Un viaggio nell’anima, l’andata e ritorno di ‘Whiskey for the Holy Ghost’ di Mark Lanegan


Secondo disco di
Mark Lanegan, Whiskey for the Holy Ghost viene pubblicato il 18 gennaio 1994, a tre anni dall’album d’esordio come solista, dopo una gestazione piuttosto sofferta. Al primo ascolto vien voglia di sedersi a un tavolo con un bicchiere in mano, meglio se soli – o tutt’al più in compagnia dei propri fantasmi, come suggerisce il titolo – e da qui far scorrere, fra un sorso e un altro, i miracoli e gli stenti della nostra vita; ti vien voglia quasi di tirare le somme con te stesso, in uno sprazzo di sincerità che solo l’alcol ti può dare. E poi, sei solo, e non devi raccontarla a nessuno, anche se quei demoni che sentivi così forti li puoi guardare negli occhi e spazzarli via con un soffio, ormai. è questo il mood dell’album, un monologo ininterrotto dove la lirica grunge si sposa con arrangiamenti country.

Più dark di Jeff Buckley, meno dannato di un Cobain, Mark Lanegan – vocalist degli Screaming Trees e dei Queens of the Stone Age nei Duemila – srotola e riavvolge il nastro della sua esistenza in un unico e intimo album che si divora in solitaria mentre ci si scalda l’anima davanti al camino o mentre si è seduti sul sedile del passeggero affianco a un compagno che ha capito tutto senza aver ascoltato nulla di ciò che avresti voluto confessargli. Siete su una strada senza fine e dinanzi a voi il cielo diviene uno schermo infuocato dal sole nascente, il clima è disteso, non c’è migliore accompagnamento per il vostro viaggio di Sunrise con il sax e i cori che lasciano un’eco nel disco The Night dei Morphine. Inebriati dal viaggio, la vostra colonna sonora è Borracho, contrappunto vitalistico della struggente The River Rise, prima della tracklist, che ci introduce al brano con un’intro fatta di fischi e carillon stridenti. Il prosieguo è altra cosa, malinconia da cowboy, rassegnazione nascosta in una manciata di versi.La strada prosegue e porta verso Carnival un breve capolavoro ricamato da linee di archi che a differenza di House a Home – brano country-rock nel canone – incalzano il ritmo e ne mantengono l’intensità sostenendo il crescendo vocale di un’affermazione del sé, di un’attestazione dell’esserci nonostante tutto.
Con Riding the Nightingale si ritorna ai ritmi low diretti dalla voce strusciata di un Lanegan sul baratro delle emozioni; una voce che si consuma, a tratti, per riprendere le fila del brano con vocalizzi spremuti direttamente dalle viscere di un uomo. La voce suadente di Lanegan si insinua nelle crepe dell’anima e ivi si incolla cercando di sanare delle ferite che possono ancora guarire. Tutto suona assolutamente sincero. Anche la voce di carta vetrata di Dead on You per cui il nostro songwriter è celebre. La voce di un uomo che ha raggiunto la fine della strada e che è tornato indietro per godersi il viaggio.
Martina Lolli 

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