BETH GIBBONS – LIVES OUTGROW
(singer, songwriter, chamber folk, baroque pop)
Uscite discografiche del venerdì con il tanto atteso album solista di Beth Gibbons, meravigliosa voce dei Portishead. Il risultato, fin dal primo accordo, è commovente: c’è qualcosa di etereo e di magico nella voce della Gibbons, e questo intero disco (pur non suonando trip hop) spiega il perchè un tratto sonoro cosi piacevole ma al contempo inquietante, ha reso il genere trip hop un fenomeno proiettando i Portishead al successo globale.
In questo lavoro Beth fa un salto negli inferi del folk barocco e, supportata dal talento versatile del batterista veterano Lee Harris e dal produttore James Ford, Lives Outgrow è una testimonianza vivida del fatto che la voce della Gibbons è tra le più importanti nella storia della musica moderna, sia liricamente che sonicamente. La dicotomia di luce e oscurità è il punto focale di tutto l’album, poiché vediamo tutte le diverse forme in cui si manifesta il cambiamento e l’evoluzione di un disco così magistralmente pensato. Da”Lost Changes”, valzer capace di attraversare le stagioni del cambiamento al più abrasivo e oscuro “Rewind”, tutto è ben cesellato per un risultato definitivo che squarcia l’anima. Meraviglioso.
SHELLAC – TO ALL TRAINS
(post hardcore, math rock)
Parlare al passato di Steve Albini non solo ci sembra surreale ma fa malissimo. A distanza di appena nove giorni dall’improvvisa scomparsa di uno dei personaggi più importanti della storia dell’alternative, questo è il primo disco postumo degli Shellac. To All Trains non vuole essere un banale epitaffio nei confronti di un’artista e di una band fondamentale, ma è un lavoro completo e ben pensato. L’album è la quintessenza di un’intera carriera e mostra la band nel modo più conciso, diretto e distinto di sempre.
Sia Albini che il fedele Weston forniscono la voce per l’album, e ogni cantante fornisce una tonalità emotiva diversa che funziona a suo vantaggio: laddove Albini è sarcastico, Weston è molto più arioso e positivo, e il livello di varietà è notevole. Canzoni asciugate rispetto al passato, il che è lontano dai cicli esplorativi di dieci minuti del passato, e suoni meno graffianti, per l’ultimo, indimenticabile, graffio di un’artista ormai già entrato nella storia della musica.
BILLIE EILISH – HIT ME HARD AND SOFT
(alt pop)
Billie Eillish non è più l’adolescente irrequieta e ribelle dell’ottimo esordio del 2019. When we all fall asleep, where do we go?, e il nuovo lavoro in studio in uscita oggi ne è la riprova. Hit Me Hard And Soft riprende il discorso esattamente da dove l’artista americana lo aveva lasciato tre anni fa con Happier Than Ever; il nuovo disco si apre infatti con un brano morbido e sospeso che si allaccia alla chiusura del disco precedente. L’opener, Skinny, è modellata da una chitarra elegantissima che, impreziosita dagli archi di Attacca Quartet, ricama un tappeto su cui la Eillish cammina fra sussurri e pathos.
L’album è essenziale, sia nella durata che nella composizione. Quello proposto è un pop raffinato e sinuoso, con un perfetto bilanciamento tra ballad evanescenti, Blue, e brani più strutturati, Bittersuite; si riconosce in questo l’impeccabile lavoro del fratello Finneas, che cura la produzione in maniera esemplare. ‘Cura’ è in effetti la parola chiave di questo LP; l’attenzione riposta nei dettagli permette a Hit Me Hard And Soft di splendere più di altre mega produzioni già uscite quest’anno, ma penalizzate dalla troppa fretta esecutiva.
L’intimità del disco, in cui Eillish racconta il suo percorso di crescita, l’amore e le difficoltà di una vita esposta al pubblico, viene resa da sonorità leggere e malleabili, ma in brani come il singolare The Diner, ritorna preponderante una eco dell’oscurità degli esordi che contribuisce a rendere il lavoro più complesso e intrigante. Se con il secondo album c’era stato un cambio di rotta, non ben digerito da molti, questo terzo album sembra quasi una crasi fra i due precedenti lavori, il risultato è quello di un disco ben realizzato, ritratto di un’artista già affermata ma in evoluzione.
(Chiara Luzi)
OF MONTREAL – LADY ON THE CUSP
(indie pop, art pop)
La carriera di Kevin Barnes è prolifica come poche e se, a quasi 30 anni di carriera accostiamo 20 album, i numeri sono di quelli importanti. In questo nuovo lavoro Barnes ha quasi fatto tutto interamente da sé e il risultato non è memorabile ma neanche scarso. Sembrano lontani i tempi del grande successo di metà 2000 degli Of Montreal, e la musica del nostro eroe ha affrontato troppe sfide: dai tanti musicisti alternati da contestuali passi falsi. Anche se canzoni come la turbolenta “I Can Read Smoke” e l’ elettronica “Poetry Surf” spingono bene e su territori interessanti, Barnes opta quasi sempre per la confort zone con i soliti trucchi dance pop. Lady On The Cusp piacerà ai fan nostalgici ma verrà snobbato dai neofiti.
CRUMB – AMAMA
(indie pop, psych pop)
Da questi parti apprezziamo così tanto i Crumb, tanto da piazzare questo Amama tra i migliori lavori della settimana. Il collettivo inanella un nuovo sensuale frammento di psych-pop spaziale; una sorta di lineare continuazione della loro sperimentazione già avviata con il delizioso Ice Melt del 2021.
L’estetica fredda e cerebrale dei Crumb fa stare bene e l’ariosità che traspare nel jazz-like del loro suono, suscita quel piacevole senso di astrazione dal mondo che serve. Non lasciatevi però ingannare dal miele e dallo zucchero, i Crumb sono una grande band e la cantante e polistrumentista Lila Ramani ha talento da vendere e da insegnare. In Amama la band funziona bene su tutti i punti di vista anche quando l’ascoltatore viene avvolto da un suono inquietante e dissonante. La prova del nove sarà assistere a un loro live, il disco non solo ha funzionato ma è tra i migliori lavori di questo 2024.
LIP CRITIC – HEX DEALER
(digital hardcore punk)
Un disco che suggeriamo, in questo venerdì di uscite discografiche intensissimo, solo agli appassionati. Se vi affascina la fusione di hardcore punk con la techno questo lavoro renderà il vostro week end interessante – specialmente se vi affascinano le produzione in stile Death Grips. Gli abbaii pitch-shifted del frontman Bret Kaser terrorizzano e incitano le folle, e se aggiungete il doppio tamburo queste canzoni prosperano e accattivano. Provate a viverli dal vivo e cercate di uscire vivi dal Pogo.
I HATE MY VILLAGE – NEVERMIND THE TEMPO
(alternative rock)
Tornano in pista Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena). e rimettono in piedi il progetto meno convenzionale del panorama musicale italiano: I Hate My Village. Nevermind the Tempo non segue nessuna logica temporale e musicale: è distorto, contorto, visionario, lisergico e allucinato, dall’inizio alla fine. Non un semplice disco ma una sorta di universo parallelo fatto di tante porte da aprire in cui scoprirete stanze che vi condurranno in mondi paralleli. Tra le migliori uscite discografiche italiane del 2024, chapeau.
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