NICK CAVE – & THE BAD SEEDS – WILD GOD
(Art Rock, Singer-Songwriter)
Apriamo queste numero di uscite discografiche con il nuovo album di Nick Cave e con una considerazione (forse scontata): felicità non è forse una delle parole che più facilmente vengono in mente quando si esamina il paesaggio tematico abitato da Nick Cave e in questa ennesima opera il dolore è ai massimi livelli. Wild God trasuda intimità e affonda in una gotica palude abitata dai Birthday Party e dell’art rock più oscuro.
Wild God suggerisce sottilmente che il songwriting di Cave ora sottoscrive l’ethos di trovare la bellezza, l’amore e la trascendenza tra i vari sconvolgimenti e conflitti che governano il mondo. Ciò che è forse più impressionante di questo album sono le qualità letterarie: In “Rane”, Cave analizza le narrazioni bibliche, e l’intensità linguistica raggiunge vette qualitative impressionanti. Le note di chiusura di Wild God sono la perla che probabilmente ti aspetti. In poco più di due minuti (“As The Waters Cover The Sea”), Cave chiude l’opera con una preghiera straziante: una delicatezza d’altri tempi per un’opera magistrale che apprezzeranno anche in paradiso.
G.A
JON HOPKINS – RITUAL
(ambient, elettronica)
Jon Hopkins è un’artista che, anche nella fase elettronica più pura, ha sempre creato mondi trascendentali, capaci di condurre l’ascoltatore ad una sorta di trance. Ha sempre lavorato in equilibrio tra diversi generi, contaminando l’elettronica con influenze classiche e ambient. A partire dal 2021, con Music For Psychedelic Therapy, ha iniziato ad esplorare più a fondo le sonorità ambient, con il disco in uscita oggi, Ritual, continua questo percorso. Se però MFPT arrivava a toccare punte di astrattismo sonoro, in questo nuovo lavoro Hopkins torna ad inserire elementi elettronici che rendono il lavoro più solido e tangibile.
Ritual è stato scritto originariamente per un’installazione del 2022, Dreamachine, il cui intento era quello di alterare la mente; effettivamente la struttura dell’album è quella di una suite, un’opera elettro-ambient immersiva che va ascoltata nella sua interezza per poter funzionare. Hopkins maneggia perfettamente la fusione di musica elettronica e suoni ancestrali, creando loop ipnotici e suoni sospesi che conducono l’ascoltatore ad una sorta di catarsi.
Ad un primo ascolto è spontaneo accostare Ritual al suo predecessore, ma ad un ascolto più attento possiamo percepire quell’energia che da sempre caratterizza la produzione di Hopkins: part v – evocation, part vi – solar goddess return possiedono la stessa tensione e lo stesso crescendo di Open Eye Signal, 2013, che di ambient non aveva nulla. Ritual non è un album semplice, ma i 41 minuti di attenzione che richiede sono ottimamente spesi; Hopkins apre uno squarcio interessante su un genere che se ben interpretato, come in questo caso, si trasforma in arte.
Chiara Luzi
JÓNSI – FIRST LIGHT
(ambient, art pop)
Uscite discografiche all’insegna delle sonorità ambient con questo altro lavoro targato Jonsi. First Light è in origine pensato per la colonna sonora di un videogioco, e diventa un lavoro immersivo ma poco lineare. Onde, suoni, effetti, sonorità ambientali per raccontare i sentimenti dell’animo, talvolta travagliato e a tinte alterne, pacato. First Light” offre all’ascoltatore un senso di fuga dalla routine quotidiana.
G.A
LOS BITCHOS – TALKIE TALKIE
(soft rock)
Il quartetto con sede a Londra composto da membri provenienti da tutto il mondo è tornato con un approccio più espansivo rispetto al passato. Talkie Talkie è formato da canzoni che finalmente vanno oltre l’approccio radicato nella cumbia che il quartetto ha adottato nel loro album del 2022 a favore di una tavolozza musicale più ampia. Una base solida è il suono degli anni ’80: chitarre effettate, sintetizzatori eleganti e un pop ben suonato che brilla in tutto il disco. Un lavoro allegro da suonare in riva al mare salutando l’estate appena finita.
G.A
TY SEGALL – LOVE RUDIMENTS
(experimental rock)
Il talento di Ty Segall non lo discutiamo e neanche lo scopriamo oggi, nel 2024. Il punto è: il nostro eroe è un fiume in piena ed è veramente arduo stare al passo con i suoi progetti. In Love Rudiments, Ty Segall dimostra di poter fare un disco avvincente senza brandire gli strumenti (compresa la sua voce) e preferisce utilizzare un vibrafono, per creare note di sensualità misteriose. Love Rudiments è pieno di virtuosismi e di influenze (si va a toccare l”R&B) ma nel complesso la sensazione è che ci sia poca logica e troppa sconnessione tra una traccia e l’altra. Ammirevole il coraggio.
G.A
WHY BONNIE – WISH ON THE BONE
(indie-rock)
Uscite discografiche con il secondo album targato Why Bonnie. La crescita è evidente e Wish On The Bone si lascia ascoltare benissimo. Un indie rock pulito, senza fronzoli, ben prodotto e con dei testi solidi, per un disco che piacerà anche a chi non ha mai ascoltato un accordo di questa artista. Liricamente è un lavoro eccelso e lo dimostra la stupenda “Rhyme or Reason”, gioiello linguistico formato da un sottile gioco di parole che verrà impiegato in tutto l’album. Uno dei migliori album di questa settimana.
G.A
WUNDERHORSE – MIDAS
(alternative rock)
Quello che è iniziato come progetto solista del frontman Jacob Slater, oggi è diventato un gruppo a tutti gli effetti. Dopo il debutto del 2022 con Cub l’attesa del secondo lavoro era tanta. Midas è un disco pienamente riuscito, spinto da ganci robusti, melodie feroci e un bordo ruvido di chitarre che piace da matti. I Wunderhorse si affermano come un talento avvincente e pieno di idee.
Dal primo accordo si evince un fondamentale aspetto che caratterizzerà tutte le dieci canzoni: questo disco non ha la pretesa di suonare perfetto e raffinato e non è stato realizzato per impressionare le folle. Maturi, risoluti e capaci, i Wunderhorse hanno evitato di soccombere al solito giochino delle etichette: quello di realizzare un secondo album piacione. Molte band, messe sotto pressione, si sforzano di perfezionarsi spesso a scapito del fascino della loro musica. In Midas questa band mantiene tutto in maniera naturale e istintiva. 40 minuti di perfetto rock alternativo. Bravi loro e brave le etichette Communion/Mick Music.
G.A
YANNIS AND THE YAW – LAGOS PARIS LONDON
(experimental pop)
Uscite discografiche con la realizzazione di un desiderio: quello di smarcarsi dalla propria band per registrare delle tracce più sperimentali, che Yannis, leader dei Foals, conservava nel cassetto da tanti, tanti anni. Ed è allo stesso tempo anche l’ultimo lavoro a cui Tony Allen ha contribuito prima di venire a mancare nel 2020. Il tutto nasce da quell’ incontro tra Tony e Yannis di fine 2018 in cui registrarono insieme “Café D’Athens”, traccia numero 7 di “everything not saved will be lost pt.1” dei Foals.
Il risultato è una sorta di I hate my village all’ inglese, ma senza risvolti elettro psych blues, in cui si rincorrono l’energia e la furia controllata, elementi tanto cari ai foals, e le fluide e precisissime percussioni dal respiro afro del compianto Tony Allen. Non un capolavoro, ma un bel episodio isolato pieno di divertimento e spunti interessanti.
Davide Belotti
THE BUG CLUB – ON THE INTRICATE…
(garage rock, punk rock)
Dopo aver firmato con Bingo Records nel 2020, I Bug Club hanno pubblicato il loro primo singolo all’inizio del 2021, attirando rapidamente l’attenzione per le loro energiche esibizioni dal vivo e il loro spiritoso songwriting. Nel corso degli anni, sono diventati noti per la loro produzione prolifica, tra cui diversi singoli, EP e album. Questo disco, prodotto dalla storica SubPop fonde garage rock con elementi di punk e rock classico. Il risultato è un disco banalotto che non lascia il segno in nessuna traccia. Salviamo solo Lonsdale Slipons allegata in basso.
G.A
SEEFEEL – EVERYTHING SQUARED (EP)
(ambient, IDM, ambient dub, downtempo)
Lo scorso luglio vi avevamo raccontato del ritorno degli iconici SEEFEEL e del loro ritorno dopo un silenzio lungo ben tredici anni. I Seefeel sono stati sempre etichettati nel classico filone shoegaze degli anni ’90, ma il loro uso di campionatori e di suoni elettronici li hanno discostati di tanto da quelle sonorità e li hanno inglobati nella mappa della scena emergente dell’IDM. Bravi, nel distruggere le aspettative dei ’90, quando erano impigliati nei paralleli sbiaditi dello shoegaze, per virare verso una proposta decisamente più interessante.
Il suono? semplicemente magistrale con iperboliche ripetizioni ipnotiche che abbracciano la meravigliosa voce di Peacock come un altro strumento, usato per creare trame aliene ultraterrene. Peccato solo siano sei canzoni, con tre tracce in più sarebbe stata la perfetta colonna sonora tra questo mondo e universi paralleli non ancora esplorati. Confidiamo in un seguito.
G.A
LAURIE ANDERSON – AMELIA
(avant-garde)
Amelia Earhart è scomparsa in mare nel luglio 1937 mentre tentava il giro del mondo in aereo, pochi giorni prima di compiere 40 anni. In verità, quello stesso giorno, è iniziato un mito immortale, ancora fortissimo nel 2024, tanto che, a quanto si narra, sarebbe vicino il recupero dei resti del suo velivolo nell’Oceano Pacifico. Innumerevoli ovviamente anche gli omaggi in musica nel corso dei decenni, il piu’popolare dei quali rimane forse quello di Joni Mitchell con “Amelia”(da “Hejira”,1976). Atteso per giunta quest’anno un ulteriore omaggio a ottobre con l’album “The Last Flight” dei Public Service Broadcasting.
Laurie Anderson, invece, inizialmente ha realizzato una performance sull’iconica aviatrice nel 2000 alla Carnegie Hall di New York, riaggiornandola recentemente e portandola in giro per l’Europa. L’album è stato registrato con l’Orchestra Filarmonica di Brno condotta da Dennis Russell e una nutrita schiera di collaboratori, tra cui Anohni e Rob Moose. In un’audace unione di suoni orchestrali, digitali e field recordings, Anderson racconta la Earhart e gli ultimi mesi prima della fine attraverso le sue parole, raccolte da diari di bordo o telegrammi facendo ascoltare a un tratto la sua stessa voce, in un presumibile tentativo di lasciar immaginare la donna oltre al mito.
Un’esperienza immersiva di gran fascino che sembra inevitabilmente incompleta senza la performance visiva e pertanto puo’sembrare un pò difficile da digerire in versione “audio only”, ma nondimeno è un’ulteriore testimonianza, casomai ci fossero dubbi, del talento della Anderson anche nel raccontare storie. In queste uscite discografiche ecco due straordinarie donne al prezzo di una: davvero cosa buona e giusta.
Albino Cibelli
STEVE WYNN – MAKE IT RIGHT
(rock’n’roll)
Chiudiamo questo numero di uscite discografiche con un album e contemporaneamente un memoir intitolato “I Would’t Say If It Wasn’t True: A Memoir Of Life, Music And The Dream Syndicate”. Scrive e suona chiaro e schietto, Steve Wynn, come farebbe un amico di una vita di quelli veri, un’immagine per lui perfetta.Un doppio slam riuscito e piu’che semplicemente piacevole.
Per quel che concerne l’album, il primo da solista dal 2010, non siamo di fronte a un’opera autobiografica, nonostante gli omaggi in apertura e chiusura al luogo di nascita (Santa Monica) e alla sua residenza attuale (“Roosevelt Avenue”, in quel di New York) ma a una raccolta di riflessioni sull’amore, sugli errori del passato,sulle opportunità da cogliere e sul punto a cui si è arrivati oggi.
All’inizio si è indotti a pensare che forse poteva scapparci un nuovo lavoro dei Dream Syndicate per certi aspetti, ma si intuisce coi minuti che passano che no, doveva essere cosi’: il proprio nome in copertina, un gruppo di fidati compari ad accompagnarlo (Linda Pitmon, Vicki Peterson e Mike Mills dei R.E.M. i nomi piu’noti), i numi tutelari tutti al loro posto, con qualche sorprendente elemento sonoro inaspettato (i Velvet e mr.Reed, Dylan e via discorrendo.”Make It Right”, “Cherry Avenue”,”You’re Halfway There”, “Making Good On My Promises” tra i titoli piu’interessanti ai primi ascolti, gli altri…beh emergeranno di sicuro. Perchè chi ben sa fare, lo si sente nel tempo. E Wynn, ancora una volta, non delude.
Albino Cibelli
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