Sufjan Stevens – The Ascension

The Ascension è il decimo album in carriera di Sufjan Stevens. Il disco è stato pubblicato il 25 settembre dall’etichetta Asthmatic Kitty.

15:26:08   – 08/10/2020


 

 

Etichetta: Asthmatic Kitty
Genere: baroque pop / elettronica
Release: 25 settembre

La prima cosa che colpisce osservando la copertina di The Ascension, ottavo album in studio di Sufjan Stevens, è l’ipnotica moltitudine di colori vivi. Si viene catturati da tutto questo caos ordinato che custodisce in sé un significato ben più mistico. La musicale composizione cromatica e geometrica dell’artwork rimanda immediatamente ai dipinti realizzati da Robert Delauny durante il suo periodo astratto, definito tecnicamente orfismo. L’orfismo era anche un antico movimento religioso greco devoto al musico Orfeo. È evidente quindi come già dalla copertina questo disco renda palese la volontà di sospingerci verso una dimensione quasi sacra.

 

L’elettronica come nuovo linguaggio

The Ascension è contemporaneamente il lavoro più disincantato e spiritualmente più alto del musicista di Detroit. Ogni singolo brano è creato per sostenere l’ascoltatore, e Stevens stesso, nell’ascesa verso una consapevolezza superiore e una ritrovata fede. La sua genesi è stata in effetti un percorso devozionale che ha portato il musicista americano a isolarsi per un lungo periodo, esattamente come un asceta dovrebbe fare.

Il risultato è un disco distante anni luce dal precedente Carrie & Lowell, quintessenza del folk puntellato dal banjo. Qui invece di banjo non c’è traccia, c’è invece molta sperimentazione. Il linguaggio musicale che Stevens decide di utilizzare per The Ascension è l’elettronica, spesso carica di forti influenze ‘80s, Video Game, che ottiene usando una drum machine, il computer e un Prophet synth. Il risultato è tutt’altro che asettico, è intimo, mistico; l’elettronica diventa la via principale per ritrovare la fede persa, ‘I lost my faith in everything’.

 Sufjan Stevens, in perpetua sospensione

Il musicista scava dentro di sé per cercare le cause della sua stanchezza personale, è il pessimismo il vero protagonista del disco. Il dolore che prova Stevens è dato dalla rottura con l’America, da cui si congeda citando Joan Didion in Goodbye to All That, chiudendosi nel suo isolamento in cerca di speranza, Ativan

In netto contrasto a questo disincanto si stagliano sonorità leggere, cariche di magnificenza. Ogni brano si espande verso l’alto, il sound è sospeso, non tocca mai la terra sporca e sofferente. Si resta sempre a metà aria, pervasi da un senso di impalpabilità anche quando i testi raccontano la crisi globale e personale, America, e i suoni si fanno più cupi. La voce di Stevens è quasi angelica, spirituale, commovente, Make Me An Offer I Cannot Refuse. Diventa rassicurante, forte come la divinità citata in Gilgamesh. La gravità viene sistematicamente sconfitta grazie a mantra magici ripetuti fino allo sfinimento, Die Happy.

 Ascendere

L’ascensione finale arriva a conclusione di tutto, ha il suono perfetto dell’omonima The Ascension, forse il brano più bello del disco. Ma cosa accade dopo? ‘What Now?’ Cosa ci aspetta una volta che si è arrivati alla verità? Non lo sappiamo, è con questa domanda ripetuta all’infinito che Stevens ci lascia nuovamente sospesi. In fin dei conti siamo comuni esseri umani e la ricerca perpetua della perfezione fa parte del nostro destino. 

Chiara Luzi 

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