The Strokes – ‘The New Abnormal’

 

 

 

Etichetta: RCA Records
Genere: indie-rock
Release: 10 aprile

Di tutta quella deriva retromaniaca newyorkese, di cui gli Strokes erano gli eroi indiscussi, noi indie dei noughties ne eravamo assuefatti. Ci cibavamo di questo notte e giorno, e non abbiamo smesso di farlo, anche nell’epoca del consumismo digitalizzato. Detto questo, siamo sempre stati coscienti di quanto il Ventunesimo Secolo non sia mai stato una “terra di pionieri”. E come noi, Casablancas, artista che ha re-interpretato un intero decennio musicale in più forme, a più riprese, senza eessere mai riuscito a provare nostalgia per il passato della propria band. Almeno, fino a questo capitolo.

Back to the present 

Gli Strokes erano reduci dalla “Waterloo” che rappresentò Angles (2011), e da un album auto-indulgente come Comedown Machine (2013).  L’ultimo di questi era sicuramente solido, pieno di spunti interessanti (Tap Out e Welcome to Japan in cima), ma non povero di riempitivi. Il rimprovero più persistente dei fan, tuttavia, era quello di aver abbandonato “il periodo d’oro” in favore dei sintetizzatori massivi: l’armonizzazione, piatto della casa, era diventato un fattore sintetico e molto artificioso. Per parlare di quello che è successo dopo, non possiamo che collegarci al breve EP uscito nel 2016, contenente tre ottimi brani. Future, Present, Past, EP era già colmo di un disagio interiore che poneva gli Strokes in tre linee temporali ideali. Stava ai fan scegliere la loro favorita, mentre tra un progetto satellite e l’altro lasciavano volentieri regnare l’entropia. Arriviamo così a The New Abnormal.

“La carta” Rick Rubin 

Questo disco è un fuoriprogramma, perché tra tutte le situazioni possibili apre allo scenario meno verosimile: la mediazione. Un dialogo continuativo tra gli stessi componenti, cosa che prima era impensabile, e per cui hanno provato a giocare la decisiva “Carta Rubin“. Ma prima di questo, The New Abnormal è un continuo interagire tra loro e i fan dei primi tre album, il che lo colloca in una dimensione “meta”. Questo accade praticamente in tutte le tracce, e quando non accade esplicitamente sono gli stessi versi e le sonorità a rimandare a brani di altri lavori: una menzione d’onore la merita la solenne At The Door, dove ci sono riferimenti significativi sia ad Angles (!!!) che ad un brano come On The Other Side (First Impressions of Earth)

Un sincero lavoro di gruppo

L’ultima fatica degli Strokes è composta specialmente da memorie, innumerevoli porte aperte/chiuse, di consapevolezze mai ottenute del tutto. È l’album che ci sbatte addosso le nevrosi di un Casablancas emotivamente sull’orlo: le liriche ci mostrano un uomo in grado di capire gli errori derivati dai comportamenti disfunzionali con la sua ex moglie moglie Juliet, ma anche con amici e familiari. Ci fa, in qualche modo, amare il suo modo così imperfetto di essere (umano). Tutti i brani sono firmati, per la prima volta, con il nome della band, eppure non abbiamo mai visto così a fuoco il loro frontman: la sua estensione vocale è da brividi e ce lo dimostra a più riprese, senza che l’intonazione ne risenta. Per fare degli esempi citiamo il brano più strokesiano del lotto, The Adults Are Talking, dove i vocalismi vanno oltre le aspettative; dimostra uno stato titanico anche in Eternal Summer: il pezzo più lungo mai composto dagli Strokes, riarrangiamento totale di The Ghost in You degli Psychedelic Furs. Da segnalare quanto i droni cupi e dissonanti, alla fine del brano, ci facciano vivere una sorta di San Junipero troppo crudele per essere reale.

Mine elegiache da dosare con cura

È bene sottolineare quanto The New Abnormal sia un album privo di riempitivi, sempre connesso con la propria essenza. “Pick up your gun/ Put up your gloves” recita ironicamente uno dei versi di Bad Decisions, chiaro riferimento alle copertine dei primi due album della band e a quanto i fan chiedessero a gran voce brani come quelli. Brani che riprendono le armonizzazioni dei bei tempi, ma che fanno anche i conti con la loro vena elettronica, come la splendida Brooklyn Bridge to Chorus (pezzo, questo sì, che avrebbe impreziosito Comedown Machine), e con la già citata At The Door.  La ottima Why Sundays are So Depressing? è una mina elegiaca da dosare con cura, che dà il benservito ai fan ostili, e prepara il preludio al gran finale. Due perle assolute chiudono il disco: You’re Not The Same Anymore e Ode To The Mets.

La prima è per Casablancas e soci quello che fu The Long Goodbye per John Williams. La seconda è il brano catartico, dedicato alla Grande Mela, che riepiloga un’epoca e lascia (a seguire bene il testo) con un amaro in bocca senza eguali. È vero, non ci aspettavamo un ritorno così agrodolce, però forse toccava proprio agli Strokes donarci un’opera così valida, così onesta. Un lavoro che non puoi, come succede abitualmente, consumare e lanciare nell’oblio. Un sentito “grazie”. 

 

Vincenzo Papeo

 

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