Il Fabrique prepara la scena per The Tallest Man on Earth. Un palco intimo accompagnato da luci basse. È così che il cantautore svedese vuole essere accolto.
10:12:14 – 08/05/2023
Bastano le prime note di “The Wild Hunt“, intime e delicate, a far fremere il pubblico. Non a caso è stato paragonato al primo Bob Dylan, lo ricorda più che mai in “The Gardener” e perché no, con le note profonde e oscure di “Rivers”, anche Johnny Cash.
Un evento senza pretese, ma non per questo le aspettative dei fan erano meno modeste. Un pubblico che ha saputo attendere, accompagnare e incitare Kristian Matsson per tutta la durata dell’evento. E’ tornato il folk indie. O forse… non è mai andato via.
Due ore di pura ballata che hanno fatto viaggiare i fan dalla Svezia al North Carolina. Battiti di mani e voci delicate e decise hanno fatto da base ai brani della band. Con la sua “Looking for Love” a tratti ha rievocato il mondo di Andrew Bird. Indubbiamente il cantautore ha voluto portare il pubblico a conoscere la parte più vera di sé… fatta di luoghi incontaminati e sentimenti profondi e lo fa con la magica e delicata “Henry St.”. Perché l’uomo più alto del mondo, che altro non è, come ha lui stesso dichiarato, “just a dreamer”, sta meglio su un palco tra pochi intimi che esposto e indifeso sul tetto del mondo.
La morale del folk di Matsson
Un concerto è la descrizione di un attimo: programmazione e improvvisazione, con lo scopo di raggiungere quel lampo di rara allegria, un momento per ritrovarsi e stare bene.
Ed è quello che accade quando sulle note di “Love is All” il palco si squarcia, Kristian viene colpito da un fulmine a ciel sereno e la voce si fa rauca. Le note più profonde di tutta la serata. Ed è la fine… quando intona “The Dreamer”. In fondo non c’è domani e non c’è oggi quando sei in mezzo alla gente che ti ama: “And why can’t that always be?” .
(Cristina Previte)
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