FONTAINES D.C. – ROMANCE
(indie-rock)
Uscite discografiche che inevitabilmente iniziano con la band del momento. Premetto che non sono mai stato troppo entusiasta della proposta dei Fontaines D.C., ritenendola, fin dall’inizio, troppo limitata nei suoi mezzi espressivi. Ora che, con questo quarto disco, i dublinesi decidono di uscire definitivamente dai confini del post-punk, certamente hanno fatto la scelta giusta, ma il problema di cui sopra rimane anche in questa nuova veste meno legata a dei canoni stilistici precisi.
Queste nuove undici canzoni, infatti, si focalizzano troppo su un set di “trucchi del mestiere” proprio di un certo modo di fare musica che aveva trovato la propria massima espressione nella seconda metà degli anni Novanta. Parlo di quel modo di fare indie-rock che sfruttava la combinazione tra barocchismi e dissonanze per coinvolgere chi ascolta dando emozioni forti. Tra nomi universalmente noti come gli Smashing Pumpkins, altri abbastanza conosciuti tra gli appassionati, come i Modest Mouse o gli Wrens, e altri ancora appartenenti alla nicchia del britpop e tardo britpop più ambizioso (Auteurs, Strangelove, South, qualcosa dei Mansun), è sempre fin troppo facile collegare ogni singolo momento di questo disco a qualcosa di già sentito.
sufficienza, ma non oltre
Di per sé, non sarebbe un male, soprattutto per uno come il sottoscritto che ha ancora quello dei Lemon Twigs come miglior disco del 2024, ma il punto è che un ricorso così massiccio al passato sarebbe giustificato solo con un songwriting forte, che ti sbatte in faccia melodie solide e trascinanti, ma così non è in questo caso, o al massimo lo è per le prime tre canzoni. Perché da lì in poi è notte fonda proprio dal punto di vista compositivo, con una piattezza sconcertante e una mancanza di scorrevolezza totale.
L’album si riprende un po’ negli ultimi tre brani, che non arrivano ai livelli del trittico iniziale ma sono comunque abbastanza piacevoli. In definitiva, mettendo sul piatto della bilancia da un lato la bontà in astratto delle scelte stilistiche e la capacità di concretizzarle in modo soddisfacente in alcune canzoni, e dall’altro la scarsa qualità compositiva di quasi la metà dei brani e la personalità inesistente, posso assegnare la sufficienza piena con un po’ di generosità. Oltre è assolutamente impossibile andare.
Stefano Bartolotta
HOLY TONGUE MEETS SHACKLETON – THE TUMBLING PSYCHIC JOY OF NOW
(dub, experimental)
Da un lato gli Holy Tongue, un album e tre ep all’attivo dal 2018, forieri di un suono dub psichedelico free form, innervato di free jazz e tanti altri umori, che trova la sua migliore espressione in sede live (tra le fila del trio, la nostra meravigliosamente instancabile Valentina Magaletti).
Dall’altro, Sam Shackleton, producer e discografico, partito un ventennio fa da territori dubstep e oggi divenuto uno dei nomi dell’elettronica tout court piu’celebrati dalla critica grazie anche a una lunga e variegata lista di collaborazioni inanellate lungo il percorso (è di fine giugno “Jinxed By Being”,con il folksinger psichedelico Ben Chasny, aka Six Organs Of Admittance).
Galeotto è stato l’incontro durante un festival in Svezia: dall’iniziale idea di un remix si è giunti a un album il cui risultato, come si dice solitamente in questi casi, è piu’della somma delle singole parti: un rituale che libera i sensi per 40 minuti circa, rendendo al meglio il feeling di eccitazione ed avventura che è alla base di ogni incontro riuscito bene, come questo. Se cercate un disco “viaggione” per questo weekend, fate che sia questo.
Albino Cibelli
MAGDALENA BAY – IMAGINAL DISK
(synth pop)
Uscite discografiche con il ritorno dei Magdalena Bay. La coppia si è incontrata al liceo e da allora ruota l’una intorno all’altra nella vita, nell’amore e nella musica. Su Imaginal Disk, la gloria della loro unità viene celebrata con ogni traccia mentre si tengono per mano e vagano in lungo e largo sul significato di pop. Divertimento, sperimentazione, gioia e intrighi più profondi in un attento equilibrio. Un disco sereno per giornate estive tra cocktail e mare.
Giovanni Aragona
SPIRIT OF BEEHIVE – YOU’LL HAVE TO LOSE SOMETHING
(indie-rock, neo psych)
Emersi nell’ormai lontano 2014, con il loro debutto omonimo, gli Spirit of the Beehive si sono affermati come curatori, collagisti, attingendo al rock psichedelico, al metal, al post-punk e alla tavolozza industriale. Un disco pieno di influenze (Elliott Smith, Animal Collective e Wilco su tutti) ben suonato capace di passare da momenti di serenità al controbilancianto di momenti di puro terrore esistenziale. Nonostante la sua natura profondamente multiforme, questo è un lavoro complesso e ben articolato: un disco che vorremmo tanto suonasse in un film di Lars Von Trier, sarebbe stupendo.
Giovanni Aragona
MELT-BANANA – 3 + 5
(noise, experimental rock)
Non potevamo non parlare di questa band in queste uscite discografiche di settimana. Motivo? da queste parti apprezziamo da sempre chi ha coraggio ed estro. Se nei primi dischi i giapponesi Melt-Banana suonavano come una bomba che esplodeva: vignette grindcore deformate, consegnate alla velocità della luce ma alimentate dalla eccentrica angolare del noise rock e di altre fonti d’avanguardia, oggi le cose non sono mica cambiate. Se siete appassionati di questo filone questo disco fa per voi, in alternativa non pigiate neanche per pochi secondi il tasto play. 3+5 è un’ondata di acido composto da trash, garage punk ad altissimo tasso di synth: la colonna sonora perfetta per uno sparatutto targato, ovviamente, Treasure.
Giovanni Aragona
ILLUMINATI HOTTIES – POWER
(pop)
Dall’ultima uscita a nome Illuminati Hotties, Sarah Tudzin ha ottenuto riscontri importantissimi come produttrice, prestando il proprio lavoro su album di grande successo, a cominciare da quello delle boygenius, e proseguendo con Weyes Blood, Speedy Ortiz e Cloud Nothings.
Questo, per fortuna, non le ha impedito di lavorare al nuovo disco del proprio lato performativo, e dico per fortuna perché un pop così immediato e di qualità non è facile da reperire oggigiorno, e ascoltare canzoni che istantaneamente si appiccicano al cervello è sempre cosa buona e giusta e non se ne ha mai abbastanza. Tudzin non si inventa niente, ma piazza una serie di melodie efficacissime e di interpretazioni perfettamente azzeccate, perché, come quando in cucina abbiamo un’ottima materia prima, non bisogna esagerare coi condimenti e le sofisticazioni, e così in musica, con idee compositive di questo livello, la cosa migliore che si possa fare è metterle il più possibile in primo piano, con arrangiamenti diretti e semplici e un timbro vocale che bilancia al meglio dolcezze e sfrontatezza.
E così, ecco le chitarre e le tastiere che vanno invariabilmente dritte al punto senza esagerare o strafare, ecco la ritmica che fa viaggiare il tutto alla velocità ideale, e, come detto, non serve altro per amare istantaneamente canzoni ispiratissime. Un grande ritorno e la necessaria dose di pop per affrontare quest’ultimo mese dell’estate.
Stefano Bartolotta
GIANT DAY – GLASS NARCISUSS
(indie pop)
E’ sempre un bel giorno quando si puo’ solo nominare il collettivo Elephant 6 e l’occasione ce la fornisce questo weekend con il debutto del duo Giant Day formato dalla vocalist Emily Growden e da Derek Almstead. Non è un caso quindi che si ascolti un lavoro di psychedelic-wave-pop che offre anche una peculiare visione della scrittura dei pezzi anche in studio di registrazione, ben meditata anche per via dei tempi di realizzazione che si son dilatati per via della pandemia (la prima stesura di alcuni brani è del 2018).
Si stagliano fra le altre la lunga e fluttuante “Patience”, che dura piu’ di 6 minuti ma sfuma in una coda strumentale di ulteriori due minuti dominata dai synth che è la traccia successiva, “Reflections On Kettle Black”, “Ignore The Flood”, sulle catastrofi naturali causate dall’incuranza dell’uomo, e l’ipnotica “Walk With A Shadow”. Una piccola gemma di disco da non sottostimare.
Albino Cibelli
CHIME SCHOOL – THE BOY WHO RAN THE PAISLEY HOTEL
(jangle pop)
Da San Francisco con melodica passione, Andy Pastalaniec ritorna per la seconda volta in tre anni con un album a firma Chime School. Nulla é cambiato, e se si avrà bisogno di un ideale sole caldo nel bel mezzo di un gelido inverno, ammesso esistano ancora, possiamo fare affidamento anche su di lui e i suoi sodali, e sul jingle jangle da manuale delle sue dodici corde, come genere impone.
Amanti di C86, Teenage Fanclub e altre migliaia di sigle in scia di ieri e di oggi, magari provenienti proprio dalla Bay Area che tante soddisfazioni offre negli ultimi anni, avremmo potuto dirla tutta già solo menzionando l’etichetta Slumberland Records.
Albino Cibelli
THE SOFTIES – THE BED I MADE
(twee-pop)
Il letto che ci han preparato Rose Melberg e Jen Sbragia per il loro ritorno è soffice e dolce esattamente come l’ultima volta 25 anni fa, quando Portland e la scena indipendente del Northwest erano in piena fioritura e si’, Elliott Smith era ancora fra noi. Impossibile non solo menzionarlo quasi immancabilmente quando si nomina la musica della città dell’Oregon ma anche per quel tratto di sensibilità comune che unisce la sua musica a quella delle Softies.
Il disco che non aspettavamo, che non nasce con l’ansia di dimostrare qualcosa a chicchessia, ma di cui possiamo trovarci ad avere bisogno in giorni cinici e spersonalizzanti come questi. Una terapia di pop minimale e cinguettante, per due voci e due chitarre lievi lievi. Mezz’ora per augurarsi un sonno altrettanto soffice e dolce.
Albino Cibelli
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