Noel Gallagher – Black Star Dancing (EP)

 

 

Genere: pop rock/electro pop
Release: 14 giugno
Etichetta: Sour Mash

La genesi di quella tipologia di pezzi che hanno reso grande la penna di Noel (inni da stadio, ballate umide, schizofreniche sfuriate old school che siano) fonda le proprie radici in un insieme di elementi che ricordano un po’ i ritiri pre campionato di calcio che si facevano una volta: si va in montagna, si sta tutti assieme, ci si immerge in una realtà distante anni luce da quella metropolitana e infine si pongono le solide fondamenta per l’anno che verrà. Noel faceva tutto da solo nei primi 3 LP degli Oasis, ma dopo il suo calo è stato compensato dall’apporto di un Liam costantemente sottostimato, di Gem Archer e Andy Bell che sono signori musicisti (non dimentichiamo gli ottimi batteristi che si sono succeduti nel tempo, uno tra tutti Zak Starkey).

Quindi, tornando all’attualità, considerare i musicisti che ti circondano solo dei turnisti è ben diverso dallo scrivere e registrare un album nel quale altri 3-4 elementi di un certo peso danno un contributo più o meno pesante e più o meno valido al lavoro. Fin quando Noel Gallagher è riuscito ad attingere dalla riserve auree del suo periodo oasisiano, i risultati artistici della sua seconda vita artistica sono stati degni di nota. A tratti anche fantastici. Ma poi, i conti con le proprie scelte andavano fatti e il buon Noel ha mostrato palesemente di non avere né la tempra né una fonte d’ispirazione tali da affrontare un lungo percorso musicale in autonomia.

Dopo che Who Built the Moon? aveva fatto storcere il naso senza causare troppi traumi, arriva questo EP che, per usare un eufemismo, mette a dura prova la pazienza di chi, pensando a Noel Gallagher, non può fare altro che associarlo a Falling Down o una Mucky Fingers qualunque. E non stiamo neanche considerando quelli per cui il vero Noel sia finito dopo The Masterplan. Perché questo è un mediocre EP? Perché non è ispirato, non ha guizzi, è stanco ancora prima di iniziare a correre. Strano a dirsi per Noel, manca la luminosità melodica, qualcosa da canticchiare, qualcosa capace di darti una motivazione per andare avanti nell’ascolto e reiterarlo. Non parliamo di qualcosa tipicamente Oasis perché, beh, il mondo va avanti. Ma il vero problema è proprio nella produzione e assemblaggio di questi pezzi che non danno mai l’idea di essere ben focalizzati, seppur la perizia tecnica nella esecuzione e alcuni giri melodici siano discreti.

Si potrebbero fare diverse critiche alle canzoni, ma la cosa che salta all’orecchio è la mancanza di coesione e di decisione nella direzione da intraprendere. Le prime due canzoni in scaletta sono agli antipodi: la titletrack e Rattling Rose viaggiano su due binari lontanissimi, ma sono purtroppo accomunati da una scrittura scialba. L’ultima canzone citata è un mid tempo che in apertura può destare interesse, ma poi finisce senza che l’ascoltatore abbia realmente capito cosa abbia ascoltato.

Sail On, la terza ed ultima composizione originale del quintetto completato dai soliti remix che Gallagher si porta dietro dai tempi dell’ultimo disco degli Oasis, è il pezzo più apprezzabile del lotto, perché è avvolgente e molto ben arrangiato, anche se le rime sulle quali si basa risultano addirittura prevedibili prima di essere ascoltate. Una canzoncina crepuscolare con un incedere leggermente psichedelico che potrebbe finire in coda a una playlist.

Uno degli errori che talvolta compiono gli autori rock che dissertano di altri generi è quello di credere che qualsiasi sfumatura diversa, come può essere in questo caso la DISCO music della titletrack, bastino da sole a creare del valore. Creo dei giri di chitarra, una mezza melodia e la infarcisco di beat, cori e synth. Invece il lavoro dovrebbe essere l’opposto: un grande autore deve illuminare con il suo genio e una decisa tendenza al rischio un genere a lui sconosciuto per modellarlo a sua immagine e somiglianza. E qui è accaduto l’opposto. 

 

Carmine Speranza 

 

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