lavoro, prodotto dal batterista Liam O’Neil, è frutto di un processo creativo libero, basato sull’improvvisazione e la sperimentazione. Questo ha permesso alla band di restituire un senso di sospensione e di abbandono, forgiando con synth, loop, percussioni e campionamenti, Road Signs and Meanings, un disco cupo ma al contempo avvolgente.

The Breaks è forse il lavoro più complesso della band di Montreal, la loro base composta da art rock, Wave, sonorità elettroniche e distorsioni, Overture, è sempre forte e conferisce al disco forza e ‘grandeur’. Ascoltandolo si percepisce un forte senso di libertà in tutti gli otto brani, anche pezzi intimi e apparentemente semplici, Doreen, possiedono pathos e movimento; non c’è banalità o noia in questo abbandono perpetuo. Suuns non hanno avuto paura di rischiare, hanno rimescolato carte che in questi venti anni di carriera avevano steso con cura.

Chiara Luzi


NALA SINEPHRO – ENDLESSNESS
(elettronica, ambient, avant garde)

Uscite discografiche con la consueta “quota sperimentale”: Nala Sinephro è belga ma di stanza a Londra da molti anni. L’artista da seguito all’ottimo Space 1.8 con un gioiello meditativo che potrebbe positivamente svoltare il week end.  L’opera è un flusso di coscienza più che un disco musicale: proprio come il debutto , Endlessness è rinfrescante, illuminante e maestoso allo stesso tempo. Molti gli artisti giunti a sostegno di questo talento ormai punto stabile di questa interessante scena di musicisti. Un album di confini permeabili e percorsi divergenti, non solo segno il progetto di maturazione definitiva, ma vede la compositrice caraibico-belga e i suoi collaboratori,  fondere elementi di avant-jazz e musica elettronica in una composizione di 45 minuti divisa in dieci battiti delicatissimi. 

Giovanni Aragona 

 


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1 thought on “USCITE DISCOGRAFICHE DELLA SETTIMANA| 6 settembre 2024

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