Prendere uno strumento e farsi trascinare. Intervista a Porcelain Raft

Oggi, 15 maggio, esce Come Rain, il quarto album di Porcelain Raft, musicista nato a Roma ma che trascorre la maggior parte della propria vita Oltreoceano. Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare il disco in anticipo e conversare con Mauro Remiddi al telefono. La chiacchierata mette in luce i punti di svolta che caratterizzano questo disco rispetto al repertorio precedente, tra una voglia sempre più spiccata di collaborare con altri artisti e la propensione a farsi trascinare dall’adrenalina data dall’utilizzare strumenti che si possono imbracciare e suonare seduta stante.

00:51:12  – 15/05/2020



Volevo incominciare parlandoti dell’idea che mi sono fatto per cui tu dici che il disco, dal punto di vista del significato, è un invito a guardarsi dentro a cercare i piaceri nel proprio microcosmo, però invece mi sembra che dal punto di vista musicale, tu voglia invece avere uno sguardo più ampio possibile, che tu voglia proprio, più che nei dischi precedenti, allargare i confini del tuo repertorio Cosa ne pensi di questa mia idea?

Sono decisioni che non sono mai prese a tavolino, non c’è mai un momento in cui a tavolino mi dico “vorrei veramente avere questo suono questa volta”. Semplicemente, istintivamente vado più verso una cosa che non un’altra e quando ho registrato quest’album mi trovavo a Crestline, che è una montagna in California e da questa montagna avevo una sorta di balconato enorme dove c’era il mio studio, per cui tutto quello che vedevo erano delle montagne giganti e queste nuvole che entravano tra queste montagne, uno spettacolo proprio a livello visivo pazzesco.

Effettivamente, probabilmente, adesso che tu mi stai dicendo questa cosa, forse proprio a livello visivo sono stato influenzato da questo spettacolo. Se ci penso l’album è molto più suonato degli altri, ci sono delle batterie e, in generale, lo spettro sonoro è più ampio rispetto agli altri. Forse è stato proprio questa sorta di spettacolo che aveva ogni giorno davanti mentre lo suonavo, e poi devo dire che quando l’ho fatto, più di altre volte ho sentito proprio il bisogno di cantarmi delle canzoni.

Avevo notato come, in generale, nel panorama, ascoltavo canzoni non mie e mi mancava proprio quel gruppo, quel cantante, che faceva quella canzone che poi mi sarei cantato durante il giorno.

Mi mancava proprio per cui forse anche per quello mi sono focalizzato molto più sulle canzoni e molto meno sui suoni Lavorando molto con suoni elettronici in passato, molte volte venivo ispirato da una drum machine con dei loop sotto e io ci costruivo delle cose, invece questa volta ho proprio iniziato dalle canzoni, quindi chitarra e voce o piano e voce. Ciò mi ha portato inevitabilmente ad arrangiarle completamente in maniera diversa da tutto le altre cose che ho fatto.

Il disco si chiama, appunto, “Come Rain” ed effettivamente mi sembra che le immagini legate alla pioggia, quindi anche le nuvole di cui hai parlato tu adesso, o il fatto che emerga la luce, ricorrano non solo nella title track, ma anche in altre canzoni del disco. 

Da una parte è legato al paesaggio che avevo lì, queste nuvole piene di pioggia, e molto spesso non pioveva, però anche a livello inconscio c’è una valenza simbolica, perché la pioggia inevitabilmente purifica ma non nel senso spirituale ma proprio anche nel senso che quando stavo scrivendo le canzoni ero molto appesantito da un sacco di problemi che avevo.

Ti parlo di separazione, della perdita di mia madre, di un sacco di altre cose, e si è fatta strada l’idea di questa pioggia che proprio mi toglieva via i pensieri, questo senso della pioggia anche legato a una sorta di liberazione, a volersi purificare in una certa maniera da questi pensieri, da queste pene.

Mentre ascoltavo il disco ho pensato che una canzone come “Out Of Time”, oltre che essere molto bella, è molto basata sulla cura della melodia: in passato si sentiva che comunque magari le canzoni erano molto basate su determinati lavori sui suoni, invece una canzone come questa o anche come “The Way Things Are” hanno invece la melodia molto più al centro.

Mi fa piacere che tu abbia sottolineato “Out Of Time”. “Come Rain” fu quella che scrissi per prima per l’album, mentre la seconda fu proprio “Out of Time” e c’è questa idea di liberazione su quella canzone, e assolutamente hai colto, è nata proprio da una chitarra elettrica a fare questa sorta di off beat quasi reggae se tu senti sotto.

C’è questa sorta di gioia, anche se il testo poi una sorta di sfogo. C’è un energia particolare in tutto il disco perché mia figlia era appena nata ed era un anno che praticamente stavo sempre casa ma in realtà avevo proprio una voglia di andare on the road.

In effetti tutte e due le canzoni che ho nominato mi hanno dato subito la sensazione di viaggio on the road.

Hai preso il tema, perché avevo proprio voglia di farlo e quindi c’è proprio questa idea di stare su un van, fare dei tour e di avere delle canzoni che quando stai su un palco sono totali, nel senso che ci sono batterie, bassi, e ti ripeto, sono arrangiamenti questi che non avrei mai pensato di fare perché in realtà non sono mai stato interessato ad avere una band. Però effettivamente questi due pezzi sono molto da band.

Infatti, ho visto su Bandcamp che quando tu ringrazi i musicisti che hanno lavorato con te, specifichi In quale canzone hanno suonato mi sembra che il basso e la batteria abbiamo suonato proprio in queste due, quindi ti volevo chiedere come è stato il lavoro con queste persone, hai lasciato libertà di interpretare o, al di là del aver scritto il pezzo, hai dato anche delle direttive sugli arrangiamenti?

Allora, diciamo che in generale io tendo a lavorare con persone che so che senza che gli dico nulla se ne escono con delle cose particolari, ossia che mi possono stupire, perché non ha importanza quanto tu possa dirigere. Io la so suonare la batteria e non sono un professionista ma so suonare un po il basso e quindi se chiedo di far suonare una batteria o un basso, evidentemente voglio arrivare ad un punto che non so raggiungere, per cui, inevitabilmente, lascio molto spazio.

Nate, il bassista che ha suonato sulle due canzoni, è un gran professionista, ha suonato con Sunny Day Real Estate, e addirittura coi Foo Fighters, quindi è a livelli enormi, ci conosciamo e tra parentesi le voci del disco le ho registrate da lui nel suo studio, però poi abbiamo lavorato distanza perché io ero a Crestiline e lui a Los Angeles.

Gli ho mandato le canzoni senza basso e lui mi ha rimandato queste linee di basso talmente belle che, su Out Of Time, se tu ci fai caso c’è un momento verso la fine in cui il pezzo quasi si calma e rimane solo basso e batteria. Si crea proprio una sorta di bridge, un A-B-C con il C che poi non si ripete mai, e tutto questo perché lui se ne è uscito con una linea di basso talmente bella che però non stava bene sul ritornello, ma mi sono detto “questa la devo usare” e ho allargato il pezzo, l’ho fatto durare un minuto in più solo per mettere quella linea di basso, e comunque ho usato altra sua linea di basso per il ritornello.

Questo per dirti che l’approccio anche suo è stato talmente originale e bello che la struttura del pezzo è cambiata solo per mettere questi suoi interventi che erano pazzeschi. Cerco di suonare con musicisti che se ne escono con cose a cui io non sono in grado di pensare e con l’idea che posso proprio cambiare la canzone anche in base a quello che fanno.

Ok allora mi hai detto che comunque non eri interessato ad arrangiamenti di questo tipo in passato ma poi hai raccontato da dove è nato lo stimolo per averli. Quando scrivi una canzone pensi già, appunto, a questo aspetto, oppure tu pensi magari inizialmente solo alla melodia e poi dopo pensi anche tu a che suono darle?

Di solito è il suono che mi detta mi detta molto la melodia, è sempre stato così, per cui è anche per quello che ho usato molto i riverberi e i delay in passato, perché comunque inevitabilmente con i delay e le distorsioni crei questa sorta di tessuto sonoro che diventa pieno di armonici e questi armonici un pò mi suggeriscono un mondo. È stato sempre un creare un’atmosfera, che io adoro e tuttora faccio, se tu senti anche l’ultimo brano del disco, è quell’elettronica atmosferica.

Quella canzone, in effetti, mi ha dato l’impressione che tu abbia voluto dire “ho fatto un disco come questo ma io comunque provengo da qui e quindi vi lascio facendovi capire che non è che io non voglia più essere quello che ero prima”.

Non è stato così razionale il processo, ma bene o male è stato così. Quando le parole finiscono, quello rimane. Questo disco è molto legato alle parole tanto è vero che è molto legato alla melodia ed è molto legato a chitarra e voce, mentre, ti ripeto, prima ero sempre ispirato da dai suoni, mentre questa è la prima volta che proprio messo i suoni da parte perché volevo essere diretto a livello anche di testo di emozioni, non volevo passare troppo tempo davanti a cose che dovevo accendere, un sintetizzatore o una cosa con cui dovevi stare lì con una manopolina per due ore, volevo assolutamente prendere uno strumento e andare dritto con quella energia completamente pura e registrare quella cosa.

I brani poi sono stati rivestiti con questa sorta di suoni di arrangiamenti, rispettando questo intento, ma detto questo, poi c’è quel momento, quando la parola finisce, in cui la musica che poi esce fuori è quella dell’ultimo brano perché quelli sono i miei landscapes alla fine.

Prima accennavi all’aspetto live, che purtroppo ora deve essere rimandato a data da destinarsi. Io dal vivo ti ho visto una sola volta, al Great Escape Festival a Brighton, mi pare fosse il 2012 ed era di pomeriggio in un posticino.

Ma dai, eri lì? Pazzesco! Che memoria! Mi sa che mi hai visto con un batterista, lui ora suona con i Preoccupations.

Ma veramente? Cioè lui suonava con te e poi è entrato nei Viet Cong che poi sono diventati Preoccupations?

Loro erano gli Wemen, poi il cantante è impazzito e hanno fatto i Viet Cong, dove il bassista cantava, Matt, che è anche lui mio amico, poi hanno cambiato il nome. Quando suonava con me nulla di tutto ciò esisteva ancora, abbiamo finito il tour e lui ha iniziato con loro, sono tutti miei carissimi amici.

Comunque immagino che se passerai di qua, se si potrà tornare a fare concerti, e se dovessi riuscire a rivederti dal vivo, sarà una cosa davvero molto molto diversa rispetto a quella volta.

Assolutamente, prima cosa perché quella è stata la prima volta che professionalmente ho cominciato a fare dei tour europei e americani, per cui tu immagina quanti anni sono passati e quanti tour americani e europei ho fatto, per cui già a livello di esperienza di stare sul palco ed esperienze proprio a livello di live e performativo è tutto molto cambiata, e parlo solo di quello, senza pensare ai suoni o alle canzoni.

Mi sento molto più a mio agio sul palco adesso. In passato stavo ancora cercando una sorta di personalità, mi divertivo da morire ma c’era una sorta di ricerca di personalità, e adesso quella ricerca diciamo non è che sia finita perché non finisce mai, ma ha lasciato spazio. Il tutto è una sorta di confidenza che prima, meno che mai nel 2012, non avevo. L’idea è che so che non ci saranno dei live, è inutile mentire a me stesso, so che non avverrà a meno che non succeda un miracolo e che nel 2021 io decida di fare magari poche date, quindi non ci sto neanche pensando ai live. A dirla tutta è la parte che mi diverte di più, la parte dovevi sento più vivo alla fine, più che a registrare.

Ho capito, è un peccato però chissà, magari l’anno nuovo, adesso dobbiamo stare in casa tutto questo tempo, magari poi dopo tutta fa quarantena ti fa venir voglia di fare dei concerti.

Sì penso anche io che di voglia ne avrò tanta.

Ho sempre notato una gande attenzione da parte tua alle copertine dei dischi e a un’estetica grafica nei video, mi sembra proprio che tu ci sia tanto attento a questa cosa.

Inevitabilmente vengo da un mondo che è molto più visuale che sonoro. Gli stimoli per me sono sempre nati per me dalle immagini da film, ad esempio anche molti degli EP che ho fatto erano legati a delle immagini che avevo trovato o che avevo creato.

L’immagine mi ha sempre dettato il resto, ha sempre fatto da padrona su tutto, ed essendo io anche una persona molto visiva, inevitabilmente ho sempre dedicato un sacco di attenzione alle immagini perché le ho visto sempre come una cosa sola con la mia musica, non le ho mai viste come due cose separate.

Non dico che è un talento riguardo l’immagine, ma sicuramente per me è fondamentale, per cui molte cose le faccio anche da solo perché so benissimo quell’atmosfera che voglio creare. Ora, quell’atmosfera può essere creata in mille modi, dipende dal tuo grado anche tecnico o di sensibilità e quindi ovviamente potrei darlo in mano a dei professionisti e beccare il professionista giusto che becca esattamente quello che volevo dire, ma visto che, primo, quel tipo di soldi per la produzione non ce li ho e, secondo, mi diverto a farlo, anche se delle cose magari possono essere approssimative, ma è un’approssimazione molto vicina a quello che sento. Cerco sempre di farlo da solo quando posso, o di collaborare con persone molto vicine alla mia sensibilità.

 

Porcelain Raft

Infatti, il video di “Come Rain” l’ha fatto qualcun altro.

Sì, è la mia amica Rä Di Martino, un’artista abbastanza conosciuta qui in Italia. Lei è di Roma ed è una videoartista, ho avuto l’opportunità di farlo con lei perché l’ho aiutata in un in una suo video installazione. In quella occasione c’era un’attrezzatura di altissimo livello e lei mi ha detto “per ripagarti, perché non facciamo il video” e così abbiamo usato direttori della fotografia e un sacco di altra gente che stava lì e abbiamo girato in mezz’ora.

In questo caso volevo farla una collaborazione, visto che, come abbiamo detto, tutto il disco è molto collaborativo e coinvolge più musicisti, sono arrivato a un punto in cui voglio collaborare. Ti sono sincero, mi sono un po stufato di stare da solo su questi mondi e voglio avere anche un po di feedback, un po di comunione con qualcun altro.  

Chiudiamo parlando del formato dei dischi, perché se non sbaglio per il disco precedente tu hai consentito solamente ai miei amici di Factory Flaws qua in Italia di fare uscire un CD, mentre per questo disco ho visto che si può preordinare su Bandcamp, ma se non sbaglio solamente digitale. Cosa pensi dei vari formati su cui si ascolta la musica è come pensi di far uscire questo disco?

Mi sembra tutta una cosa in movimento, non c’è più una regola dove per forza devi fare in un modo. Io ti faccio un esempio: Microclimate è uscito in CD solo in Italia, mentre il vinile l’ho fatto uscire in America con la mia etichetta.

Adesso, in questa situazione, trovo veramente difficile poter stampare dei dischi e distribuirli, è tutto chiuso, per cui ho detto “OK, neanche ci stiamo a pensare perché sennò si va a finire al 2021, per cui perché no digital download?”.

Alla fine se ci penso, con tutto che amo i vinili, tutta la musica che ascolto è ormai in streaming o in download, me l’ascolto sull’iPhone, perché devo mentire a me stesso. Io sono un amante del vinile, ma è importante vedere le cose a livello pratico, non mi sembra una release minore solo perché è in download.

Vorrei tanto poterlo far uscire in vinile, anche solo per la copertina che mi piace tantissimo. Probabilmente farò delle magliette, l’idea è di farne molto belle, a edizione limitata, e chi le compra avrà il download del disco.

Anche le tote bag piacciono molto.

Hai ragione, tu immagina una tote bag con quel simbolo, io la voglio per me! Quando le cose riaprono, questo sarà il merch che venderò, avverrà probabilmente quest’estate.

Stefano Bartolotta

 

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