Nel luglio del 1993 avveniva il “Debut” internazionale di Björk

 

Nel luglio del 1993 usciva per One Little Indian Records Debut di Björk. Potrebbe sembrare poco umile o un’esagerata scommessa su sé stessi voler chiamare così il proprio album d’esordio, ma questa non era la prima avventura musicale di questa cantante islandese o, quantomeno, discografica.

Un’intera vita spesa per la musica, cantata e suonata. Una passione che già negli anni ’70, a undici anni di età, le aveva permesso di incidere un album che spaziava tra cover dei Beatles e reinterpretazioni di ballate islandesi (l’omonimo “Björk”). A metà anni ‘80 con la band The Sugarcubes, aveva dato avvio a una carriera personale, facendosi rappresentante in terra natia del rock giovane e alternativo di quegli anni. Giunta in Inghilterra, Björk non si sarebbe mai aspettata di poter conquistare con la sua musica il mondo.

Concepito in origine come un album di musica pop e leggera con un taglio sperimentale, divenne un manifesto del suo eclettismo musicale e personalità unica. Attraverso un processo creativo basato su una naturalità sorprendente,, Björk riuscì a unire alla sua voce norrena e imprevedibile un ventaglio di sonorità in linea con le mode inglesi del periodo. Il prodotto risultò, comunque, sui generis.

Nel Regno Unito, erano anni di tendenze quali il trip-hop o un nuovo funk ibrido in stile Jamiroquai. Tutti questi stili si affiancavano al brit-pop e alle primi albori delle nuove forme di indie rock. Con Debut, inconsapevolmente, Björk crea qualcosa di paragonabile a queste espressioni musicali ma arricchendolo di elementi house, dance, avant-pop ed electro.

Ogni traccia dell’album rivela l’attitudine dell’artista, racconta una sua ricerca e una sua opinione. Non si tratta solo di musica. Sin da subito, i suoi marchi di fabbrica saranno anche i videoclip d’avanguardia e sperimentali, tra il poetico e il nonsense, che userà nella promozione delle canzoni e che avranno ruolo centrale nelle sue esibizioni live per quanto riguarda le scenografie e costumi.

Human Behaviour è un classico. La voce che passa da sibilii a ululati, una percussione che simula passi felpati e un’andatura di animale notturno, il tutto in un clima amletico che porta a domandarsi quale sia la natura umana. Venus as a Boy, con le sue sonorità sud-asiatiche e fantasie date dalla world music, ha un testo dalla sensualità esplicita e di carezzevole malizia, che lo rende uno dei singoli principi dell’album. There’s more to Life than This è una canzone in presa diretta, omaggio alla scoperta della cultura dance UK coeva e registrata nei gabinetti del Milk Bar, un locale londinese tra i più in voga nella Soho di inizio anni ’90 per quanto riguardava la scena acid, ma in generale l’elettronica e la trance.

Like Someone in Love è uno standard jazz interpretato da Björk, accompagnata da un’arpa rincorsa dagli echi di un infrangersi di onde e di persone che conversano in lontananza. Il jazz è un genere caro all’artista che, nelle varietà canore complesse dello stile, le ha permesso di padroneggiare il proprio naturale apporto vocale, potendone fare strumento di sperimentazioni e ricerche musicali. Big Time Sensuality è un testo allusivo ma non troppo, inserito in un pop andante con sferzate techno-house e strumenti a fiato in analogico. Violently Happy è un altro singolo tra i più celebri dell’album, una ballata dalla base dance che, tra luci e ombre, inserisce elementi di deep house. The Anchor Song è una traccia composta solo da canto e una composizione di sax. Uno stile minimale e intimo che caratterizzerà sempre molte canzoni presenti in tutte le sue produzioni future.

Debut è un assaggio e un preludio del mondo di Björk, una visione su un altro universo. Con questo album, divenne subito una delle artiste più apprezzate di sempre dal pubblico e dalla critica, in grado di catturare con la sua voce e i  viaggi sonori l’interesse di tutti, come è in grado di fare ancora oggi.

Yuri Galbiati

 

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