ARAB STRAP – I’M TOTALLY FINE WITH IT DON’T GIVE A FUCK ANYMORE
(slowcore, indietronica, alternative rock)
Uscite discografiche con una band che ci sta molto a cuore. Premessa: era impresa alquanto ardua fare meglio, o quasi, dell’ultimo lavoro pubblicato nel 2021 e da noi scelto come miglior disco di quel meraviglioso anno. A distanza di tre anni ci troviamo ancora qui a parlare di un nuovo, meraviglioso, disco degli Arab Strap. Anche se si stanno muovendo in una nuova fase della vita, rispetto al passo, la band rimane esperta nel raccontare il mondo che li circonda.
Moffat è probabilmente uno dei migliori osservatori lirici di questa generazione, e pochi sono capaci di tramutare le minuzie insignificanti dell’ordinario noioso in poesia. Con la chitarra malinconica di Malcolm Middleton al cuore e la nitida autoconsapevolezza che caratterizza il loro sound, la band è riuscita anche questa volta ad incastrare una serie di canzoni che non offrono risposte, ma osservano le condizioni e il comportamento in modo chiaro e poetico sulla vita. Pochi artisti riescono ad adottare la personalità da uomini di mezza età capaci anche di catapultarsi e di tenere il passo con la società moderna in maniera così dirompente. Ennesimo grande album.
(Giovanni Aragona)
ORVILLE PECK – STAMPEDE VOL.1
(country rock)
Sin dagli esordi Orville Peck si è ricavato uno spazio esclusivo all’interno del vasto universo country. Originale interprete del genere, Peck ha creato una dimensione originale filtrando il country attraverso una lente personale, senza mai snaturarne le radici. Fresco di contratto con la Warner Records, Peck pubblica oggi Stampede vol. 1, il primo album di un più ampio progetto di duetti.
Il disco è composto da sette pezzi, di cui due cover, dettaglio che rende l’ascolto molto semplice, permettendo di rimanere ben focalizzati sui contenuti. L’album si apre con la cover di un classico di Ned Sublette, Cowboys Are Frequently Secretly Fond Of Each Other, un vero e proprio inno gay che Peck esegue perfettamente assieme a Willie Nelson – che a sua volta aveva già reinterpretato il brano qualche anno fa.
Ospiti al seguito di Orville Peck
Il disco è in realtà molto stratificato, Peck accoglie i suoi ospiti in maniera calorosa; ognuno aggiunge un tassello peculiare ad un lavoro che fa della contaminazione dei generi la sua colonna portante. Passando attraverso le influenze Jazzy dell’affiatato duetto con Allison Russel, Chemical Sunset, e quelle latine di Bu Cuaron, Miènteme, Peck dimostra di essere un versatile interprete, capace di adattare il suo timbro alla Elvis ad ogni esigenza.
L’altra cover è una ottima Saturday Night’s Alright (For Fighting) in cui fa la sua apparizione Sir Elton John in persona che traina il suo stesso brano in una direzione esplosiva. Peck ha realizzato un buon lavoro, aspettiamo il secondo volume per capire come andrà a finire questo racconto.
(Chiara Luzi)
KINGS OF LEON – CAN WE PLEASE HAVE FUN
(southern rock, garage rock)
Il vero punto di forza dei Kings of Leon resterà sempre: “non prendiamoci sul serio e divertiamoci”.Questa strategia ha prodotto una musica rock molto divertente nell’ultimo quarto di secolo e anche in questo nuovo disco il gruppo inserisce tutti gli ingredienti stuzzicanti per questa ennesima ricetta zuccherosa, forse anche troppo.
Dopo la loro comparsa iniziale in mezzo alla scena indie rock dei primi anni 2000 – e la famigerata caratterizzazione come “Southern Strokes” – la band ha prodotto una manciata di successi radiofonici che hanno riempito i conti in banca del gruppo.
L’album trasuda troppa gioia gratuita, un sacco di mescoloni country e rock classico, e una spinta ripetitiva Krautrock ta tavolo di mixaggio che risulta a tratti fuori luogo. Se siete fan ascoltate ma non è questa l’uscita da incorniciare in questa settimana di uscite discografiche.
(Giovanni Aragona)
LES SAVY FAV – OUI, LSF
(indie-rock, post-punk)
L’inzio di questo disco dei Les Savy Fav lascia ben sperare, ma il resto meno. Nel momento in cui suona “Guzzle Blood”, sembra essere legati a un nuovo tipo di rock. Il modo in cui una sirena della polizia viene messa in loop e poi accompagnata da chitarra, batteria e voce dà un innegabile suono punk ma si ottiene in modo eccitante e innovativo.
Mentre queste deviazioni sono benvenute, sono troppo poche e lontane tra loro per avere un impatto sulla ricezione complessiva di questo disco, che, sfortunatamente, si presenta come leggermente tirato fuori a caso È un ottimo lavoro da cui immergersi dentro per poi riuscire, ma non servirà come ascolto completo perché semplicemente non c’è abbastanza materiale interessante per mantenere un ascoltatore impegnato a lungo.
(Giovanni Aragona)
HOW TO DRESS WELL – I M TOWARD YOU
(dream pop, ambient)
Giunto al suo quinto album, e il primo dopo una lunga pausa, How To Dress Well torna in pista per creare un mondo ambientale e atmosferico che spesso sembra più una cosa viva e respirante che qualsiasi registrazione catturata e congelata. Dall’inizio alla fine si respira spiritualità da ogni angolo e il tutto è abbinato da una fortissima energia. Guardando i piccoli dettagli e l’introspezione più stretta, Il gioco tra intimità, dream pop e atmosfera si presta a un ascolto ambientale davvero interessante che alla lunga, però, potrebbe tediare anche gli appassionati. Da centellinare.
(Giovanni Aragona)
AMEN DUNES – DEATH JOKES
(art pop, psych pop, electro rock)
Serviva qualsosa di piacevolmente malsano in questo venerdì’. Death Jokes è una svolta a sinistra stridente per Damon McMahon. Sono passati sei anni da Freedom, la sua versione euforica di una carriera. Se questo follow-up irrequieto è qualcosa da consumare, allo stesso è il prodotto di una mente molto impegnata. Le chitarre classiche e lo sweep cinematografico sono sostituiti dall’elettronica che è spesso frammentata e mutilata da interferenze. McMahon è stato alle prese con la malattia e da una pandemia mentre concepiva l’album e il risultato è questo disco inquieto ed irrequieto che ci è piaciuto tantissimo.
(Giovanni Aragona)
DEHD – POETRY
(garage rock, indie-rock)
Nel loro quinto album Poetry, il trio di Chicago dei Dehd – composto da Jason Balla, Emily Kempf ed Eric McGrady – esplora la dualità del sentimento umano, tra quello che fa male e il risultato da esso provocato, e in questa settimana di uscite discografiche questo disco ci sta bene. La poesia è disordinata, impenitente e vividamente emotiva e la band stessa ha descritto questo disco come una colonna sonora per “aprirsi a tutte le esperienze”. Dopo aver ascoltato le sue 14 tracce caleidoscopiche, la sensazione è quella di assistere a una finalmente fase di maturità di una band ancora poco conosciuta.
Balla, Kempf e McGrady si sono avvicinati alla registrazione in modo diverso questa volta, con il produttore Ziyad Asrar arruolato per dirigere il disco insieme a Balla. È la prima volta che qualcuno al di fuori della band è stato coinvolto nel processo di registrazione, e finalmente il suono è omogeneo e fluido.
(Giovanni Aragona)
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