03/12/2024
public service broadcasting milano - www.infinite-jest.it
Uno degli appuntamenti più attesi di questo periodo era quello dei Public Service Broadcasting all'Arci Bellezza di Milano

Uno degli appuntamenti più attesi di questo periodo, almeno a giudicare dall’anticipo del sold out rispetto al giorno del concerto, era quello dei Public Service Broadcasting al Bellezza, con tutti i biglietti disponibili già venduti un mese prima e lunghe liste d’attesa su Dice. Effettivamente, giungendo al Circolo ARCI nei pressi del Parco Ravizza, si respirava subito l’atmosfera delle grandi occasioni, con una coda per entrare già formatasi mezz’ora prima della prevista apertura della porta e diverse lingue parlate dal pubblico oltre all’italiano.

Tutto questo buzz è stato ampiamente ripagato da una performance memorabile da parte della band londinese, e se è vero che questo aggettivo è spesso usato a sproposito, stavolta sono pronto a scommettere che se chiedete a ognuno dei presenti, vi dirà che in questo caso la scelta della parola è corretta e che siamo stati tutti testimoni di un live che davvero verrò ricordato per moltissimo tempo.

Six Impossible Things: dream-pop di puro cuore

Ad aprire la serata c’era il duo lodigiano Six Impossible Things, un ragazzo alla chitarra e una ragazza alla tastiera, entrambi con compiti anche vocali. Il progetto è attivo dal 2017, ma i due hanno preferito concentrare il loro set sull’EP uscito nel 2023 intitolato “The Physical Impossibility Of Death In The Mind Of Someone Living”. Il genere è il dream-pop, le canzoni, almeno in questa versione live, sono risultate molto convincenti e hanno certamente fatto venir voglia a più di uno spettatore di ascoltarle anche su disco, o in streaming. Nicky Fodritto e Lorenzo Di Girolamo non si inventano niente, ma fanno le cose con gusto e armonia tra loro, in modo che il lato emozionale della loro proposta risulti perfettamente espresso, che è poi quello che conta in canzoni di questo tipo.

Le melodie hanno il giusto grado di pulizia e riescono proprio a trasmettere un senso di purezza emotiva, e questa capacità è ben corroborata sia dalle dinamiche tra i due strumenti che dalle interazioni tra le due voci. Davvero un bel progetto, e fa piacere che due ragazzi giovani (o che almeno così sembrano a guardarli) abbiano le idee così chiare e riescano a metterle in pratica in un modo così centrato.

Public Service Broadcasting: suoni e video di assoluta eccellenza

Pochi minuti dopo le 22, J. Willgoose, Esq., Wrigglesworth, J F Abraham e Mr B salgono sul palco e regalano ai presenti 95 minuti di musica siderale. In realtà solo i primi tre suonano, mentre Mr B è dedito ai visual, ma il fatto che stia lì con gli altri e alla fine venga presentato come un membro della band fa capire l’importanza del suo ruolo per la riuscita del live. In effetti, la parte visiva, composta da una sorta di cerchio grande circondato da altre quattro forme circolari più piccole e con ognuna di esse che trasmette immagini che riflettono il tema del brano suonato, è perfetta per far arrivare ancora di più al pubblico il senso di estremo dinamismo insito nella visione musicale del trio di musicisti.

A impressionare, per circa due terzi di show, è soprattutto la parte ritmica, basata su groove tanto fantasiosi quanto irresistibili, e splendidamente valorizzata dal modo in cui il resto dei suoni e delle voci registrate stanno attorno a essa, usandola come un trampolino di lancio per linee strumentali altrettanto varie e imprevedibili. Praticamente, è impossibile stare fermi e allo stesso tempo ci si sente quasi obbligati a aprire la mente e immaginare l’ambientazione che ha ispirato ogni singolo episodio.

Si vive, pertanto, un continuo viaggio tra la mancata impresa di Amelia Earhart, su cui si basano le canzoni dell’ultimo album e i concept che stanno dietro alle due opere più celebri e acclamate del gruppo, ovvero le industrie minerarie del Galles per “Every Valley” del 2017 e la sfida tra Stati Uniti e Unione Sovietica per arrivare per primi nello spazio per “The Race For Space” del 2015.

L’ardore ritmico è continuo, senza freni e assolutamente trascinante, il suono attorno a esso è immaginifico e stupefacente, i visual catturano inesorabilmente l’occhio e fanno la loro parte nel trasportare tutti i sensi degli spettatori in un mondo a parte. È un vero e proprio parco di divertimenti emozionale, che riesce bene nel proprio intento grazie al talento del quartetto, all’intesa non comune tra i membri e alla forza di un’idea artistica che, in un’epoca in cui sembra che ogni cosa sia il rifacimento di qualcos’altro, ha un’identità e una personalità uniche. Suona tutto talmente perfetto che anche i momenti nei quali appare un cantato registrato non danno l’idea di un ripiego come sarebbe normale che facessero, ma portano con sé un senso di gloria.

La pura energia dell’ultima parte e l’apoteosi dance degli encore

Saggiamente, la band capisce anche che un’impostazione così dinamica rischia di sfiancare i sensi del pubblico a lungo andare, così decide di proporre, nell’ultimo terzo di concerto, canzoni dall’andamento più regolare, ovviamente con l’idea che, a quel punto, tutto il pubblico sarà già ai piedi del quartetto. Effettivamente, così avviene e non ci si sente affatto delusi dal leggero abbassamento del livello di audacia, soprattutto perché i tre musicisti sono talmente presi bene da come sta andando la serata che suonano con un trasporto palpabile anche le cose relativamente più semplici.

Di conseguenza, gli spettatori si sentono coccolati dalla rotondità e dalla pienezza sonore di queste ultime canzoni e mostrano estrema gratitudine alla band per il cambio di scenario. Dopo aver ballato senza sosta e battuto le mani a tempo quando l’esecuzione lo richiedeva, la gente si lascia andare anche dal punto di vista vocale, scandendo con forza i ripetuti “go!” che caratterizzano, appunto, “Go!”, la canzone che precede gli encore. Il livello di adorazione del pubblico, come dicono gli inglesi, ha ormai sfondato il soffitto del club.

Gli encore, nel loro piccolo, ripropongono lo stesso schema del set principale, ovvero due terzi legati al ritmo e un terzo all’ascolto. Solo che, a questo punto, la gente vuole scatenarsi del tutto, senza pensieri, e anche questo è stato previsto dal quartetto, che spara due mine dance che vanno esattamente incontro ai desideri di chi sta sotto al palco. “People, Let’s Dance” ha inflessioni kraut, mentre “Gagarin” ha un’impronta disco, ma l’importante è che entrambe siano così martellanti e irresistibili da trasformare la platea in una pista da ballo. Poi arriva il momento dei saluti definitivi con “Everest”, più lineare e portatrice di stati d’animo perfetti per il commiato dopo una serata così speciale.

Spero che queste mie parole abbiano reso, almeno vagamente, l’idea di quanto sia stata speciale questa serata. Chi c’era lo sa da solo, per gli altri, sappiate che ogni appassionato di musica dovrebbe assistere almeno una volta a un live di Public Service Broadcasting. Io fino ad oggi non l’avevo fatto e mi sono reso conto che si trattava di una lacuna inaccettabile. Per il futuro non ripeterò mai più l’errore e se, tra chi sta leggendo, c’è qualcuno che si trova nella medesima condizione in cui ero io prima di questo concerto, deve assolutamente rimediare.

Stefano Bartolotta 


La scaletta:


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