Norah Jones – Pick Me Up Off The Floor

Pick Me Up Off the Floor è l’ottavo album in studio di Norah Jones, pubblicato dalla Blue Note Records il 12 giugno.

09:21:57  – 23/06/2020


 

 

 

Etichetta: Blue Note Records
Genere: folk rock
Release:  12 giugno

L’importanza di chiamarsi Norah Jones

Chissà se dietro alla scelta di Norah Jones di presentarsi al mondo con il nome della madre si nasconda qualcosa oltre all’incompatibilità col leggendario genitore Ravi Shankar. Magari, una volta constatata la lunga lista di musicisti col cognome materno che hanno avuto successo nel mondo delle sette note, una nota di superstizione: Tom Jones, Quincy Jones, Howard Jones, Grace Jones, David Jones che farà drizzare più orecchie ricordandolo con lo pseudonimo di David Bowie, Brian Jones (nonostante la prematura scomparsa, certo), etc… i primi di una lunghissima lista che balzano alla mente.

Fatto sta che la signora oramai quarantenne – complice il talento che non guasta, anche in un mondo di mediocri e raccomandati come questo – sin qui non ha sbagliato un colpo. Lo attestano decine di milioni di copie vendute, mazzi di Grammy ricevuti come si trattasse di rose. Una decina scarsa di dischi ondivaghi nella mancata decisione di assestarsi su questo o quel territorio – jazz o pop, country o rock – in maniera definitiva. Cosa che ad alcuni potrà sembrare un peccato mortale, ma che a fronte di una qualità mai sotto la soglia del buon gusto risulta una inezia.

Pick Me Up Off The Floor e la sua imprevedibilità 

Il disco giunge dopo una pausa di quattro anni dal precedente Day Breaks. Un lavoro che nasce in maniera imprevedibile, come conseguenza di una serie di session svolte con altri artisti: i brani che non sono sfociati in singoli o hanno contribuito a completare l’EP Begin Again del 2019, dopo essere rimasti a macerare nel cassetto sono stati rifiniti, e una volta presa forma definitiva si sono compattati in un disco dal quale tutto ci si poteva aspettare tranne l’imprevedibile forza di coesione che sfoggia.

Quasi che fosse il risultato del più classico dei lavori concertati, progettati e composti con lo scopo di entrare in studio di registrazione a seguito di un disegno che non lasci nulla al caso. La voce inconfondibile, calda e strascicata, ancora giovanile ma leggermente più acidula rispetto agli inizi, è al centro dell’architettura sonora. Non potrebbe essere altrimenti. Ma batteria, basso, archi, fiati, steel guitar, il piano, non sono di guarnizione. La coesione di cui ho già detto si realizza non solo tra brano e brano, ma anche nell’amalgama tra i musicisti all’interno del singolo segmento, come si trattasse del lavoro di una band dove non esistono gerarchie.

Il paradiso là sopra

L’ottavo lavoro in studio di Norah Jones è un disco fondamentalmente pacato, dotato di un punto di equilibrio al quale resta generalmente fedele. How I Weep racconta di una perdita non ben definita (How I weep, and I sleep, and I march, and I dance … but inside, inside I weep) evitando l’autocommiserazione, così come Hurts to be Alone – con la Jones anche alle tastiere elettriche – e Heartbroken, Day After indagano le conseguenze e le pene di rapporti conclusi in malo modo senza stizza, né doloroso panico, ma piuttosto con la speranza che domani – o un domani più lontano – potrà essere migliore.

Ad alzare leggermente la pressione ci pensano l’amore non corrisposto di Flame Twin, e coi suoi fiati jazz- tinged e il ritmo meno compassato Say No More. Ma si tratta di uno scostamento momentaneo, perché This Life, soul ballad cullata e struggente caratterizzata dal basso di Jesse Murphy, I’m Alive (She’s crushed by thoughts at night of men / Who want her rights / And usually win / But she’s alive) scritta insieme a Jeff Tweedy dei Wilco, che suona la chitarra mentre il figlio della Jones, Spencer, si destreggia alla batteria con le spazzole, e To Live (To live in this moment and finally be free / Is what I was after, no chains holding me) venata di blues, girano lo sguardo attorno, e contemplando tematiche che vanno al di là dei rovelli personali riassestano il passo naturale, contegnoso, del disco.

L’ottavo album di Norah Jones e le sue conclusioni 

Non è finita. Perché tolta Stumble On My Way, il brano che più rifà il verso alla Jones delle origini, l’ultimo quarto del disco – nella sua versione deluxe, quella con due canzoni aggiuntive – offre un’altra manciata di perle. Il dark-folk-rock di Where You Watching, le cui parole sono della poetessa Emily Fiskio (Where you watching / as we slowly turn into strangers), la magnetica e rarefatta Heaven Above, scritta anche questa in combutta con Tweedy, e due bonus track che perdere sarebbe un delitto: Street Stranger e Tryin’ To Keep It Together; la prima un corso dalle acque docili e temperate, dentro cui immergersi per lenire le ferite dell’anima, l’ultima una crucciata, minimale e incantevole, invocazione laica. Devo correggermi. Norah Jones ha sbagliato una cosa proprio con Pick Me Up Off The Floor. La copertina. Ma (se volete) è un dettaglio.

 

Andrea C. Soncini 

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