“Quando lavoro a un nuovo disco, per me è importante sentire che sto creando qualcosa che non ho mai fatto prima e che, in qualche modo, mi spinge oltre”. A tu per tu con Alex Banks


Lo scorso 6 giugno, con Beneath The Surface, Alex Banks ha decisamente affondato il colpo, riuscendo nel suo intento di trascinarci nelle maree delle sue atmosfere eteree. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato lo sviluppo e la genesi di questo ultimo lavoro. Ci ha inoltre parlato dei suoi riferimenti musicali e di un tour che presto verrà annunciato.

 

Come si è svolta la produzione di questo disco? Qual è stato il suo processo di lavoro e la maggiore fonte d’ispirazione?

Dopo l’uscita dell’ultimo album, Illuminate, ho avvertito l’esigenza di cambiare e di trovare una nuova ispirazione prima di iniziare a lavorare su un nuovo album. Nei due anni seguenti al disco sono stato molto in tour, proponendo le mie tracce dal vivo e remixandole anche sul palco con il mio supporto Ableton. È stato interessante sperimentare con diversi arrangiamenti e basi, e sentire come le tracce fluivano quando venivano suonate in ambienti diversi. Ad esempio, quando mi trovavo a suonare nel contesto di un club, avevo la possibilità di proporre la versione più lunga e dilatata di un pezzo, perché adatto a un dancefloor. Mentre a un concerto avrei suonato la stessa traccia in maniera diversa, più ritmata, per coinvolgere maggiormente il pubblico. Queste diverse esperienze hanno influenzato molto la produzione di questo nuovo album. Mentre stavo lavorando alla mia nuova musica, continuavo a riflettere su come le diverse tracce sarebbero suonate su uno stage, dal vivo, e ho provato a proporle durante qualche live per vedere l’impatto che avrebbero avuto con un grande impianto audio. Questo è un ottimo metodo per sviluppare le tracce. Ho anche voluto catturare un po’ di quell’energia e spontaneità delle performances dal vivo nel processo creativo, registrando sul momento molte delle variazioni ed effetti dati dal synth, piuttosto che programmare meticolosamente le composizioni sviluppate su computer.

Questo album si muove su differenti ritmi, ma il suono base rimane riconoscibile. A tuo parere, sei soddisfatto della tua attitudine alla sperimentazione o credi sempre che ci sia un passo successivo da compiere?

Quando lavoro a un nuovo disco, per me è importante sentire che sto creando qualcosa che non ho mai fatto prima e che, in qualche modo, mi spinge oltre. Poter utilizzare la nuova tecnologia (strumenti o programmi che siano) mi incoraggia a creare composizioni differenti, e porta sempre qualcosa di nuovo al mio sound. Prima di cominciare a lavorare a questo nuovo disco, ho investito tantissimo in nuovi sintetizzatori, drum machines e un grande mixer analogico. È stato eccitante avere nuovi strumenti con i quali creare! Ma ho ancora con me alcuni dei sintetizzatori più riconoscibili che ho usato nel mio precedente album (per esempio il Moog Voyager, il Juno 106 o l’MS10) che mi aiutano a mantenere una certa continuità nel suono rispetto al lavoro fatto prima. Qualsiasi strumentazione io utilizzi, sono naturalmente attratto da certi accordi sonori, melodie, ritmi e composizioni. Ho la sensazione di creare musica con la quale essere sempre connesso, e so che il mio suono emergerà da questo processo e sarà riconoscibile.

Nel tuo precedente album, c’era la collaborazione vocale con Elizabeth Bernholz, mentre in Beneath the Surface la voce presente è quella di Ásgeir. Puoi raccontarci qualcosa riguardo a questa scelta e il tuo lavoro accanto a questo artista?

Ho conosciuto Ásgeir da Biggy grazie ai GusGus. Stavamo suonando entrambi al Reworks Festival in Grecia, e stavo appunto dicendo a Birgir che stavo lavorando al mio nuovo progetto ed ero alla ricerca di voci da inserire nell’album. Lui mi ha suggerito di mettermi in contatto con Ásgeir, e così ci ha fatto conoscere. Ho sentito la sua celebre cover di Heart Shaped Box dei Nirvana su YouTube, e sono rimasto immediatamente affascinato dalla sua voce bellissima e ammaliante. Avevo un paio di demo ai quali stavo lavorando, glieli ho mandati e, per fortuna, li ha subito apprezzati! I testi sono stati scritti da Simon Brambell, che ho conosciuto a Berlino e a qualche show col gruppo della Monkeytown. Mi erano piaciuti molto i testi a cui aveva collaborato con Moderat e Apparat (Bad Kingdom e Reminder), e abbiamo discusso sulla possibilità di lavorare assieme. Mi ha quindi mandato qualche bozza di testo che ho curato ulteriormente per avere parti di versi e ritornelli. Lo ho poi girati ad Ásgeir perché creasse le melodie e li facesse suoi. Dopo esserci scambiati qualche idea e correzione, lui ha registrato tutto nel suo studio in Islanda, e abbiamo così definito le tracce.

Di solito lavori ai tuoi remix in maniera giocosa, ma attenta. Cosa suggeriresti a chi trova difficoltà in questi processi creativi che sono azioni fondamentali per qualsiasi artista di musica elettronica?

Sinceramente, non ci sono regole fisse per remixare. Io analizzo tutte le parti di una traccia e trovo i suoni che
 mi ispirano maggiormente e che trovo interessanti. Poi cerco di dimenticare la traccia originale e non la riascolto fino a che non ho finito con il mio rimaneggiamento. Credo sia importante creare qualcosa di nuovo, che sia originale e abbia il suo vibe, che si discosti dalla traccia originale. Per questo non riascolto in fase di lavoro la traccia da cui sono partito, per non rimanerne troppo influenzato. Penso che la cosa più importante sia divertirsi e creare un prodotto con il quale sia stato piacevole lavorare. Se dovessi dare qualche suggerimento, forse consiglierei di non aver paura di abbozzare subito e velocemente qualche idea, e sperimentare fino a trovare una direzione che sia adatta per il proprio remix per lasciare scorrere la creatività.

Un importante capitolo della tua carriera e vita musicale è stato il tuo incontro con la Monkeytown Records, e poi il tuo lavoro con Mesh. Quanto è stato rilevante il supporto da parte loro nel tuo lavoro?

Incontrare la Monkeytown è stato un enorme passo in avanti per far conoscere al mondo la mia musica.
 Prima di incontrarli, ero già un fan sfegatato della musica di Modeselektor e dell’etichetta 50 Weapons. È stato quindi un grande onore essere stato chiamato a produrre per la loro etichetta. Cinque anni dopo, è successo qualcosa di simile con Max Cooper della Mesh. Sono stato per anni un fan della musica di Max, e penso che il mio lavoro si inserisca perfettamente nella sua etichetta. È stato bellissimo aver prodotto un album per la Mesh ed essere entrato in contatto con una tipologia di pubblico diversa rispetto a quella che avevo prima. La Monkeytown ha appena celebrato i dieci anni di attività e ha rilasciato una compilation a cui ho partecipato anch’io con una mia nuova traccia originale. È fantastico poter continuare a lavorare con questi ragazzi di base a Berlino anche dopo aver prodotto un nuovo album con la Mesh a Londra.

Ci sarà un tour? Ti piacerebbe muoverti ancora di più all’estero? Cosa ti piace di più dei concerti live?

Sì, ci sarà un tour: dopo mesi di lavoro il nuovo set per questo live è finalmente pronto! Ho lavorato con
 Bertie Sampson, un visual artist, per creare uno show audio-video che reagisse appositamente ai suoni, con proiezioni che si espandono coordinandosi con piramidi LED progettate dallo stesso Sampson. Abbiamo tenuto uno show di lancio dell’album alcune settimane fa a Brighton, come test per vedere come avrebbe funzionato il tutto. Penso che sia andato tutto alla grande! Eh sì, una delle cose che amo dell’andare in tour è poter visitare tantissime culture diverse e conoscere gente, quindi cercherò sicuramente di portare questo tour all’estero per club e festival.

Yuri Galbiati

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