‘Talking with the Taxman About Poetry’, Billy Bragg diventa grande

Talking with the Taxman about Poetry è il secondo album in studio di Billy Bragg realizzato il 22 settembre del ’86.

17:51:56  – 21/09/2022


Evoluzione

Ci sono, nelle carriere artistiche, veri e propri momenti di svolta, dischi spartiacque rispetto ai quali c’è un prima di promesse da mantenere e un dopo di aspettative difficili da confermare. Per Billy Bragg quel momento è datato 22 settembre 1986, quando esce Talking with The Taxman About Poetry, ‘The Difficult Third Album’, come evidenziato in copertina.

Prima si può dire che era il personaggio a prevalere sull’artista. Billy il nasone working class hero, lo one-man-Clash con la chitarra ammazzafascisti di Woody Guthrie, il lattaio della bontà umana della porta accanto. Con una formula sonora, nei primi due dischi,  spartana ma già molto efficace, capace di produrre canzoni memorabili come A New England e It Says Here. C’era però bisogno, per evitare di rimanere intrappolato in un clichè, di un salto di qualità. Che puntualmente avviene.

Crescita

Il disco prende il titolo da un poema di Vladimir Mayakovski e viene registrato tra maggio e luglio del 1986. La sfida della produzione, affidata a John Porter e Kenny Jones, fu quella di arricchire il suono senza snaturarlo, mantenendo l’ossatura basica delle canzoni e scegliendo canzone per canzone come utilizzare i numerosi ospiti presenti. Così Johnny Marr regala il suo suono a Greetings To The New Brunette e The Passion (dove c’è anche Kirsty MacColl alla voce) e Dave Woodhead infioretta Levi Stubbs’ Tears e The Marriage con tromba e filicorno.

Anche dal punto di vista testuale c’è una naturale evoluzione. Billy non è più il ragazzo ‘looking for another girl’, ha quasi 30 anni (e lo ribadisce in Honey, I’m a Big Boy now) e dedica spazio alle relazioni di coppia, oscillando (con titoli programmatici come The Passion e The Marriage) tra pulsioni emotive e convenzioni sociali. Poi verrà anche il tempo dello sconforto e del disincanto, ma non qui. Naturalmente non mancano i temi politici e sociali, dalla velenosa Ideology alla militante There Is a Power in a Union, rivolgendo anche un pensiero ai cugini d’oltremare con Help Save the Youth of America. Ma non è un comizio politico o un trattato sull’amore, questo è un disco di canzoni, splendide. Una su tutte.

Billy Bragg e la canzone

Levi Stubbs’ Tears è, per chi scrive, la più bella canzone degli anni 80 insieme a Shipbuilding di Costello/Wyatt. C’è un racconto perfettamente compiuto in 3 minuti e 31 secondi (un matrimonio sbagliato, un tentato omicidio, la solitudine) e c’è l’inno definitivo al potere salvifico della musica “when the world falls apart some things stay in place/Levi Stubbs’ tears run down his face”, con le citazioni di giganti del r’n’b come Holland/Dozier/Holland, Barrett Strong e i Four Tops. Una delle mille ragioni per cui ancora adesso Billy lo vorrei come premier o come miglior amico. In mancanza, mi limito ad ascoltare con piacere immutato le sue canzoni.

(Gabriele Marramà)

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