‘Souvlaki’: la catartica fine dell’adolescenza degli Slowdive

Souvlaki è il secondo album pubblicato degli Slowdive. L’album è prodotto dalla stessa band per la Creation Records. In due brani è presente Brian Eno.

11:25:01  – 17/05/2020


La genesi travagliata di Souvlaki degli Slowdive 

Nel 1993 gli Slowdive erano di fronte alla prova più importante della loro breve carriera. Dal rilascio di un album seminale come Just For a Day  erano già trascorsi due anni, i tanti commenti estasiati della critica avevano lanciato Halstead, Goswell e soci nel pantheon dei pionieri. Gli Slowdive,  con gli irlandesi My Bloody Valentine, avevano aperto le porte ad un genere fiero e autocelebrativo: lo shoegaze. Il 1991 era, tuttavia, alle spalle. 

Dal 1992 la lavorazione di Souvlaki subì non pochi intoppi, rivelandosi tutt’altro che “lineare”. Il materiale registrato inizialmente dalla band per il nuovo album comprendeva una serie di brani, che il loro guru Allan McGee bollò come “merda”. La Creation Records voleva dagli Slowdive un album facile da promuovere, radiofonico e commerciabile. Bisognava ricominciare, ancora prima di avere iniziato. Decisero di scrivere a Brian Eno per coinvolgerlo nella produzione del disco. La sua risposta non fu da produttore ma da fan: gli disse che avrebbe collaborato volentieri come musicista. Neil Halstead e Rachel Goswell dovevano pensare anche alla fine della loro relazione. Neil non resse a lungo in sala di registrazione: il chitarrista lasciò 3/5 della band per ritirarsi da solo in un cottage in Galles. Da quell’esilio volontario nacquero due capolavori come Dagger e 40 Days. McGee, alla fine, avrebbe avuto il suo fottuto album pop, ma lasciando liberi gli Slowdive di essere se stessi. 

Il tempo della vita

Gli Slowdive hanno sempre avuto una particolare propensione nel dilatare a loro completo piacimento il tempo. La struttura (a)ritmica dei loro brani consente il miracolo: puoi trascorrere nel mare di feedback un’eternità in soli quattro minuti. Pochi artisti, in modalità espressive differenti, avevano o hanno questo vezzo stilistico: Terrence Malick nel Cinema, Proust e Woolf in letteratura, De Chirico, Sironi e Hopper nell’arte figurativa novecentesca. Ma anche James Joyce, autore della poesia Golden Hair che ispirò Syd Barrett, prima che gli Slowdive componessero la cover post-rock surreale utile a chiudere ogni live della band.

La chitarra di Neil Halstead è il correlativo oggettivo di un tempo tutto interiore, costellato di memorie ed eventi utili a scandire le fasi della vita. Il filosofo Premio Nobel Henri Bergson rivoluzionò il secolo scorso distinguendo il “tempo reale” della coscienza, da “quello scientifico” degli orologi. Halstead in Souvlaki monopolizza completamente l’attenzione con un processo compositivo incentrato sulla narrazione di un distorto fluire. La sua coscienza era alterata non poco dalle droghe, nelle liriche dei brani le sostanze stupefacenti (come nella struggente 40 Days) non vengono di certo omesse.

Anche per questo motivo, Souvlaki è un resoconto onesto di quei giorni amari. Non era solo il momento propizio per aprire una riflessione relativa alla fine della relazione con Rachel, era una occasione per mettere una pietra tombale sulla loro adolescenza. Questo disco, assieme alla conseguente tirannia di Halstead, decretò ufficiosamente la fine di un periodo. Un periodo effimero, se lo calcoliamo come indica la scienza, di valore inestimabile se proviamo ad addentrarci devotamente nella coscienza di Neil. 

Slowdive e Souvlaki, il disco anti-pop

Rispetto al disco d’esordio, Souvlaki ha sicuramente una componente strutturale negli arrangiamenti che ne facilita l’ascolto. La canzone assume generalmente una forma più riconoscibile e meno difficile da identificare. In questo riquadro, è chiaro che la formula sognante mutuata dai Cocteau Twins diventi molto più evidente: provate a confrontare il brano Cherry Coloured Funk  degli scozzesi (opener di Heaven Or Las Vegas – 1990) con 40 Days e noterete non poche somiglianze. L’apertura Alison è un gioiellino (anti)pop di rara bellezza, che apre inconsciamente alla stagione del britpop.
Lo stato visionario-allucinato di Halstead si nota fin dal dittico di apertura formato proprio da Alison e da Machine Gun, tra loro collegate per la difficoltà interpretativa dei testi. Le tracce si susseguono in modo molto omogeneo, ma su più livelli, come il più audace dei deliri onirici. Qualcosa c’è senz’altro di veridico, altro è luce che confonde e soffoca come in un film di Peter Weir (When The Sun Hits). Una matrice sperimentale si sente senza dubbio molto marcatamente in più spunti. In Sing, brano composto con Eno alle tastiere, è evidente quanto il produttore abbia aggiunto del suo nell’opera di decostruzione estemporanea della forma-canzone.
Souvlaki Space Station è il momento di gloria di Nick Chaplin, brano contaminato dalla drum and bass e da Aphex Twin, come dichiarato dagli stessi Slowdive. Il basso di Chaplin sarà senza dubbio fondamentale in un altro brano in stato di deliquio come Melon Yellow. Al di là dei singoli episodi, i brani “fuoriclasse” di questo album sono due: When The Sun Hits e Dagger. La prima è una delle canzoni più iconiche dello shoegaze,  di cui il verso  “It Matters Where You Are” è talmente significativo da meritare un approfondimento a parte. La seconda profetizza la creazione dei Mojave 3 con la chitarra acustica in chiave folk, riprendendo in toni struggenti tutta la storia d’amore con Rachel e offrendoci una morale. In fondo, parafrasando Neil, no, non l’ha mai persa veramente. Ci piace pensare che un brano del genere possa avere ispirato Thom Yorke, prima di comporre True Love Waits.

Conclusioni 

È il disco di Neil Halstead, Goswell ha avuto la sensibilità di accompagnarlo. Tutte le volte che si sente la voce di Rachel in Souvlaki la si associa inevitabilmente a un ricordo remoto di Neil. Souvlaki, nel tempo, è diventato a ragione un “classico” di quegli anni. Gli Slowdive pubblicheranno il controverso Pygmalion due anni dopo, prima di sciogliersi.
Neil e Rachel rimarranno insieme, fondando i Mojave 3. Gli Slowdive torneranno insieme parecchi anni dopo, nel 2017, realizzando uno splendido sel-ftitled e permettendo a persone come me di provare la catarsi in un loro spettacolo dal vivo. La vita va inevitabilmente avanti, ma l’arte, quando vuole, decide di riscuotere. Per nostra immensa fortuna. 
Vincenzo Papeo 

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