Todays Festival 2021 | Il report dell’intera rassegna

Organizzare un festival musicale di 4 giorni, con artisti internazionali, al tempo della pandemia? Sembrava un’impresa folle e titanica. Noi di Infinite-Jest amiamo le imprese folli e, citando Erasmo da Rotterdam, le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia. Visionarietà percepita nello staff del TOdays e nel suo organizzatore, Gianluca Gozzi. Siamo felici di aver lavorato al fianco di questo meraviglioso team.

Alle consuete incombenze andava aggiunta la gestione degli obblighi legati al COVID (distanziamento, mascherine, Green Pass, etc.) più gli inevitabili imprevisti  (puntualmente verificatisi, brillantemente risolti).

A bocce ferme e con ancora ben presenti in mente suoni e immagini, si può affermare che quella di Gianluca Gozzi e dello staff  è stata una scommessa stravinta: tutte le giornate sold out, organizzazione impeccabile, security attenta ma non oppressiva, esibizioni mediamente eccellenti. E un senso generale di ritorno alla vita e alla normalità che ha accomunato tutti i presenti, accorsi da ogni parte d’Italia per prendere parte ad un rito che mancava da troppo tempo.

Veniamo al racconto dell’evento, giornata per giornata.

a cura di Giovanni Aragona e Gabriele Marramà 
foto di Giuseppe Iacobaci

 

16:45:35  – 07/09/2021


Giovedì

Tocca all’islandese Asgeir aprire le danze. Fa il suo, con canzoni ben costruite, una bella voce e suoni contemporanei, ma è penalizzato dallo scarso pubblico, ancora impegnato con le procedure d’ingresso. Arriva il primo botto. C’era curiosità nel vedere come la formula particolare dei Dry Cleaning avrebbe retto all’impatto col live show. Centro pieno, consenso unanime e prima grande performance del festival. Florence Shaw ha un carisma naturale pazzesco, sta lì statuaria con i primi stracci trovati per casa ma ammalia e incanta, un po’ Laurie Anderson e un po’ Patti Smith. Attorno a lei la band costruisce trame post-punk articolate ma fruibili ed efficacissime.

Chiude la prima serata Andrea Laszlo De Simone. Giustifica l’hype creato con l’annuncio del ritiro temporaneo dalle scene con uno show ricco di contenuti. Band extra-large, suoni vintage ma contemporanei, lui in completo bianco aperto, come un Alan Sorrenti a cavallo tra il periodo hippie e la svolta disco.

Venerdì

Il sole al tramonto incornicia la bella performance degli I Hate My Village. Il supergruppo (Viterbini, Rondanini, Fasolo e Ferrari, mezza storia dell’indie italiano) rapisce con il loro impasto sonoro, che unisce afro-beat, touareg sound, psichedelia e colonne sonore in un mix personalissimo e coinvolgente, tecnica ed empatia che vanno a braccetto.

Giudicare il set degli attesissimi Black Midi, che seguono, non è semplice. Cominciamo dai pregi: tecnica strumentale mostruosa e una quantità enorme di idee e intuizioni musicali. Forse troppe, questo è il problema. A volte danno l’impressione di voler strafare, di voler dimostrare di essere bravi invece di comunicare cosa sono, come quando piazzano un pezzo blues assolutamente fuori contesto o si lanciano in tirate prog-metal poco digeribili. Ma sono giovanissimi e sicuramente, limati certi eccessi e trovata una strada musicale più riconoscibile, hanno il futuro dalla loro parte.

Arriva Teho Teardo e si entra in territori sonori inusuali e affascinanti. Il musicista friulano presenta in anteprima il suo nuovo progetto, l’insonorizzazione del corto di culto La Jetèe di Chris Marker, preceduto dal corto A Man Falling, girato dallo stesso Teardo con Orazio Guarino. L’interazione tra musica (con Teardo anche una violista e una violoncellista) e immagini è particolarmente riuscita e trasporta il pubblico in un’altra dimensione, magica e surreale.

Sabato

La giornata di sabato si apre con il live, al Peccei, di Tutti Fenomeni. Amici narrano di un live interessante e di una messa in atto di quel “processo semantico” che ha costruito sapientemente nell’ottimo album ,Merce Funebre. Giorgio (vero nome dell’artista) ha la dimestichezza di chi è navigato e la consapevolezza di aver saputo proporsi in un territorio musicale già abbondante di proposte.

Arriviamo alle 20 precise direzione sPazio 211, trepidanti di assistere all’opera confezionata da Iosonouncane (già da noi di Infinite Jest promosso a miglior album italiano nei primi sei mesi del 2021). IRA scivola via in un flusso metafisico di suoni e rumori senza intermittenze. Jacopo Incani (e soci) utilizza con finezza una tecnica sonora sopraffina compiendo studi ed esperimenti in presa diretta per arrivare a operare in un ibrido sonoro nel quale si districa con maturità e lucidità una realtà parallela, anticamera di una dimensione temporale alternativa. Maestoso.

The Comet is Coming, il progetto di Shabaka Hutchings, re del nu jazz britannico, catalizza tutte le energie disponibili di un pubblico attento e partecipe. Il live èun’esplosione di nu jazz ed elettronica, tra assoli e virtuosismi. Il live dei The Comet is Coming è, per distacco, un abecedario di semantica musicale post-moderna, una sorta di pagina memorabile – e a tratti bulimica –  di jazz-non jazz contemporaneo da raccontare ai nipoti. Suoni deliranti, sax stroboscopico e acidità sonora in un concentrato potentissimo di tecnica e grinta.

L’esibizione dei The Comet is Coming:

Il finale dell’esibizione di Iosonouncane:

 

Domenica

L’ultima giornata inizia con Erlend Øye. Il norvegese ormai siculo di adozione è il cugino divertente che vorresti sempre presente alle riunioni di famiglia per svoltarti la serata. Si presenta con la sua comitiva di amici italiani, due chitarre e due ukulele, proponendo un set leggero e gradevole, pop con influssi brasiliani. Il contesto migliore per gustarlo magari sarebbe il giardino della sua casa ad Ortigia, sdraiati su un’amaca, ma va bene anche qui.

Motta è l’impersonificazione dell’indie italico odierno, un animale ibrido con il piede in due staffe. Da una parte la credibilità underground che giustifica ampiamente la sua presenza qui, dall’altro sonorità che fanno l’occhiolino al pop mainstream e che probabilmente a breve lo porteranno verso altri lidi. Lui è bravo e sul palco ci sa stare, ma per una parte del pubblico resta l’impressione che il suo posto non sia più qui.

Ci si avvia al termine, serve un finale col botto. C’è. Ho visto il passato del rock’n’roll ed è bello che sia ancora qui, nel presente. Gli Shame sono 5 teppistelli di periferia, senza nessun talento se non quello di saper infiammare cuori e anime di chi li ascolta, come i giovani Rolling Stones e centinaia di altri meno famosi. Il batterista pesta a petto nudo come Keith Moon, il bassista corre da una parte all’altra del palco e fa le capriole, i 2 chitarristi macinano riff in quantità industriale.

Poi c’è lui, Charlie, che ha le movenze di Ian Curtis e la ferocia di Mark E. Smith. Tiene la scena da consumato performer, arringa l’audience che risponde alzandosi in piedi sulle sedie e cantando a squarciagola. Concerto così ci ricordano perchè ci siamo innamorati del rock’n’roll e perchè perseveriamo a sbatterci in giro per i festivals anche alla nostra veneranda età. Cala il sipario, ci si saluta e ci si dà l’appuntamento all’anno prossimo (sempre al fianco di TOdays, sottopalco, e possibilmente non distanziati). 

 

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