The Soft Cavalry – ‘The Soft Cavalry’

 


Genere: Dream Pop 

Etichetta: Bella Union Records
Release: 5 luglio

Alcuni puzzle sono talmente complicati da rimanere incompiuti per molto tempo prima che, con pazienza e illuminazione, venga trovato il tassello giusto, capace di incastrare perfettamente le tessere sparse che attendono di diventare parte di qualcosa di più grande. Questo concetto può essere perfettamente applicato alla genesi del primo album del duo composto da Rachel Goswell (già Slowdive) e dal marito, il musicista e tour manager Steve Clarke.

Il disco eponimo, uscito lo scorso 5 luglio per Bella Union Records, ha infatti alle spalle una storia complessa. Clarke aveva scritto alcuni pezzi che, considerati da lui stesso poco meritevoli di essere condivisi, erano rimasti incompiuti e messi a giacere in un angolo. L’elemento necessario alla risoluzione di questo intricato puzzle artistico è arrivato dalla Goswell. Come una sorta di musa, infatti, ha saputo fornire al marito il supporto spirituale e materiale per realizzare questo sublime lavoro.

I dodici pezzi che lo compongono si muovono in maniera fluida fra atmosfere dream pop, shoegaze e suggestioni post rock. Trasportando l’ascoltatore in un universo in cui si susseguono stati di tranquillità e ansia, il duo racconta le paure e le vulnerabilità, riuscendo sempre a mantenere una grande coerenza narrativa. Il morbido brano di apertura e primo singolo estratto, Dive, è modellato da chitarre riverberate e leggere che ci introducono nelle profonde acque del disco.

Come in un perfetto gioco di equilibrismi si cambia registro in Bulletproof, secondo brano e secondo estratto. Tra ritmi elettro pop, Clarke canta di quanto siamo fragili e di come nessuno di noi sia a prova di proiettile. E se per caso il concetto ci fosse sfuggito ce lo ricorda a metà album, nell’eterea Only In Dreams, una meravigliosa ballad sospesa, in cui piano e flauto creano una dimensione quasi Floydiana. Continuando questa alternanza di contrasti sonori, la seconda parte del disco assume toni più cupi, sopratutto in Spiders, dove compaiono eleganti archi a disegnare un’atmosfera notturna. Il lungo pezzo finale, The Ever Turning Wheel, torna ad aprirsi alla luce ma in realtà è il punto in cui tutti i dubbi esistenzialisti di Clarke trovano rifugio (“If only I could change the way I coun’t”). Si interroga, quasi come alla ricerca di una seconda possibilità.

In tutto il disco la voce di Rachel resta sempre sul fondo, non è mai invadente ma allo stesso tempo è un elemento fondamentale per la struttura di ogni pezzo. È lei che risuonando in maniera eterea, come d’altronde ci si aspetta che sia la voce di una musa, regala grazia e intensità a questo ottimo disco di debutto.

Chiara Luzi

 

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